Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8353 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. II, 24/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 24/03/2021), n.8353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24646/2019 proposto da:

T.I., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIANDOMENICO

DELLA MORA, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA n. 516/2019 della CORTE D’APPELLO DI TRIESTE,

depositata il 22/7/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’impugnazione che T.I., nato in (OMISSIS), aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

T.I., con ricorso notificato il 12/8/2019, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ha lamentato la violazione e l’errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha respinto la domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. c), ritenendo che, nella regione di provenienza dello stesso, e cioè il Punjab, le condizioni non sarebbero tali da esporlo, in caso di rientro, ad un concreto pericolo di vita non sussistendo un clima di insicurezza generale.

1.2. La corte d’appello, però, ha osservato il ricorrente, così facendo, non ha considerato che, al contrario, il Pakistan è caratterizzato da un clima di violenza generalizzata, che coinvolge anche il Punjab, e da un quadro di sicurezza complessivamente precario, con elevato rischio di attentati e di rappresaglie da parte di organizzazioni terroristiche.

1.3. Il conflitto locale di cui all’art. 14 cit., ha concluso il ricorrente, non può essere, infatti, inteso solo nel senso di guerra civile dovendo comprendere tutte quelle situazioni in cui gli scontri o le forme di violenza abbiano assunto connotazioni di persistenza e di stabilità e livelli significativi di diffusione, sfuggendo al controllo degli apparati statali o giovandosi della contiguità culturale e politica di questi.

2.1. Il motivo è infondato. Il riconoscimento della protezione internazionale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), presuppone, in effetti, una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, la quale dev’essere accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019).

2.2. La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020), indicando la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

2.3. La decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti. Nel caso in esame, infatti, la corte d’appello, con apprezzamento in fatto che (corretto o meno che sia) non è stato specificamente impugnato per omesso esame di fatti decisivi a suo tempo dedotti nel giudizio di merito, ha ritenuto che, alle luce delle informazioni ricavate dalle fonti internazionali a tal fine consultate, nella regione di provenienza del richiedente non sussisteva, pur a fronte di episodi di conflitto, una situazione di violenza tale che la sola presenza di civili nell’area in questione costituisse per gli stessi un pericolo per la vita o la loro incolumità.

2.4. Il ricorrente, d’altra parte, non ha adempiuto all’onere di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 26728 del 2019), e tali da far ritenere che, nella zona di provenienza del richiedente, per effetto di un conflitto armato interno tra le forze governative e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, sussista un grado di violenza indiscriminata di livello talmente elevato che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subirne la conseguente minaccia.

3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 29 e 32, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto l’insussistenza dei requisiti richiesti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

3.2. La corte d’appello, però, ha osservato il ricorrente, così facendo, non ha considerato che il richiedente è stato costretto a lasciare il Pakistan per le minacce subite da un’organizzazione terroristica che è arrivata a penetrare in casa con le armi per indurlo a ripudiare la propria moglie in quanto cristiana.

3.3. D’altra parte, ha aggiunto il ricorrente, il suo Pese di provenienza è caratterizzato da una situazione che si traduce, a causa del perdurare e il diffondersi di numerosi conflitti locali a fondo politico, etnico e religioso e di un clima generale di violenza e di assoluta carenza delle condizioni minime di sicurezza, in potenziali rischi per l’incolumità dei cittadini e nella loro esposizione a comportamenti gravemente degradanti.

3.4. La corte d’appello, quindi, ha concluso il ricorrente, ha erroneamente escluso, anche alla luce della circolare del ministero dell’interno n. 3716 del 2015, che l’attuale e perdurante situazione di insicurezza nel Punjab pakistano attribuisse al richiedente il diritto ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4.1. Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto l’insussistenza dei requisiti richiesti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4.2. La corte d’appello, però, ha osservato il ricorrente, così facendo, non ha provveduto ad alcuna comparazione tra la condizione del richiedente in Pakistan rispetto all’integrazione culturale, linguistica e lavorativa che lo stesso ha raggiunto in Italia.

4.3. Non v’ è dubbio, quindi, che, se fosse costretto a tornare in Pakistan, il richiedente subirebbe una modificazione in pejus della sua condizione esistenziale.

5.1. Il secondo ed il terzo motivo sono infondati. La protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017).

I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

5.2. Nel caso di specie, la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, che il richiedente non presenta una situazione di vulnerabilità personale che potesse giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata. Nel caso di specie, però, ciò non è accaduto: il ricorrente, infatti, pur avendone l’onere (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, che aveva dedotto nel giudizio di merito e che, pur se decisivi ai fini di una differente pronuncia a lui favorevole, non sono stati oggetto di esame da parte del giudice di merito.

5.3. D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018).

Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, a sua volta, non può derivare, come correttamente affermato dalla corte, dallo svolgimento in quest’ultimo di un’attività lavorativa (Cass. n. 8367 del 2020), in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra, con la riproduzione dei relativi passi, di aver dedotto con il ricorso contenente la domanda di protezione umanitaria.

6. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

8. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al ministero dell’interno le spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA