Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8366 del 29/04/2020

Cassazione civile sez. II, 29/04/2020, (ud. 20/01/2020, dep. 29/04/2020), n.8366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2944/2016 R.G. proposto da:

A.E., D.L., D.R., rappresentati e

difesi dall’Avv. Maria Grazia Limi per procura in calce al ricorso,

elettivamente domiciliati in Roma presso lo studio dell’Avv. Adriano

Barbato alla via Anastasio II n. 80;

– ricorrenti –

contro

M.P., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Manlio

Anzaldo e Barbara Armanini per procura a margine del controricorso,

elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’Avv. Rinaldo

Geremia alla via Pierluigi da Palestrina n. 47;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Capra Ceramiche s.r.l., Aurora Assicurazioni s.p.a.;

– intimate –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 2632,

depositata il 19 giugno 2015.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Carbone nella

Camera di consiglio del 20 gennaio 2020.

Letta la memoria depositata dal controricorrente.

Fatto

ATTESO

che:

– La controversia riguarda l’appalto per la realizzazione di un impianto di riscaldamento e ulteriori lavori, commissionato nel 2001 da D.A. all’impresa Termoidraulica di P.M.: il D. convenne in giudizio il M. presso il Tribunale di Como, deducendo la cattiva esecuzione dell’opera, e le sue domande furono coltivate dagli eredi A.E., D.L. e D.R., sino a ottenere pronuncia di risoluzione dell’appalto e condanna dell’appaltatore alla restituzione del prezzo.

– In parziale accoglimento del gravame del M., la Corte d’appello di Milano ha condannato gli eredi D. al saldo dei lavori ulteriori, oggetto di riconvenzionale pretermessa dal primo giudice, oltre alla rifusione di metà delle spese del grado d’appello.

– Gli eredi D. ricorrono per cassazione con due motivi, ai quali il M. resiste con controricorso; restano intimate Capra Ceramiche s.r.l. e Aurora Assicurazioni s.p.a., dal M. chiamate a manleva innanzi al Tribunale.

– Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 2697,2729 c.c., art. 115 c.p.c., per aver il giudice d’appello ritenuto sufficiente agli effetti della prova presuntiva dei lavori a pagarsi una nota formata dallo stesso appaltatore.

– Il primo motivo è infondato: la prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727,2729 c.c., non esige che tra il fatto noto e l’ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza probabile, secondo criteri di normalità (Cass. 30 novembre 2005, n. 26081; Cass. 31 ottobre 2011, n. 22656; Cass. 6 febbraio 2019, n. 3513; Cass. 30 maggio 2019, n. 14762).

Nella specie, il giudice d’appello ha osservato questo principio di diritto, dacchè ha basato la sua valutazione inferenziale non soltanto sulla nota dell’appaltatore, ma anche sui rilievi del consulente tecnico d’ufficio, il quale, senza minimamente porre in dubbio l’esecuzione dell’opera (“gran parte sotto traccia” e tuttavia in qualche misura visibile), ha stimato congrui i valori esposti nella nota di parte, sì da sostenere l’illazione giudiziale in termini probabilistici.

Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c., per aver il giudice d’appello posto a carico degli eredi D. la metà delle spese processuali sostenute nel grado dal M., nonostante fosse stato accolto uno soltanto dei sette motivi di gravame da lui proposti.

Il secondo motivo è inammissibile: la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. 31 gennaio 2014, n. 2149; Cass. 20 dicembre 2017, n. 30592).

Nella specie, pur non riferendosi espressamente alla soccombenza reciproca tra gli eredi D. e il M., il giudice d’appello ha tra loro regolato le spese del grado con valutazione globale e sintetica dell’esito della lite, e gli odierni ricorrenti non possono censurare tale valutazione discrezionale invocando un rapporto matematico tra il numero dei motivi di gravame accolti e il numero dei respinti.

Il ricorso deve essere rigettato, con le conseguenze di legge in ordine al regolamento delle spese processuali e al raddoppio del contributo unificato.

– Il controricorso sollecita la condanna dei ricorrenti a norma dell’art. 96 c.p.c., ma l’istanza è generica, inidonea ad evidenziare i presupposti soggettivi ed oggettivi della responsabilità aggravata.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2020

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