Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 837 del 15/01/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 837 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI PALMA SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 8097-2011 proposto da:
CIRFERA

VALERIE

CREVLR68R56Z110Z

elettivamente

(

domiciliata

in

ROMA, VIA GIULIO CESARE 78, presso lo

studio dell’avvocato FALOTICO ROCCO, rappresentata e
difesa dall’avvocato DFFILIPPI CLAUDIO, giusta procura
speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –

2012
7954

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 15/01/2013

STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente e ricorrente incidentale – ricorrenti incidentali –

avverso il decreto nel procedimento R.G. 488/08 della
CORTE D’APPELLO di ANCONA del 2.3.2010, depositato il

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/11/2012 dal Consigliere Relatore Dott.
SALVATORE DI PALMA.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del
Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

26/04/2010;

Equa riparazione

R.g. n. 8097/11 — U. P. 9 novembre 2012

Ritenuto che Valerie Cirfera, con ricorso del 31 marzo 2011, ha impugnato per cassazione —
deducendo due motivi di censura, illustrati con memoria —, nei confronti del Ministro della
giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Ancona, depositato in data 26 aprile 2010, con il quale
la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della Cirfera — vòlto ad ottenere l’equa riparazione dei
danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 —, in
contumacia del Ministro della giustizia, ha condannato il resistente a pagare alla ricorrente la
somma di C 1.600,00, compensando per la metà le spese di lite, in ragione del parziale accoglimento
della domanda;
che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia, il quale ha anche proposto ricorso
incidentale fondato su tre motivi;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale — richiesto per
l’irragionevole durata del processo presupposto nella misura di C 10.000,00 — proposta con ricorso
del 5 agosto 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) la Cirfera, asseritamente titolare del diritto ala
risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento, aveva promosso — con citazione
del 21 novembre 2003 — causa dinanzi al Tribunale ordinario di Parma; b) il Tribunale adito aveva
deciso la causa con sentenza del 27 ottobre 2008;
che la Corte d’Appello di Ancona, con il suddetto decreto impugnato — dopo aver determinato
in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza dello stesso
processo presupposto —, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata in due anni ed h
liquidato l’indennizzo in € 1.600,00, in moneta attuale comprensivi di interessi e di rivalutazione
monetaria.
Considerato che, con i motivi di censura, vengono tra l’altro denunciate dalla ricorrente
principale come illegittime, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, l’insufficiente
determinazione dell’indennizzo e la compensazione parziale delle spese di lite;
che, a sua volta, il ricorrente incidentale critica il decreto impugnato, sostenendo che i Giudici a
quibus avrebbero liquidato anche una somma a titolo di rivalutazione monetaria senza che ne
sussistessero i presupposti e senza che la ricorrente ne avesse fatto domanda, ed inoltre che la
compensazione delle spese di lite avrebbe dovuto favorire maggiormente il Ministero della
giustizia, posto che la domanda era stata accolta in minima parte;
che le censure della ricorrente principale non meritano accoglimento;
che quanto all’entità dell’indennizzo, la censura è inammissibile per difetto di interesse;
che infatti, secondo consolidato orientamento, questa Corte, sussistendo il diritto all’equa
riparazione per il danno non patrimoniale di cui all’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e fermo
restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo,
in linea di massima, l’indennizzo di € 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata
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Sentenza

e di E 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni, orientamento che, se applicato, avrebbe condotto
ad una liquidazione dell’indennizzo di € 1.500,00, inferiore quindi a quello riconosciuto dai Giudici
a quibus;

che l’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. — nel testo vigente, modificato dall’art. 45,
comma 11, della legge 18 giugno 2009, n. 69, entrato in vigore il 4 luglio 2009, applicabile ai
giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della stessa legge n.
69 del 2009 — stabilisce: «Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali
ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per
intero, le spese tra le parti»;
che lo stesso art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. — nel testo previgente, sostituito dall’art. 2,
comma 1, lettera a), della legge 28 dicembre 2005, n. 263, entrato in vigore il 1° marzo 2006, ai
sensi dell’art. 39-quater del d. 1. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 23 febbraio 2006, n. 51, applicabile ai procedimenti instaurati
successivamente a tale data di entrata in vigore (art. 2, comma 4, della stessa legge n. 263 del 2005)
— stabiliva: «Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati
nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti»;
che, nella specie, si applica l’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. nella formulazione
previgente, perché il processo per equa riparazione de quo è stato promosso anteriormente al 4
luglio 2009 (12 febbraio 2009);
che, quanto alla formulazione dell’art. 92 cod. proc. civ. nel testo previgente, questa Corte ha
enunciato i consolidati principi di diritto, secondo i quali: a) nel regime anteriore a quello introdotto
dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 263 del 2005, il provvedimento di compensazione
parziale o totale delle spese «per giusti motivi» deve trovare un adeguato supporto motivazionale,
anche se, a tal rine, non C IltiCV5bUllia. 1’ildOMIJI1V Ui motivazioni b” p ?itiewnenW riferiti; a dette
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statuizione di merito (o di rito), con la conseguenza che deve ritenersi assolto l’obbligo del giudice
anche allorché lc argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sé

considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come —
a titolo meramente esemplificativo — nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del
provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive
difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive
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vittoriosa e il 90510 delle attività processuali ric1ìic5tc ovvero ; 1111901.11 ; di un comportamento
processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete
risultanze pteiumualt(fr.,è),;’ plidimis, la neritC112a delle geloni unite n. 20598 del 2008); b) in
tema di compensazione delle spese processuali ai sensi dell’alt 92 cod. proc. civ., (nel testo
anteriore a quello introdotto dalla legge n. 263 del 2005), poiché il sindacato della Corte di
cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non
possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere
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che quanto alla disposta compensazione parziale delle spese, la censura è infondata;

che, in particolare, questa Corte ha enunciato il principio di diritto, secondo il quale, ai fini
della compensazione totale delle spese processuali non è sufficiente né la mancata opposizione alla
domanda da parte del convenuto né la mera riduzione della domanda operata dal giudice in sede
decisoria, permanendo comunque la sostanziale soccombenza della controparte che deve essere
adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese (cfr. la sentenza
n. 901 del 2012);
che, nella specie, i Giudici a quibus hanno congruamente giustificato, in applicazione dei su
richiamati principi, la compensazione parziale delle spese del giudizio, adducendo in particolare
l’accoglimento solo parziale della domanda (C 1.600,00 a fronte dei richiesti € 10.000,00);
che il ricorso incidentale è inammissibile;
che, quanto alla pretesa concessione della rivalutazione monetaria sull’indennizzo riconosciuto,
va sottolineato, in primo luogo, che la ratio decidendi del decreto impugnato, correttamente
individuata, deve intendersi limitata ai soli interessi e non anche alla rivalutazione monetaria, come
risulta chiaramente dai precedenti di questa Corte richiamati, e, in secondo luogo, che il ricorrente
incidentale non riporta testualmente le conclusioni definitive formulate dalla ricorrente principale,
necessarie per verificare la sussistenza del denunciato vizio di extrapetizione;
che, quanto alla misura della disposta compensazione delle spese, essa rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito, insindacabile in questa sede;
che la soccombenza reciproca giustifica la compensazione integrale delle spese del presente
grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 9 novembre 2012
Il C • nsigliere relatore ed estensore

discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte,
le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altre
giuste ragioni, che il giudice di merito non ha obbligo di specificare, senza che la relativa
statuizione sia censurabile in cassazione, poiché il riferimento a “giusti motivi” di compensazione
denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile
dalle statuizioni relative ai punti della controversia (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 20457 del
2011);

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