Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8365 del 12/04/2011

Cassazione civile sez. II, 12/04/2011, (ud. 22/02/2011, dep. 12/04/2011), n.8365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.R.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 227, presse lo studio dell’avvocato

IASONNA STEFANIA, rappresentata e difesa dagli avvocati PROCACCINI

ERNESTO, D’ANIELLO RAFFAELE;

– ricorrente –

contro

D.R.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA SS. APOSTOLI 81, presso lo studio dell’avvocato MEYER

VON SCHAUENSEE SIGISMONDO, rappresentato e difeso dall’avvocato

VITTORIOSO GENNARO;

D.R.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DEI COLLI PORTUENSI 186/187, presso lo studio

dell’avvocato UGO GUERRIERO, rappresentato e difeso dagli avvocati

FURNO ERIK, CAIAZZO GIOVANNI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1767/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito l’Avvocato D’Aniello Raffaele difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Fumo Erik e l’Avv. Vittorio Gennaro difensori dei

resistenti che hanno chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I germani V. e D.R.M., unitamente alla madre G.I., convenivano in giudizio D.R.R. fratello dei primi due o figlio della terza al fine di procedere alla divisione dei beni relitti da G. e Di.Ri.Gi..

Rispettivamente padre e fratello dei primi due e marito e figlio della terza.

D.R.R., costituitosi, non. si opponeva alla divisione chiedendo il calcolo, nella formazione delle quote, dei miglioramenti dallo stesso apportati all’asse ereditario e dei deprezzamenti causati dal coerede V..

Dopo il decesso della G. i processo veniva riassunto innanzi al tribunale di Torre Annunziata il quale, disposta ed eseguita c.t.u.. con sentenza 532/00 disponeva la divisione dei beni attribuendo detti beni secondo quanto predisposto nel progetto divisionale elaborato dal c.t.u..

Avverso la detta sentenza D.R.H. proponeva appello del quale chiedevano il rigetto V. e D.R.M..

Quest’ultima contestava metodo e risultati della c.t.u. e chiedeva la redazione di un nuovo progetto divisionale contenente l’assegnazione delle quote mediante estrazione a sorte.

Veniva disposto l’espletamento di una nuova c.t.u.. Quindi la corte di appello di Napoli, con sentenza 13/5/2008, così provvedeva: in riforma della decisione impugnata approvava il progetto divisionale predisposto in secondo grado dai c.t.u.; poneva a carico dell’assegnatario della quota B il pagamento di somme rispettivamente indicate in favore degli assegnatari delle quote A e C; disponeva con separata ordinanza le operazioni relative al sorteggio delle quote.

La corte di appello osservava: che il “thema decidendum” doveva ritenersi circoscritto all’approvabilità o meno del progetto divisionale predisposto dal c.t.u. nominato in secondo grado il quale aveva, con apposita relazione, riposto adeguatamente e convincentemente ai rilievi sollevati dalle parti e, in particolare, da D.R.M.; che le risultanze della espletata c.t.u.

andavano condivise anche in ordine al valore economico dei singoli beni: che il consulente aveva ben evidenziato i criteri ai quali si era ispirato per la redazione di un comodo progetto divisionale, criteri coerenti ed adeguati e da condividere: che, quindi, non era da condividere il progetto divisionale elaborato da D.R. M.; che il progetto apprestato dal c.t.u. era congruo ed allo stesso avevano dato adesione R. e D.R.V.;

che la richiesta di attribuzione avanzata da D.R.M. era inammissibile posto che, nell’ipotesi di immobile divisibile, doveva procedersi alla formazione di quote (come nella specie) uguali o diseguali con estrazione a sorte nel primo caso e ad attribuzione nel secondo caso: che nell’ipotesi di immobile indivisibile doveva escludersi il criterio del sorteggio; che pertanto, previa omologazione del progetto divisionale predisposto dal c.t.u., si doveva procedere all’estrazione a sorte delle quote eguali: che a tanto si provvedeva con separata ordinanza.

Con successiva ordinanza resa all’udienza del 26/9/2008 la corte di appello – preso atto degli esiti delle operazioni di sorteggio – assegnava le tre quote come individuate dal c.t.u. a ciascun condividente e dichiarava chiuse le operazioni peritali.

La cassazione delle menzionate sentenza e ordinanza della corte di appello di Napoli è stata chiesta da D.R.M. con ricorso affidato a cinque motivi: i primi quattro relativi alla sentenza ed il quinto concernente l’ordinanza. Hanno resistito con separati controricorsi V. e D.R.R.. La ricorrente ed il resistente D.R.R. hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso D.R. M. denuncia: violazione degli artt. 718, 720 e 729 c.c.:

omesso esame di punto decisivo della controversia; vizi di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La ricorrente – applicandosi nella specie l’art. 366 bis c.p.c. per essere stata pubblicata la sentenza impugnata dopo la data (2/3/2006) di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 e prima della data (4/7/2009) di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 che ha abrogato senza effetto retroattivo il citato art. 366 bis c.p.c. – al termine di ciascun motivo ha così formulato i quesiti di diritto connessi e corrispondenti alle varie articolate e complesse tesi difensive sviluppate nelle singole censure:

– dica codesta Ecc.ma Corte, con riferimento al caso di specie, che, in materia di successione ereditaria, un complesso fondiario, le cui componenti immobiliari, per conformazione, ubicazione, funzione e reciproca interrelazione, concretizzano un unico fondo, avente una unitaria destinazione economica sociale, unitariamente pervenuto ai condividenti e, che, quindi, per tali ragioni, risulti indivisibile, ovvero non comodamente divisibile, anzichè essere materialmente frazionato tra i condividenti, deve essere compreso per intero nella porzione di uno dei condividenti, con addebito dell’eccedenza;

– dica altresì codesta Ecc.ma Corte, con riferimento al caso di specie, che, in materia di successione ereditaria, i Giudici, allorchè abbiano riconosciuto una concreta situazione oggettiva di indivisibilità, ovvero, di non comoda divisibilità di un complesso fondiario, non possono materialmente frazionare tra i condividenti tale complesso fondiario, formando porzioni non suscettibili di libero ed autonomo godimento, compromesse da servitù, pesi e limitazioni eccessive, richiedenti opere complesse e di notevole costo, sensibilmente deprezzate, sotto l’aspetto economico – funzionale, rispetto al valore del fondo indiviso, tali da pregiudicare l’originaria destinazione funzionale, nonchè l’originario valore del complesso fondiario, senza neanche valutare le spese necessarie anche per gli oneri, relativi al materiale frazionamento: (primo motivo);

– dica codesta Ecc.ma Corte, con riferimento al caso di specie, che, in materia di successione ereditaria, pur appartenendo ad un complesso fondiario, indivisibile, ovvero, non comodamente divisibile, un fabbricato rurale, avente una unitaria destinazione funzionale – unità abitativa al primo piano, locali deposito al piano terra – che, per tali ragioni, risulti indivisibile, ovvero, non comodamente divisibile, anzichè essere materialmente frazionato tra i condividenti, deve essere compreso per intero nella porzione di uno dei condividenti, con addebito dell’eccedenza;

– dica altresì codesta Ecc.ma Corte, con riferimento al caso di specie, che, in materia di successione ereditaria, i Giudici, allorchè abbiano riconosciuto una concreta situazione oggettiva di indivisibilità, ovvero, di non comoda divisibilità di un Fabbricato rurale, già parte di un complesso fondiario, indivisibile, ovvero, non comodamente divisibile, non possono materialmente frazionare tra i condividenti tale Fabbricato rurale, formando porzioni prive della stessa destinazione funzionale del fabbricato rurale indiviso – unità abitativa al primo piano, locali deposito al piano terra – sensibilmente deprezzate rispetto al valore del fabbricato rurale indiviso, tali da pregiudicare anche l’originario valore del fabbricato rurale, neanche suscettibili di libero ed autonomo godimento, richiedenti accorgimenti notevolmente onerosi e complessi, compromesse da pesi, limiti e servitù per il godimento delle quote sul fabbricato rurale, senza neanche valutare le spese necessarie anche per gli oneri, relativi al materiale frazionamento: (secondo motivo);

– dica codesta Ecc.ma Corte, con riferimento al caso di specie, che, in materia di successione ereditaria, un progetto di divisione avente ad oggetto, anzichè concrete porzioni da dividere, mere superfici virtuali degli immobili oggetto di divisione, non concretizza un valido progetto divisionale, non attribuendo ai condividenti concrete porzioni degli immobili da dividere, non realizzando l’effetto finale di una divisione e, cioè, l’attuazione della titolarità esclusiva delle porzioni, ovvero, dei singoli beni da trasferire in concreto ai condividenti;

– dica altresì codesta Ecc.ma Corte, con riferimento al caso di specie, che, in materia di successione ereditaria, i Giudici, pur avendo accertato e, comunque, riconosciuto, in relazione al predisposto progetto divisionale, una mancata corrispondenza tra superficie virtuale e superficie reale dei beni da dividere, non possono ritenere che le quote del predisposto progetto divisionale, pur non facendo riferimento ad una superficie reale dei beni da dividere, bensì ad una mera superficie virtuale degli stessi beni, neanche corrispondente alla superficie reale dei beni da dividere, non risultino concretamente alterate nella consistenza materiale e nel valore (quarto motivo).

I detti motivi di ricorso sono o inammissibili o infondati.

Il primo e il secondo motivo sono inammissibili perchè i quesiti di diritto – formulali nei termini sopra riportati – non consente alla Corte di enunciarne la soluzione, difettando l’indicazione di un elemento essenziale a tal fine, per cui non è conforme alla prescrizione di cui all’art. 366 bis c.p.c. Occorre premettere che, come questa Corte ha avuto modo di precisare, la formulazione di un quesito di diritto inconferente – in quanto non riferibile alla fattispecie o generico e la cui risposta, pur se positiva, sia priva di rilevanza – va assimilata all’ipotesi di mancanza del quesito con conseguente inammissibilità del motivo analogamente alla proposizione di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata (tra le tante, sentenze 19/5/2008 n. 12645; 12/5/2008 n. 11650; 21/6/2007 n. 14385; 5/1/2007 n. 36).

I quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis c.p.c. introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, comma 1 ed applicabile con riferimento alle sentenze pubblicate sino all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità, rispondono alla esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie. Il quesito di diritto costituisce pertanto il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata, e quindi non ammissibile, l’investitura stessa del giudice di legittimità (così, ex plurimis Cass. S.U. 2007 n. 22640; Cass. 2007 n. 14682; Cass. S.U. 2007 n. 14385: Cass. 2007 n. 13329).

Nella elaborazione dei canoni di redazione del quesito di diritto la giurisprudenza di questa Suprema Corte è ormai chiaramente orientata a ritenere che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso deve consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di Cassazione possa condurre ad una decisione di segno diverso; ove tale articolazione logico – giuridica mancasse, il quesito si risolverebbe in un’ astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio ad opera della Corte, in funzione nomofilatlica. Il quesito non può pertanto consistere in una mera richiesta di accoglimento de motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto.

Ciò posto va osservato che, come sopra riportato nella parte narrativa che precede, con la semenza impugnata la corte di appello – dopo aver circoscritto il thema decidendum all’approvazione o meno del progetto divisionale predisposto dal c.t.u. nominato in secondo grado – ha ritenuto di far proprio il progetto divisionale come elaborato dal consulente di ufficio ai quale avevano dato adesione R. e D.R.V.. La corte territoriale non ha mancato di rilevare che il c.t.u. aveva risposto ai rilievi tecnici sollevati da D.R.M. e che il progetto redatto da quest’ultima non era condivisibile dovendo preferirsi quello del c.t.u. basato sulla divisibilità dei beni immobili e sulla conseguente possibilità di formazione di quote anche sostanziali uguali e di estrazione a sorte.

La corte di appello ha quindi posto a base della decisione adottata la divisibilità dei beni immobili in questione mentre tutte le ampie e articolate censure mosse dalla D.R. con il primo e con il secondo motivo hanno come presupposto — dato per scontato che il giudice di secondo grado (come il tribunale) abbia ritenuto indivisibili i detti beni immobili.

Da quanto precede consegue che gli argomenti sviluppati nella sentenza impugnata non trovano corrispondenza nei quesiti di diritto che cosi come articolali dalla D.R. non forniscono la chiave di lettura delle ragioni esposte, nè consentono di individuare l’errore di diritto commesso dalla corte di appello che si regge essenzialmente su argomenti che non risultano specificamente coinvolti dai detti quesiti di diritto. Tali quesiti si basano infatti su un presupposto – indivisibilità dei beni immobili affermata dalla corte di merito – inconferente atteso che la corte di appello ha ritenuto non ravvisabile nella specie detto presupposto per motivi la cui eventuale erroneità in diritto non emergono con immediatezza ed evidenza dalla risposta affermativa ai quesiti di diritto. La risposta a tali quesiti, peraltro, è ovvia e scontata (non frazionabilità di beni immobili indivisibili) e non investe la “ratio decidendi” della sentenza impugnata proponendone una alternativa e di segno opposto, nè consente alla Corte di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

Il quarto motivo è manifestamente infondato atteso che – pur se titolato come violazione di legge e come vizi di motivazione – si risolve essenzialmente nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, i-nammissibile in sede di legittimità e, in particolare, nella pretesa di contrastare il risultato dell’attività svolta dalla corte di appello nell’esercizio dei compiti alla stessa affidati e del suo potere discrezionale di apprezzamento dei fatti e delle risultanze istruttorie con riferimento alla valutazione delle relazioni del nominato c.t.u. circa il progetto di divisione dei beni in questione. La motivazione della corte di merito a riguardo non è sindacabile in sede di legittimità in quanto sufficiente ed esente da vizi logici e da errori di diritto: la sentenza impugnata è del tutto corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto e che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice di appello. La corte territoriale ha proceduto alla disamina delle relazioni peritali depositate dal consulente pervenendo coerentemente alla conclusione che le risultanze della espletata c.t.u. potevano “essere assolutamente condivise” e che il c.t.u. aveva “convincentemente risposto a tutti i rilievi tecnici” sollevati da D.R.M. ivi comprese – quindi – quelle concernenti la formazione di quote “anche sostanziali” eguali.

Il giudice di appello ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

In definitiva, poichè resta istituzionalmente preclusa in sede di legittimità ogni possibilità di rivalutazione delle risultanze istruttorie, non può la ricorrente pretendere il riesame del merito sol perchè la valutazione delle accertate circostanze di fatto come operata dal giudice di secondo grado non collima con le sue aspettative e confutazioni.

Va aggiunto che per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice di appello non era tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti essendo sufficiente l’indicazione degli elementi sui quali ha fondato il suo convincimento dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti incompatibili con la decisione adottata anche se non specificamente menzionati.

Occorre altresì segnalare che le censure e le critiche concernenti l’asserito omesso o errato esame della c.t.u. e dei rilievi critici al riguardo mossi a tale consulenza non sono meritevoli di accoglimento, oltre che per l’incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, anche per la loro genericità.

Nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie ha l’onere (in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove ma (o non) esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell’asserito errore di valutazione: solo così è consentito alla corte di cassazione accertare – sulla base esclusivamente delle deduzioni esposte in ricorso e senza la necessità di indagini integrative – l’incidenza causale del difetto di motivazione (in quanto omessa, insufficiente o contraddittoria) e la decisività delle prove erroneamente valutate perchè relative a circostanze tali da poter indurre ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non o mal esaminate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali convincimento si è formato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.

Le censure mosse dalla ricorrente sono carenti sotto l’indicato aspetto in quanto non riportano il contenuto specifico e completo della relazione del c.t.u. e dei rilievi tecnici al riguardo mossi dalla D.R..

Tale omissione non consente di verificare l’incidenza causale e la decisività dei rilievi al riguardo mossi dalla ricorrente. Sotto altro aspetto le cen-sure concernenti gli asseriti errori che sarebbero stati commessi dal giudice di appello nel ricostruire i fatti di causa sono inammissibili risolvendosi nella tesi secondo cui l’impugnata sentenza sarebbe basata su affermazioni contrastanti con gli atti del processo e frutto di errore di percezione o di una mera svista materiale degli atti di causa. Trattasi all’evidenza della denuncia di travisamento dei fatti contro cui è esperibile solo il rimedio della revocazione.

Va solo aggiunto che, al contrario di quanto ritenuto dalla ricorrente, nelle censure sviluppate nel quarto motivo di ricorso in esame non è ravvisatale – come per gli altri motivi – la denuncia di un error in procedendo, bensì in iudicando per cui a questa Corte è inibito procedere all’esame diretto degli atti.

Quanto sopra, esposto vale anche con riferimento alle censure articolate in tutti i motivi di ricorso relative ai denunciati vizi di motivazione.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 718, 720 e 729 c.c. dell’art. 2909 c.c. degli artt. 324 e 320 c.p.c.;

omesso esame di punto decisivo della controversia; vizi di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Al termine del motivo la ricorrente ha così formulato i connessi e consequenziali quesiti di diritto:

– dica codesta Ecc.ma Corte, con riferimento al caso di specie, che, in materia di successione ereditaria, la richiesta di uno dei condividenti di attribuzione di un fabbricato rurale indivisibile, ovvero, non comodamente divisibile, da attribuire unitamente alla porzione di fondo alla quale il fabbricato rurale accede per intero, oggetto di una delle quote dei predisposto progetto di divisione, non costituisce, certo, una domanda nuova vietata, bensì concretizza esclusivamente una specificazione della originaria, domanda, comune a tutte le parti, di scioglimento della comunione ereditaria, ovvero, una modalità di attuazione della divisione:

– dica altresì codesta Ecc.ma Corte, con riferimento al caso di specie, che, in materia di successione ereditaria, i Giudici, pur avendo esaminato e, quindi, considerato la richiesta di attribuzione di uno dei condividenti, formulata sul presupposto della indivisibilità, ovvero, della non comoda divisibilità di un fabbricato rurale, che accede per intero alla porzione di fondo di una delle quote del predisposto progetto di divisione, devono ritenere vincolante tale richiesta, non solo, ai fini della attribuzione del fabbricato rurale alla quota alla quale il fabbricato rurale accede per intero, da attribuire, poi al condividente titolare della richiesta di attribuzione, ma anche, tenendo conto del contegno processuale dei condividenti, ai fini della attribuzione del compendio fondiario, indivisibile, ovvero, non comodamente divisibile, nel quale è compreso anche il fabbricato rurale.

Il motivo è palesemente infondato in quanto frutto di una non attenta e non corretta lettura della sentenza impugnata con la quale la richiesta di attribuzione di un fabbricato rurale unitamente al fondo retrostante è stata dichiarata inammissibile dalla corte di appello non perchè nuova ma in quanto formulata dalla D.R. M. sul presupposto della indivisibilità del bene risultato invece divisibile con conseguente formazione di quote uguali e successiva estrazione a sorte.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 789, 790, 791 c.p.c. e dell’art. 195 dis. att. c.p.c.: omesso esame di punto decisivo della controversia; vizi di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo è inammissibile in applicazione del principio che questa Corte ha avuto modo di affermare — che il Collegio condivide e fa proprio – secondo cui, nel procedimento di divisione ereditaria, l’ordinanza con la quale il giudice istruttore uniformatosi alle statuizioni della sentenza non definitiva che ha approvato il progetto di divisione, provveda al sorteggio e alla assegnazione dei lotti, non è soggetta a ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento che è carente dei requisiti formali e sostanziali della sentenza, in quanto costituisce un mero atto esecutivo delle decisioni assunte con la pronuncia non definitiva (tra le ultime, sentenza 5/8/2005 n. 16493).

In definitiva il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese dei giudizio di cassazione in favore di ciascuna parte resistente e liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida – in favore di D.R. R. – in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 4.000,00 a titolo di onorari oltre accessori come per legge e – in favore di D.R. V. – in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 3.000,00 a titolo di onorari oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2011

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