Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8365 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. III, 08/04/2010, (ud. 05/03/2010, dep. 08/04/2010), n.8365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA F. DI SAVOIA 3, presso lo studio dell’avvocato DI LORETO

MARIA GLORIA, rappresentato e difeso dall’avvocato ASSIRELLI

GIANDOMENICO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato DI

MATTIA SALVATORE, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato VIEL LIVIO giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2089/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

SEZIONE QUARTA CIVILE, emessa il 20/10/2004, depositata il

01/12/2004, R.G.N. 1668/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

05/03/2010 dal Consigliere Dott. FRASCA Raffaele;

udito l’Avvocato MARIA GLORIA DI LORETO;

udito l’Avvocato SALVATORE DI MATTIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel novembre del 1990 A.E. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Belluno, G.G., per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali e non (quantificati in un miliardo di lire, o nella misura accertanda), sofferti a causa di offese ingiuriose rivoltegli dal medesimo in occasione dell’assemblea del Condominio (OMISSIS). Il convenuto si costituiva e contestava il fatto.

Il Tribunale di Belluno, all’esito dell’istruzione anche testimoniale della causa, con sentenza dell’agosto 2000 accoglieva la domanda nell’an quanto al solo danno morale, che liquidava in L. tre milioni.

2. Sull’appello del G., la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 1 dicembre 2004, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda dell’ A., con gravame delle spese dei due gradi e condanna alla restituzione delle somme conseguite dal medesimo a seguito dell’esecuzione della sentenza di primo grado.

3. Avverso la sentenza della Corte veneziana l’ A. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi.

Il G. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce “violazione dell’art. 594 c.p., degli artt. 2697 e 2043 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.”.

La sua illustrazione esordisce con la seguente affermazione: “la sentenza impugnata è illegittima per violazione della legge per aver essa ritenuto che “il tono polemico e sferzante usato dal G. nel ricordare la cacciata del precedente amministratore, in presenza dello stesso, non pare di per sè configurare un’ingiuria”.

Ora, in questa enunciazione non si identifica, nè direttamente da parte del ricorrente, nè indirettamente attraverso la riproduzione del passo della sentenza impugnata riportato fra virgolette, quale sia stato il fatto sostanziale, cioè le espressioni pretesamene ingiuriose che l’espletata istruzione avrebbe accertato come effettivamente proferite dal G. e che la Corte territoriale avrebbe considerato non integrare un’ingiuria.

La successiva esposizione non scioglie tale dato di assoluta incertezza.

Infatti:

a) in chiusura della pagina cinque e nella prima metà della pagina sei, si riportano ancora due passi motivazionali della sentenza impugnata, dai quali, tuttavia, non emerge parimenti di quali espressioni si sita discorrendo: ci si riferisce, infatti, nel primo, a “l’utilizzo di un’immagine metaforica e di un lessico colorito, come spesso avviene nelle animate discussioni di un’assemblea, in luogo di un linguaggio più forbito e controllato”, e, nel secondo, alla “frase pronunciata dall’odierno appellante”, come diretta a “sollecitare una gestione di maggior efficienza e trasparenza, ricordando nella sostanza all’ A. il nuovo amministratore che era stato nominato per far funzionare bene le cose, dopo l’allontanamento del precedente amministratore cioè l’ A.;

b) nella seconda metà della pagina sei e fino alla pagina nove, che chiude l’illustrazione del motivo, si svolgono poi considerazioni volte ad evidenziare il preteso errore della Corte territoriale nel l’apprezzare il fatto sostanziale, ma ancora una volta senza che di esso si fornisca una precisa individuazione, o meglio, senza che si indichi quale esso fosse in base alle risultanze istruttorie, alle quali, anzi si fa un rinvio del tutto generico in palese violazione del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per Cassazione alla pagina otto;

c) l’indicata incertezza, d’altro canto, non risulta nemmeno superata da quanto si è allegato in precedenza nell’esposizione dello svolgimento processuale, e segnatamente dalla riproduzione della dichiarazione del teste K.A. che figura alla pagina due in fine ed alla tre all’inizio (e che è del seguente tenore:

“nell’assemblea citata, alla quale ero presente, il signor G. intese offendere l’ex amministratore A.E. usando le espressioni di cui al capitolato, cioè “abbiamo appena scacciato l’amministratore A. per incapacità ed incompetenza…”, nel corso di detta assemblea il sig. G. diede dell’incapace all’ A. nella gestione del condominio; a mio avviso il tono usato era offensivo”), atteso che, non solo nell’illustrazione del motivo non si evoca in alcun modo come oggetto all’error in iudicando tale dichiarazione, ma, inoltre, lo stesso ricorrente riferisce, sempre nella narrazione del fatto processuale, che erano state assunte altre testimonianze, il cui contenuto resta ignoto al lettore del ricorso.

Nella descritta situazione la pretesa violazione delle norme evocate dal motivo in esame, che la sua illustrazione vorrebbe commessa per il rifiuto della Corte territoriale di sussumere il fatto emerso dall’istruzione, risulta assolutamente non identificata sotto il profilo dell’astratto onere di prospettazione, perchè non è dato sapere quale espressione asseritamente ingiuriosa sarebbe stata – siccome emersa dall’istruzione – male apprezzata dalla stessa Corte.

Il motivo, dunque, appare inammissibile perchè inidoneo ad individuare il vizio della sentenza, attività che postulava la precisa indicazione del fatto sostanziale emerso dall’istruzione, cioè dell’esatto tenore della dichiarazione del G. risultante da essa, che sarebbe stato erroneamente apprezzato in iure dalla Corte d’Appello (la lettura della cui motivazione, peraltro, alla quale si potrebbe accedere solo se l’inammissibilità non esistesse, palesa che la stessa Corte ha giudicato dopo avere Essa stessa detto (pagina cinque) “che dalle risultanze della prova testimoniale espletata non appare nemmeno esattamente chiaro quale fosse il preciso tenore della fase offensiva pronunziata nel corso di un’assemblea condominiale” il che, semmai, evidenzia una certa contraddizione – non censurabile alla luce della valutazione espressa innanzi sull’inammissibilità del motivo – nel successivo superfluo svolgimento del giudizio di apprezzamento dell’idoneità offensiva di ciò che si definisce incerto in fatto).

In sostanza, il motivo pretende di censurare la sentenza impugnata senza identificare qual è stato l’oggetto, precisamente individuato, della sua valutazione.

2. Con il secondo motivo si denuncia “contraddittorietà ed illogicità della motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

Anche questo motivo merita la stessa valutazione del primo, poichè pretende di criticare alcune affermazioni della sentenza impugnate quali determinatrici del vizio denunciato, senza ancora una volta – in palese inosservanza dell’autosufficienza – aver individuato il fatto sostanziale che ne sarebbe stato oggetto ed in presenza di un tenore delle stesse che parimenti non lo identifica.

3. Il ricorso è, dunque, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro mille/00, di cui duecento/00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 5 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

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