Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8357 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. II, 24/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 24/03/2021), n.8357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24165/2019 proposto da:

D.B., rappresentato e difeso dall’Avvocato MICHELE PAROLA,

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in CUNEO, V.le

ANGELI 24;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1122/2019 della CORTE d’APPELLO di TORINO,

depositata in data 27/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.B. proponeva appello avverso l’ordinanza del 4.10.2018, con la quale il Tribunale di Torino rigettava il ricorso avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere cittadino (OMISSIS), di etnia (OMISSIS) e religione musulmana; di essere nato e cresciuto a (OMISSIS) e di aver svolto il mestiere di guardia forestale; che una sera, mentre si trovava al lavoro, causava accidentalmente un incendio con una sigaretta spenta male, che velocemente divampava e coinvolgeva la foresta vicina; spaventato per il fatto di non essere riuscito a spegnerlo e per le possibili conseguenze, decideva di lasciare il Paese recandosi in Senegal e poi in Algeria e in Libia, giungendo in Italia il (OMISSIS); dopo la partenza veniva a sapere che il fratello era stato arrestato allo scopo di ottenere informazioni sul richiedente, poi rilasciato dopo aver saputo che l’istante era fuggito dal Paese; che temeva, in caso di rimpatrio, di essere arrestato o di essere vittima della vendetta dei soggetti danneggiati dall’incendio.

Con sentenza n. 1122/2019, depositata in data 27.6.2019, la Corte d’Appello di Torino rigettava l’appello, ritenendo di condividere la valutazione di non credibilità del racconto (stante l’esposizione generica e contraddittoria), già espressa dalla Commissione Territoriale e dal Tribunale. A prescindere dall’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni dell’appellante, non emergevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non ravvisandosi alcun atto di persecuzione ai sensi di legge. Si trattava di una questione personale e privata, non attinente alle ragioni per cui è prevista la protezione internazionale. Anche la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria non veniva accolta dal momento che, in caso di rimpatrio, l’appellante non sarebbe stato esposto al rischio di subire alcun danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); nè ricorreva l’ipotesi di cui alla lett. c) della suddetta norma, di violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, in quanto la grave situazione socio-politica del Gambia, derivante dalla dittatura di J. durata oltre vent’anni, era stata superata dall’elezione del nuovo Presidente, B., avvenuta nel (OMISSIS): il governo aveva annunciato una serie di misure per garantire il rispetto degli standard di diritti umani, l’impegno a istituire una Commissione nazionale per i diritti umani e l’impegno a rivedere la Costituzione al fine di garantire l’indipendenza del sistema giudiziario. Infine, veniva respinta anche la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, in quanto l’appellante nulla motivava in ordine alla ricorrenza di precisi presupposti per la concessione di un permesso umanitario.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione D.B. sulla base di un motivo. L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difesa alcuna.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ordine alla corretta interpretazione dell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (pre riforma D.L. n. 113 del 2018)”, poichè, nelle more del ricorso, il ricorrente era contattato dal fratello, che gli faceva pervenire un “avviso da ricercato” nei suoi confronti, ancora affisso nei locali della Polizia di (OMISSIS), da cui risultava che il D. fosse ricercato per incendio doloso, avvenuto il 2.5.2015, giorno di allontanamento dal Gambia e che l’incendio aveva coinvolto la foresta (mentre la sentenza afferma che fosse limitato a un edificio). Nella fattispecie, non vi è una piena sicurezza che il ricorrente potesse sperare di essere giudicato con equità. Pertanto, la sentenza impugnata non ha fatto una verifica puntuale dell’effettiva situazione giudiziaria del ricorrente.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

Va inoltre rilevato che la valutazione, in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti per la attribuibilità delle singole protezioni costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.).

1.3. – Nel caso concreto, peraltro, i fatti allegati nel giudizio di merito non attengono a situazioni di violenza indiscriminata, derivante da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda meramente personale del richiedente, risolvibile mediante il ricorso alla giustizia ordinaria e non attraverso forme di violenta coercizione (neppure specificamente ipotizzata in capo al ricorrente). Tali cd)rcostàie inducono a ritenere il richiedente non riconducibile nell’ambito della previsione di cui all’art. 1 della Convenzione di Ginevra e al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8; laddove, sotto tale profilo, il giudice di merito ha, peraltro, comunque accertato (mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate e specificamente citate nel provvedimento impugnato, del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8: pag. 4) la insussisteza del timore del ricorrente di essere sottoposto a vessazioni, senza possibilità di ottenere tutela.

1.4. – Ciò posto, questa Corte osserva come, viceversa, la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda, ora, una nuova complessiva (ri)valutazione del giudizio di credibilità del richiedente, proponendo censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. – Il ricorso è dunque inammissibile. Nulla per le spese del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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