Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8354 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. II, 24/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 24/03/2021), n.8354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23894/2019 proposto da:

B.E., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIAROSA

PLATANIA, da Monfalcone ed elettivamente domiciliato presso il suo

studio in MONFALCONE, VIA SANT’AMBROGIO 54;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 4763/2019 del TRIBUNALE di TORINO, depositato

in data 11/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.E. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o, in subordine, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il ricorrente aveva riferito di essere cittadino bengalese, coniugato con 4 figli e di aver lasciato il Paese d’origine in quanto sarebbe stato incarcerato due volte essendo un “venditore ambulante di stupefacenti”; temeva, in caso di rientro, per la propria incolumità in quanto in Bangladesh la polizia ucciderebbe i trafficanti di stupefacenti.

Con Decreto n. 4763/2019, depositato in data 11.7.2019, il Tribunale di Torino rigettava il ricorso, ritenendo il racconto del tutto inverosimile: non si comprendeva come uno spacciatore, poverissimo, avesse potuto uscire dal carcere pagando una cauzione; nè come avesse potuto rimanere nascosto per ben due anni, pur vivendo a casa propria e recandosi ogni tanto, allorchè la polizia lo cercava, da parenti o amici; nè come dopo due arresti non fosse stata emessa alcuna sentenza di condanna. Pertanto, il Tribunale condivideva la valutazione di non credibilità effettuata dalla Commissione. Inaccoglibile era la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto non risultava evidenza credibile di un’effettiva specifica persecuzione per i motivi rilevanti ai fini di legge. Neppure si ravvisavano gli estremi per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto, alla luce della mancanza di credibilità della vicenda esposta, doveva ritenersi che difettasse il rischio di subire una condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte o il rischio di subire forme di tortura o detenzione connesse a trattamenti inumani (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)); nè risultava esposto a una minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato (lett. c della suddetta disposizione) dal momento che il Bangladesh non versava in tale situazione, come evidenziato dalle COI disponibili. Infine, infondata risultava anche la domanda di concessione della protezione umanitaria, in quanto nella fattispecie non erano state allegate situazioni afferenti beni primari della persona, nè essa poteva essere concessa alla luce di un’integrazione sociale, seppur documentata, giacchè quest’ultima non poteva ritenersi, di per sè, ragione sufficientemente idonea a tale scopo. Nè, procedendo alla “valutazione comparativa” tra la situazione del richiedente in Italia e quella che egli aveva vissuto prima della partenza e in cui si sarebbe trovato a vivere in caso di rimpatrio, risultava un’effettiva e incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione B.E. sulla base di quattro motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 4 e 5, per aver fondato il giudizio di rigetto delle domande sull’illegittimo convincimento che il racconto non fosse veritiero, mentre il ricorrente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, fornendo documentazione plausibile sulle condizioni generali del Paese”. Il convincimento del Giudice si sarebbe basato esclusivamente sulla credibilità soggettiva e su un’interpretazione erronea del carteggio processuale. Viceversa il Giudice avrebbe dovuto attivare canali diplomatici, rogatorie e atti amministrativi nel tentativo di temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti.

1.2. – Con il secondo motivo, il richiedente deduce la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, non avendo il Tribunale, ai fini della fondatezza o meno della domanda di protezione internazionale, provveduto al dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del Paese di provenienza del ricorrente, mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale” Il Tribunale riteneva il racconto non credibile perchè illogico e lacunoso senza effettuare alcuna indagine per chiarire il contenuto delle dichiarazioni.

1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la “Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, non avendo il Tribunale verificato da informazioni esterne la reale situazione del Paese di provenienza, non avendo considerato il grave rischio per l’incolumità del ricorrente in caso di rientro nel Paese d’origine”. Anche con riferimento alla protezione sussidiaria il Tribunale si basava solo sulla non credibilità soggettiva del richiedente e non sulla oggettiva dimostrazione che il racconto non fosse veritiero.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i primi tre motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – I motivi sono inammissibili.

2.2. – Onde pervenire alla concessione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), è invero indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente.

Peraltro, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), che costituisce un parametro di attendibilità della narrazione (Cass. n. 3340 del 2019). In mancanza di credibilità dell’istante deve, di conseguenza, escludersi la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti.

Nel caso di specie, il giudice adito ha adeguatamente motivato circa le ragioni per le quali ha ritenuto non attendibili, e comunque inidonee a fondare una domanda di protezione internazionale, le dichiarazioni del richiedente, trattandosi di motivazioni di carattere esclusivamente economico, concernenti i debiti contratti in patria per il riscatto, in relazione ai quali non risulta, peraltro, che l’istante abbia allegato e dimostrato, nel giudizio di merito – come si desume dall’impugnato decreto come uno spacciatore poverissimo avesse potuto uscire dal carcere pagando una cauzione. A fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame si traducono, in concreto, in una richiesta di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Cass. n. 8758 del 2017).

Va, pertanto, esclusa in radice – attesa la non attendibilità dello straniero – la concessione al medesimo dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Per quanto concerne, poi, la protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) del decreto succitato, la Corte d’appello ha accertato (con ricorso alle fonti internazionali citate nel provvedimento, tra cui specificamente Human Rights Watch, World Report 2017-Bangladesh, 2017; Amnesty International 2017) che nella zona di origine dell’istante non sussiste una situazione di violenza indiscriminata, derivante da un conflitto interno o internazionale.

Ebbene, a fronte di tali motivati accertamenti in fatto, il motivo di ricorso si sostanzia, per contro, in generiche deduzioni circa il regime giuridico della forma di protezione in esame, nonchè nell’allegazione di circostanze fattuali e di valutazioni di merito.

3. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non avendo il Tribunale riconosciuto la protezione umanitaria benchè il ricorrente avesse riferito della sua condizione di vulnerabilità essendo del tutto privo di risorse nel Paese d’origine e quindi violazione degli artt. 2 e 3 CEDU, dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 e art. 2 Cost. e in pericolo di vita”; anche in questo caso il Tribunale ometteva di acquisire maggiori informazioni da parte dell’Autorità estera o dalle fonti internazionali.

3.1. – Anche tale motivo è inammissibile.

3.2. – Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (cfr. Cass. n. 17072 del 2018; Cass. n. 22979 del 2018) che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non

integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria (…) (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan.zi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”.

La protezione umanitaria costituisce, dunque, una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 23604 del 2017; Cass. n. 252 del 2019). Ciò che si demanda al giudice è “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)”.

A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, allo scopo di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. n. 12537 del 2020; cfr. Cass. n. 4455 del 2018).

Nella specie, il Tribunale (lungi dall’omettere la doverosa attività istruttoria) ha correttamente posto in rilievo come non fossero stati addotti motivi o documenti dai quali ricavarsi che il ricorrente fosse affetto da stati patologici di rilievo o presenti specifici caratteri di vulnerabilità tali da far concludere che un rientro nel paese di origine lo avrebbe esposto a situazioni umanitarie di particolare complessità tali da giustificare l’applicazione della pronuncia residuale. Ciò influendo sulla praticabilità stessa della suddetta valutazione comparativa.

4. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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