Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 837 del 16/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 16/01/2017, (ud. 05/10/2016, dep.16/01/2017),  n. 837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9808/2015 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso da sè medesimo ai sensi

dell’art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliato presso il proprio

studio in Roma, via Antonio Toscani n. 37;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 326/2015 della Corte d’appello di Perugia

depositato il 17 febbraio 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5

ottobre 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

udito l’Avvocato S.M..

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia il 1 settembre 2011, S.M. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell’indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, in relazione alla irragionevole durata di una controversia di lavoro, iniziata nel maggio 2000 e conclusasi con sentenza della Corte di cassazione depositata il 10 marzo 2011;

che l’adita Corte d’appello accoglieva la domanda e, riconosciuto un ritardo di otto anni, liquidava un indennizzo di Euro 8.000,00 a titolo di danno non patrimoniale, ritenendo non indennizzabili nè il danno morale nè il danno esistenziale, e condannava il Ministero dell’economia e delle finanze, cui il ricorso era stato notificato, al pagamento della detta somma;

che per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso -notificato sia al Ministero della giustizia che al Ministero dell’economia e delle finanze – il ricorrente sulla base di cinque motivi;

che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso, mentre il Ministero dell’economia e delle finanze non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dolendosi del mancato riconoscimento e della mancata quantificazione del danno patrimoniale espressamente richiesto, ancorchè con liquidazione equitativa;

che con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3, dolendosi ancora del mancato risarcimento del danno patrimoniale;

che con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento del danno patrimoniale richiesto; che con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., della L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione all’art. 2 Cost., comma 1, art. 3 Cost., commi 1 e 2 e art. 4 Cost., comma 1, per la mancata valutazione delle prove documentali prodotte, idonee a dimostrare la sussistenza del danno non patrimoniale, erroneamente quantificato con riguardo al solo patema d’animo, nonchè assoluta insufficienza della motivazione; che con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., del D.M. n. 55 del 2014, artt. 1, 2, 4, 5 e 11, in relazione agli artt. 24, 36 e 111 Cost., nonchè della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e segg., per avere la Corte d’appello del tutto immotivatamente liquidato un compenso (Euro 800,00 per compensi) in misura difforme da quanto stabilito dal citato decreto ministeriale;

che i primi tre motivi, all’esame dei quali può procedersi congiuntamente in quanto tutti concernenti il mancato riconoscimento del danno patrimoniale, sono infondati;

che, invero, nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito che “in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, la natura indennitaria dell’obbligazione esclude la necessità dell’accertamento dell’elemento soggettivo della violazione, ma non l’onere del ricorrente di provare la lesione della sua sfera patrimoniale quale conseguenza diretta e immediata della violazione, esulando il pregiudizio dalla fattispecie del “danno evento”. Pertanto, sono risarcibili non tutti i danni che si pretendono relazionati al ritardo nella definizione del processo, ma solo quelli per i quali si dimostra il nesso causale tra ritardo medesimo e pregiudizio sofferto” (Cass. n. 18239 del 2013; Cass. n. 14775 del 2013);

che, nella specie, lo stesso ricorrente, nel delineare il danno patrimoniale sofferto per la irragionevole durata del giudizio presupposto, fa riferimento al danno da perdita di chance, con ciò introducendo la richiesta di risarcimento di un tipo di danno che ben avrebbe potuto essere richiesto, provato e documentato nel giudizio presupposto, e che quindi non può ritenersi causalmente ricollegabile alla irragionevole durata del giudizio presupposto;

che in tal modo, integrata la motivazione del decreto impugnato sul punto, il mancato riconoscimento del danno patrimoniale risulta conforme a diritto;

che il quarto motivo è infondato;

che nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito che “in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. Pertanto la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. n. 8471 del 2012; Cass. n. 21840 del 2009);

che, nella specie, la Corte d’appello ha liquidato a titolo di danno non patrimoniale un indennizzo ragguagliato a 1.000,00 Euro per anno di ritardo, così riconoscendo la rilevanza del pregiudizio patito dal ricorrente per effetto della irragionevole durata del giudizio presupposto;

che, d’altra parte, la scelta del criterio di indennizzo del danno non patrimoniale – una volta che lo stesso non si collochi al di sotto del minimo che dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU è comunque individuato – è apprezzamento rimesso al giudice del merito, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità;

che tanto più ciò deve essere affermato nel caso di specie, posto che il decreto impugnato è stato depositato successivamente all’11 settembre 2012 e non può, quindi, ritenersi più deducibile il vizio di motivazione che non assuma le caratteristiche di motivazione apparente o intrinsecamente contraddittoria, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., S.U., n. 8053 del 2014);

che il quinto motivo è inammissibile, atteso che il ricorrente, pur dando atto che la Corte d’appello ha fatto applicazione del D.M. n. 55 del 2014 e quindi della fonte applicabile ratione temporis, ha tuttavia omesso di specificare la non rispondenza della somma liquidata a titolo di compensi ai minimi previsti dal citato decreto ministeriale, nè ha verificato le proprie doglianze alla luce delle disposizioni di tale decreto che stabiliscono i criteri di liquidazione consentendo la riduzione delle somme dovute sino alla metà e, quanto alla fase istruttoria, fino al settanta per cento;

che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;

che, in applicazione del criterio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo;

che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2017

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