Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8353 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/04/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 08/04/2010), n.8353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BRAGADIN S.R.L., ora ARCOBALENO S.R.L. in liquidazione, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato

SCAPPATICCI MARIA LUCIA, rappresentata e difesa dall’avvocato LELY

GIOVANNI, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144,

presso lo studio degli avvocati ZAMMATARO VITO, PIGNATARO ADRIANA,

che lo rappresentano e difendono giusta mandato in calce al ricorso;

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario

della Societa’ di Cartolarizzazione dei crediti INPS, S.C.CI. S.p.A,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO,

MARITATO LELIO, giusta delega in calce al controricorso;

MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 643/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 08/07/2006 R.G.N. 22/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

02/03/2010 dal Consigliere Dott. CURZIO Pietro;

udito l’Avvocato GUIDO ORLANDO per delega LELY GIOVANNI;

udito l’Avvocato LORELLA FRASCONA’ per delega ZAMMATARO VITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Bragadin srl, ora Arcobaleno srl in liquidazione, chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila, pubblicata il 18 luglio 2006, che ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di Avezzano aveva respinto l’opposizione, proposta dalla srl ricorrente, nei confronti di un verbale ispettivo e di due decreti ingiuntivi emessi, rispettivamente, su richiesta ed in favore dell’INPS e dell’INAIL. Il ricorso e’ articolato in quattro motivi.

Ministero del lavoro e della previdenza sociale, INPS ed INAIL si difendono con distinti controricorsi.

La questione oggetto della decisione concerne l’inquadramento dell’impresa. Il Tribunale e la Corte d’Appello hanno rigettato la richiesta della Bragadin srl di essere inquadrata nel settore agricolo, ritenendo che non rientrasse nella fattispecie delineata dall’art. 2135 c.c. (nella formulazione anteriore alla novella introdotta dal D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 208, art. 1 in quanto i fatti risalgono all’inizio degli anni novanta).

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 2135 c.c., nonche’ della L. 31 marzo 1979, n. 92, art. 6, lett. d.

Riconosciuto che i fatti sono anteriori alla modifica dell’art. 2135 c.c., introdotta dalla L. del 2001 su citata, la ricorrente assume che i giudici avrebbero violato la norma perche’ anche secondo la previgente formulazione dell’art. 2135 c.c., puo’ considerarsi impresa agricola quella che, pur non essendo proprietaria di terreni agricoli e/o di attrezzature agricole, comunque li possiede a diverso titolo, provvedendo a coltivare i fondi ed alla raccolta del prodotto con l’impiego di braccianti alle proprie dipendenze e con l’utilizzo di attrezzature di terzi o del socio conferitore” (cosi’ il quesito di diritto sul punto).

La censura e’ infondata perche’, contrariamente a quanto si sostiene nella esposizione del motivo, la disciplina introdotta nel 2001 e’ innovativa rispetto a quella previgente.

Quella nuova, come si e’ piu’ volte affermato, non e’ una norma di interpretazione autentica. Di conseguenza non e’ retroattiva, ne’ la irretroattivita’ comporta un problema di illegittimita’ costituzionale, in quanto si verte in una fisiologica forma di attuazione del principio dettato dalla disposizioni sulla legge in generale.

Cio’ premesso, deve rilevarsi che la Corte ha correttamente interpretato la norma, nella versione applicabile ratione temporis, e la pretesa della ricorrente di assegnarle il medesimo contenuto della norma riformata non ha fondamento.

Al di la’ di questa richiesta, il problema posto non e’ di interpretazione della norma, ma di valutazione della prova. E’ condivisibile la tesi per cui l’imprenditore, per essere considerato agricolo, non deve necessariamente essere il proprietario dei fondi, ma puo’ anche detenerli ad altro titolo, tuttavia egli deve provare questo secondo tipo di situazione, prova che nel caso in esame non e’ stata data.

La Corte, valutando i dati istruttori, ha ritenuto che nel caso in esame “l’attivita’ di commercializzazione, lungi dal rappresentare un’attivita’ strumentale, si rivela invece come attivita’ preponderante.. .al punto da far ritenere l’attivita’ agricola strumentale a quella commerciale e non viceversa”.

Nell’affermare cio’ la Corte interpreta correttamente la norma di riferimento e valuta gli elementi acquisiti. Le critiche della ricorrente si risolvono in critiche nel merito della decisione, che non possono avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Analogo discorso vale per il secondo profilo del motivo, con il quale si denunzia la violazione della L. 92 del 1979, art. 6, lett. d. La norma dispone che si considerano lavoratori agricoli dipendenti gli operai assunti ….d) da imprese non agricole …. Se addetti ad attivita’ di raccolta dei prodotti agricoli”.

Anche con riferimento a questa norma la Corte non ha affermato principi di diritto errati, ma ha solo ritenuto, applicandola puntualmente, che i lavoratori della ricorrente non svolgessero attivita’ di braccianti agricoli, in quanto, sebbene assunti con tale qualifica, nei fatti svolgevano prevalentemente altre attivita’. La norma, come si e’ visto, si conclude con la precisazione “…se addetti ad attivita’ di raccolta dei prodotti agricoli”. Quindi, cio’ che in definitiva rileva, non e’ la qualifica di assunzione, ma l’attivita’ in concreto svolta. Anche qui, pertanto, non vi e’ un problema di violazione di legge, ma solo di valutazione della prova.

Con il secondo motivo si denunzia una violazione di legge e precisamente dell’art. 112 c.p.c. perche’ la Corte avrebbe ignorato la censura di violazione della L. n. 92 del 1979, art. 6, lett. d, e l’eccezione di illegittimita’ costituzionale relativa alla irretroattivita’ della modifica dell’art. 2135 c.c..

Il motivo e’ privo di fondamento. Come si e’ visto, pur non citando lo specifico articolo, la Corte ha valutato e motivato sul problema della assunzione di braccianti agricoli, mentre l’eccezione di legittimita’ costituzionale non meritava specifica trattazione, data la sua manifesta infondatezza.

Il terzo motivo e’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 116, 437 c.p.c.. Il giudice di appello avrebbe violato queste norme non ammettendo e non pronunciandosi su alcune richieste istruttorie formulate nel giudizio di appello, e precisamente: una richiesta di consulenza tecnica d’ufficio per accertare l’attivita’ effettivamente svolta dalla ricorrente, una richiesta di prova testimoniale e una richiesta di informazione alle associazioni sindacali. Nella seconda parte del motivo si cambia l’impostazione, assumendo che l’errore del giudice sarebbe stato quello di non aver esercitato i poteri d’ufficio in tal senso e nel non aver valutato le prove secondo il prudente apprezzamento. Il motivo e’ infondato perche’ nel giudizio di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova. La Corte ha poteri d’ufficio, qualora ritenga “l’indispensabilita’” di nuovi mezzi istruttori, ma si tratta di un potere da usare in modo estremamente cauto e il suo mancato esercizio non ha bisogno di specifica motivazione. Quanto alla mancanza di un prudente apprezzamento della prova, non vengono mosse censure specifiche alla motivazione sul punto della decisione, per cui ancora un volta il ricorso si pone al di fuori dei confini del giudizio di legittimita’.

Con il quarto motivo si denunzia invece un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, che sarebbero costituiti dalla natura agricola dell’attivita’ della societa’ e dall’inquadramento comunque agricolo dei dipendenti.

La motivazione sul punto non puo’ dirsi omessa, come del resto riconosce la ricorrente, laddove assume che essa e’ insufficiente e contraddittoria. La contraddittorieta’, poi, deriverebbe dal fatto che la Corte nell’argomentare la sua valutazione ha considerato la denunzia presentata all’ufficio IVA “scaturita da un errore dei consulenti commerciali” della ricorrente, la mancanza di titoli di proprieta’ o detenzione dei terreni e dei mezzi agricoli e la mancata annotazione nel bilancio di partite afferenti l’attivita’ agricola.

Non si vede pero’ perche’ la Corte non avrebbe dovuto considerare tali elementi e comunque non si vede quale contraddizione argomentativa sarebbe stata posta in essere. Si e’, ancora una volta, in presenza di una diversa valutazione del quadro probatorio che non puo’ essere proposta in sede di legittimita’. La medesima considerazione vale per la valutazione della prova circa l’attivita’ realmente svolta dai lavoratori assunti con la qualifica di braccianti agricoli la cui censura viene formulata come se della questione si stesse investendo un terzo giudice del merito.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto, con conseguente condanna della societa’ ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente alla rifusione, in favore delle tre controparti, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, per ciascuna di esse, in Euro 15,00, nonche’ 4.000,00 per onorari.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

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