Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8358 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. II, 24/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 24/03/2021), n.8358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24370/2019 proposto da:

D.O., rappresentato e difeso dall’Avvocato CARLA PENNETTA, ed

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Giovanni Arilli

in ROMA, VIA C.ne CLODIA 88;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto datato 3.7.2019 nella causa n. 3224/2018 del

TRIBUNALE di PERUGIA;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.O. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva dichiarato di essere sempre vissuto a (OMISSIS); che la sua famiglia era composta dai genitori, entrambi deceduti e da una sorella minore; di appartenere al gruppo etnico Pulaar e di essere di fede musulmana; di avere frequentato la scuola per quattro anni e di essere in grado di leggere e scrivere; di avere lavorato come carpentiere in edilizia e di avere gestito un negozio di abbigliamento; che aveva lasciato il Senegal l'(OMISSIS) a seguito dell’insorgenza di una serie di difficoltà di tipo economico; che aveva contratto un debito con un fornitore di merce e aveva partecipato in qualità di tesoriere a un gruppo di risparmio, esterno ai circuiti bancari, fondato sulla libera partecipazione dei risparmiatori; che un incendio aveva distrutto, oltre al negozio che gestiva, anche il denaro detenuto quale tesoriere; che vessato dai creditori, dai quali aveva ricevuto persino minacce di morte, si era rivolto alle Autorità locali, senza tuttavia ricevere concreto sostegno, ragione per cui decideva di fuggire verso il Mali e da lì, attraversando l’Algeria e la Libia, giungeva in Italia; che temeva per la propria vita in caso di rimpatrio.

Con Decreto del 3.7.2019 il Tribunale di Perugia rigettava il ricorso, ritenendo che il ricorrente non avesse portato elementi sufficienti a far ritenere il suo racconto verosimile. In particolare, riteneva che non fossero state prospettate nel ricorso e che non emergessero dalle dichiarazioni del ricorrente le circostanze di fatto costitutive dello status di rifugiato, posto che la vicenda non era riconducibile a una persecuzione di tipo razziale, religioso, di appartenenza a una comunità nazionale o politica. Anche la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria risultava infondata. Quanto all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), si evidenziava che in Senegal non sussistesse una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, in base alle COI aggiornate. Anche la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria non poteva trovare accoglimento, in quanto la carenza di credibilità della vicenda precludeva la possibilità di ritenere che fossero state consumate gravi violazioni di diritti umani e rendeva ininfluente la disamina degli elementi che attestavano il percorso di integrazione effettuato. Infine, il Tribunale escludeva la possibilità di diretta applicazione dell’art. 10 Cost., dato che la disposizione era attuata interamente dalle norme che disciplinavano i tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione D.O. sulla base di sette motivo. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 115 e 101 c.p.c. – Violazione del principio del contraddittorio e del sollecito e leale svolgimento del processo”; con il secondo motivo, deduce la “Nullità del decreto e del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”: là dove il Tribunale poneva a fondamento della decisione, di ritenere la zona di provenienza del ricorrente quale luogo sicuro, le informazioni COI, senza previamente sottoporre le stesse al vaglio delle parti, con violazione del diritto di difesa del ricorrente e del principio del giusto procedimento.

1.2. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione della Direttiva 2013/32 UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26.6.2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale e in particolare degli artt. 12, 14, 31 e 46 letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea”: la domanda di protezione internazionale era stata respinta per mancanza di allegazioni rispetto a quanto dichiarato, cosa che avrebbe dovuto indurre il Giudice a una nuova audizione del ricorrente al fine di far valere le proprie osservazioni prima dell’adozione della decisione.

1.3. – Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, del Protocollo relativo allo status dei rifugiati adottato a New York il 31.1.1967 e della Direttiva n. 2004/83/CE del Consiglio del 29.4.2004”; giacchè l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti fanno carico congiuntamente al richiedente e all’esaminatore che dovrà utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per raccogliere le prove necessarie a sostegno della domanda e, se le dichiarazioni non siano suscettibili di prova, ove il racconto sia credibile, al ricorrente si dovrà concedere il beneficio del dubbio.

1.4. – Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ovvero del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (vecchia formulazione) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″. Mentre con il sesto deduce l'”Omesso esame dei fatti decisivi della richiesta di protezione umanitaria in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

1.5. – Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione art. 10 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; asserendo che sarebbe solo apparente la motivazione che rigetti la richiesta di concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari per asserita insussistenza dei presupposti e mancanza di prove in ordine alla violazione dei diritti fondamentali in caso di rimpatrio.

2. – I motivi, che in quanto connessi vanno unitariamente esaminati, sono inammissibili anzitutto per carenza di decisività, in quanto non colgono quella che è la autonoma ratio della evocata pronuncia, per la quale, secondo lo stesso racconto del richiedente, egli era stato indotto ad abbandonare il proprio paese di origine in conseguenza del diffondersi di epidemie (di cui quella di ebola sarebbe peraltro cessata da diversi anni secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità); e dunque al di fuori dei presupposti per la concessione della protezione internazionale. La Corte territoriale, infatti, da un lato ha affermato il carattere privato di quella vicenda, e dall’altro ha indicato quale ragione per l’abbandono del paese di origine il timore, infondato, dell’epidemia di ebola, elemento quest’ultimo che non giustificava il riconoscimento dello status di rifugiato. Peraltro tale autonoma ratio, che si aggiunge a quella sul carattere meramente privato di detta vicenda sanitaria, sulla quale il ricorrente incentra la propria contestazione, non è stata tuttavia censurata.

Inoltre (rilevato che l’esigenza sottesa alla esposizione sommaria è appunto quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa), va posto in rilievo il contenuto, del tutto frammentatrio e disordinato, con cui sono state trattate le situazioni prese, di volta in volta, in considerazione.

2. – Ma, nei termini in cui sono stati formulati i motivi difettano anche di specificità.

Costituisce principio largamente consolidato che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Se è vero, peraltro, che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014) anche (e soprattutto) in riferimento alla necessaria individuabilità delle singole rationes decidendi della spiegata controversia.

Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015). Così, dunque, i motivi di impugnazione che prospettino (come nella specie) un vizio di legittimità (non solo senza la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche senza idonee argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie) sono altrettanto inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016).

2.1. – In particolare i motivi quinto, sesto e settimo motivo inducevano il Giudice a ritenere ininfluente la disamina del percorso di integrazione sociale. Invero, il Tribunale avrebbe dovuto prendere in esame il percorso di integrazione sociale dell’istante, raffrontandolo con le condizioni di vita del Senegal. La grave situazione debitoria del ricorrente, anche se irrilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, avrebbe dovuto invece rilevare sotto il profilo della protezione umanitaria in quanto indice di una vulnerabilità personale.

Inoltre, la sentenza della Suprema Corte (Cass. n. 4455 del 2018) impone una valutazione comparativa effettiva tra il grado di inserimento sociale e lo specifico esame della situazione oggettiva e soggettiva del richiedente nel Paese d’origine, rapportato all’attualità. Nella fattispecie, invece, mancava tale valutazione comparativa.

2.2. – Nel quinto e sesto motivoil ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 6 e l’omesso esame di fatti decisivi in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria. Il ricorrente denuncia, in particolare, l’omessa verifica delle effettive condizioni di vulnerabilità personale del richiedente e la mancata valutazione comparativa tra l’attuale contesto di vita nel nostro paese e la situazione del Senegal.

Orbene i motivi appaiono tutti inammissibili per genericità, in quanto non individuano una specifica situazione di vulnerabilità personale del richiedente. Anche in relazione alla protezione umanitaria, infatti, l’attivazione da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria presuppone l’allegazione da parte del ricorrente di una ben determinata situazione di “vulnerabilità”, che va specificamente delineata nei suoi elementi costitutivi, onde consentire di effettuare una effettiva valutazione comparativa della situazione del richiedente con riferimento al paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018).

Infine, con il settimo motivo, il richiedente denuncia la violazione dell’art. 10 Cost., osservando che la sentenza impugnata, nel negare la protezione internazionale, abbia violato il fondamentale diritto di asilo, costituzionalmente garantito.

Ma questa Corte ha più volte affermato che il diritto di asilo sancito dall’art. 10 Cost., è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste in relazione alle diverse forme di protezione interna, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (Cass. n. 11110 del 2019; Cass. n. 16362 del 2016).

3. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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