Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8363 del 12/04/2011

Cassazione civile sez. II, 12/04/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 12/04/2011), n.8363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.Y. VED. C. C.F. (OMISSIS), in proprio e

quale legale rappresentante di ROSSINA S.P.A. con sede in

(OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEODOSIO MACROBIO 3, presso lo

studio dell’avvocato GABRIELLI ENRICO, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DE NOVA GIORGIO;

– ricorrente –

contro

C.L. IN QUALITA’ DI EREDE DELLA SIG.RA C.

G. (OMISSIS), MO.VE MOBILIARE VENETA SpA P.I.

(OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore Dott.

C.L. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che li

rappresenta e difende unicamente all’avvocato MAGGIOLO MARCELLO;

– controricorrenti –

e contro

LIGABUE CATERING SPA, F.G. (OMISSIS);

– intimati –

e sul ricorso 24218-2005 proposto da:

F.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato DI PIERRO

NICOLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SANTELLI

SANDRO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

N.Y. in proprio e quale legale rapp.te di ROSSINA S.p.A.,

elettivamente domiciliate in VIA TEODISIO MACROBIO 3, presso lo

studio dell’avvocato GABRIELLI ENRICO, che le presenta e difende

unitamente all’avvocato DE NOVA GIORGIO;

– controricorrente al ricorso incidentale condizionato –

e contro

LIGABUE CATERING SPA, MOBILIARE VENETA SPA, A.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1942/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato Enrico Gabrielli difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e della memoria;

udito l’Avv. Maggiolo Marcello per C. che ha chiesto il

rigetto del ricorso principale e l’accoglimento degli scritti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 1993, Rossina spa, Ligabue Catering e C.M. Y. convenivano di fronte al tribunale di Venezia F. A., C.G. e Mobiliare veneta spa e, premesse le complesse vicende intercorse tra loro chiedevano dichiararsi che era stata costituita tra essi stessi una servitu’ prediale, riconducibile alla specie delle servitu’ industriali, comportante il divieto di destinare il fondo servente a locale con servizio di tavoli sulla piazza (OMISSIS), servitu’ gravante sull’immobile di proprieta’ del F. e a vantaggio dell’immobile della Rossina spa.

In subordine, chiedevano che fosse accertato che tutti i convenuti erano tenuti a rispettare gli accordi contenuti nelle scritture intercorse circa il divieto di chiedere concessioni di suolo pubblico e la condanna dei convenuti alla esecuzione della prestazione promessa nonche’ al risarcimento dei danni, quantificati in L. 2.000.000.000.

Si costituivano la Mobiliare Veneta (MO. VE.) spa in persona di C.G., succeduta alla predetta nella gestione del Totobar e la Ligabue Catering spa, sostenendo che tra le parti si era invece stipulato un patto di non concorrenza, che aveva superato il quinquennio di validita’, eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione attiva e passiva delle varie parti in causa, a seconda della qualificazione della domanda.

Con distinto atto di citazione gli stessi attori, in caso di nullita’ del patto di non concorrenza, come prospettato dai convenuti, chiedevano dichiararsi la nullita’ della vendita del 1964 tra Rossina spa e F.; si costituivano i convenuti, deducendo la avvenuta usucapione da parte del F. del locale oggetto di compravendita, oltre alle stesse eccezioni in tema di legittimazione.

Riunite le due cause, l’adito Tribunale, con sentenza del 2000, respingeva la domanda attorea rilevando la intervenuta nullita’ del patto di non concorrenza, essendo scaduto il quinquennio, respingendo la domanda di nullita’ della vendita del locale in ragione della natura meramente economica delle conseguenze che la parti avevano previsto in caso di inadempienza da parte del F. e regolava le spese.

Avverso tale decisione proponevano impugnazione i soccombenti, cui resistevano le controparti, reiterando, ove necessario, la richiesta di declaratoria di intervenuta usucapione da parte del F..

Con sentenza in data 4.5/12.11.2004, la Corte di appello di Venezia respingeva il gravame e regolava le spese; osservava la Corte lagunare che doveva escludersi la sussistenza di una servitu’ industriale, in ragione del fatto che il peso imposto dal lato attivo non ineriva direttamente sul fondo dominante, quale utilitas diretta sul fondo stesso e parimenti dal lato passivo, il peso imposto non ineriva al fondo servente, trattandosi di un obbligo personale connesso alla posizione di esercente l’attivita’ economica sul fondo medesimo.

Trattandosi quindi di patto di non concorrenza, di durata non determinata dalle parti, lo stesso era ormai privo di efficacia, atteso che l’art. 2596 c.c. limita ad un quinquennio la validita’ di esso.

Doveva essere altresi’ respinta la tesi della nullita’ del contratto di compravendita del locale, atteso il tenore complessivo dell’atto mentre la domanda di risarcimento danni era elisa dalla rilevata valenza quinquennale del patto.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due motivi, la N.Y. in proprio e quale rappresentante legale della Rossina spa; resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, basato su di un solo motivo, F. G., erede di F.A. e del pari la Mo. Ve. Le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi, principale ed incidentale, sono rivolti avverso la stessa sentenza e vanno pertanto riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Venendo a dire del ricorso principale, con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1027, 1028 e 2596 c.c.;

si osserva sotto un primo profilo che in tema di servitu’ industriale, affinche’ l’utilita’ sia qualificabile come fondiaria e non personale, occorre guardare ante omnia alla destinazione del fondo ed al suo carattere di specificita’ e, nel caso del (OMISSIS), tale specifica destinazione e’ non solo specifica e permanente, ma addirittura storica.

Gli accordi intercorsi tra le parti prevedevano un vantaggio per il fondo dominante ed un corrispondente peso gravante sul fondo servente, aventi natura fondiaria e non personale, donde la sussistenza di una servitu’ industriale.

La tesi della ricorrente, suggestiva per la natura dei locali interessati alla vicenda, non puo’ peraltro trovare accoglimento; la natura stessa dell’istituto delle servitu’, che non varia in ragione della destinazione industriale dei fondi interessati, va ravvisata nella sottoposizione di un fondo al servizio dell’altro e l’unica connotazione caratterizzante la servitu’ industriale e’ quella della natura della attivita’ espletata su di entrambi o su di uno dei fondi interessati.

La singolarita’ degli accorsi conclusi tra le parti, va nella specie ravvisata, nel fatto che gli stessi non prevedevano l’asservimento di un fondo all’altro, ma il mancato utilizzo di una facolta’ inerente ad un fondo a favore dell’altro, cioe’ quella di chiedere (o di non chiedere) al Comune, la concessione a fruire di una area determinata onde apporvi tavoli e sedie onde non contrastare l’altro fondo nell’ottenimento di tale facolta’.

In una situazione siffatta, risulta evidente che non e’ ravvisabile la struttura del diritto reale della servitu’, atteso che non si ha la sottoposizione di un fondo al servizio dell’altro, ma l’impegno a non esercitare una facolta’ su di un fondo appartenente a terzi, donde l’esclusione del rapporto tra fondi tipico della servitu’, ma una obbligazione personale a tenete un determinato comportamento.

Tanto comporta che si deve escludere che con gli accordi surricordati sia stata costituita una servitu’ personale.

Il motivo in esame non puo’ pertanto trovare accoglimento.

Con il secondo mezzo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c., commi 1 e 2, e vizio di motivazione.

Ci si duole del fatto che la sentenza impugnata non abbia ritenuto di accedere alla tesi dell’accertamento della totale nullita’ del contratto di vendita tra F.A. e Rossina spa del 1964 per effetto della declaratoria di nullita’ del patto di non concorrenza perfezionatosi in precedenza.

Ricordata l’argomentazione sulla cui base la Corte lagunare ebbe ad escludere che la nullita’ del patto di non concorrenza implicasse la nullita’ del contratto di compravendita, la ricorrente osserva: la genesi ed il contenuto dell’accordo attestano come il patto di non concorrenza fosse una parte essenziale della convenzione, che concorreva a definire l’oggetto del contratto o comunque il fondamento dell’assetto di interessi realizzato.

Ancora, le espressioni usate testimoniavano in modo inequivoco come la previsione de qua concernesse un profilo assolutamente essenziale alla stipula del contratto e, del resto la previsione di una penale, ben poteva coesistere con la risoluzione del contratto stesso.

La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dell’art. 1419 c.c., comma 2, atteso che la struttura complessiva del contratto doveva essere valutata nell’ottica di quelli che sono gli elementi essenziali di un contratto di compravendita; il consenso, il prezzo e l’oggetto.

In mancanza di specifica pattuizione, altri elementi pure contrattualmente previsti non hanno il connotato dell’essenzialita’ e pertanto non possono influire sulla validita’ del contratto ove vengano meno.

Nella specie, a convalidare come l’assetto degli interessi quale risultante dal contratto di compravendita, la previsione espressa di una penale, tra l’altro di importo non insignificante dal punto di vista quantitativo, rafforza la lettura che del contratto di compravendita e’ stata effettuata nella sentenza impugnata, lasciando chiaramente intendere il valore che alla specifica pattuizione le parti intendevano attribuire nell’economia generale del contratto.

Devesi pertanto concludere nel senso che il patto di non concorrenza integrasse una clausola del contratto, come tale rientrante nella disciplina dell’art. 1419 c.c., comma 2, per la cui violazione, o comunque mancata applicazione, l’unico effetto fosse stato pattiziamente previsto e valutato con la previsione di una penale, specificamente determinata.

E’ appena il caso di ricordare che l’interpretazione del contratto e’ compito istituzionalmente commesso al giudice del merito, la cui valutazione e’ insindacabile in sede di legittimita’ ove, come nel caso di specie, sia plausibile logicamente e non contraria a regole di diritto.

Anche tale motivo deve pertanto essere respinto e, con esso, il ricorso principale.

Il ricorso incidentale e’ dichiaratamente subordinato e se ne deve dichiarare l’assorbimento.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, la Corte rigetta il principale; assorbito l’incidentale. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in 4.200,00 Euro, di cui 4.000,00 Euro per onorari a favore di F., e in 3.700,00 Euro, di cui 3.500,00 Euro per onorari a favore di Mo. Ve., oltre agli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2011

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