Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 835 del 16/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 835 Anno 2014
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: BLASUTTO DANIELA

ORDINANZA
sul ricorso 260-2012 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, TRIOLO VINCENZO,
STUMPO VINCENZO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

DONATELLI MARIA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 6224/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 9.12.2010, depositata il 23/12/2010;

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Data pubblicazione: 16/01/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
10/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito per il ricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott.

FATTO E DIRITTO
Con ricorso al Tribunale di Lucera, Maria Donatelli, operaia agricola a
tempo determinato, aveva convenuto in giudizio l’Inps, chiedendo
venisse accertato il suo diritto alla differenza dell’indennità di
disoccupazione per l’anno 2003; la ricorrente – premesso che il
trattamento di disoccupazione le era stato corrisposto dall’Istituto sulla
base del salario medio convenzionale congelato all’anno 1995 sosteneva che il medesimo trattamento doveva essere invece calcolato,
ai sensi del D. Lgs. n. 146 del 1997, art. 4, sui minimi retributivi
previsti dalla contrattazione collettiva provinciale, ivi compreso
l’elemento denominato t.f.r., con conseguente diritto alle differenze tra
quanto spettante e quanto percepito.
La domanda è stata dichiara inammissibile dal giudice di primo grado,
che ha ritenuto intervenuta la decadenza di cui all’art. 47, terzo comma
D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 mentre la Corte d’appello di Bari, con
sentenza depositata l’11 gennaio 2011, l’ha accolta integralmente.
Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione —
notificato in data 15-16 dicembre 2011 -, con tre motivi.
La parte intimata non si è costituita in questa sede.
Il procedimento è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c. con le
modifiche e integrazioni successive, in particolare quelle apportate
dalla legge 18 giugno 2009 n. 69.

Ric. 2012 n. 00260 sez. ML – ud. 10-10-2013
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COSTANTINO FUCCI che si riporta alla relazione scritta.

Col primo motivo, l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 47 D.P.R.
30 aprile 1970 n. 639 e successive modificazioni.
Col secondo e col terzo motivo l’Istituto ricorrente, lamentando la
violazione dell’art. 18, comma 18° del D.L. n. 98/2011, convertito in

per gli operai agricoli e florovivaisfi del 2002 in relazione all’art. 6,
comma 4 0 , lettera a) del d.lgs. n. 314/97 nonché in relazione agli artt.
1362 e ss., 2120 cod. civ. ed all’ artt. 4 commi 10 0 e 11° legge 297/82,
censura, in via logicamente subordinata, la sentenza unicamente per
avere incluso nella retribuzione da prendere a base per la liquidazione
dell’indennità di disoccupazione anche la voce denominata “quota di
TFR”, la quale invece non dovrebbe esserlo, per avere essa —
contrariamente a quanto affermato la Corte territoriale — effettiva
natura di retribuzione differita.
È stata depositata relazione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che ha
concluso per la manifesta fondatezza del ricorso. Il Collegio ha
ritenuto la sussistenza dei presupposti per la definizione del giudizio in
camera di consiglio
Il ricorso è manifestamente infondato nel primo motivo e
manifestamente fondato nel secondo e nel terzo, qui trattati
unitariamente.
Va premesso che l’originario testo dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970
n. 639 stabiliva quanto segue.
“Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione
dinanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod. proc.
civ.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni
dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso
pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza
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L. n. 111/2011 e, in via subordinata, degli artt. 46, 51 e 55 del CCNL

del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se
trattasi di controversie in materia di trattamenti pensionistici.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni
dalle date di cui al precedente comma se trattasi di controversie in
materia di prestazioni a carico dell’assicurazione contro la tubercolosi e

Col successivo art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103, convertito con
modificazioni nella legge 10 giugno 1991 n. 166, ritenuto da Corte
Cost., con la sent. n. 246 del 1992, di interpretazione autentica dell’art.
47 D.P.R. n.639/70, venne poi stabilito:
“1 — I termini previsti dall’art. 47, commi secondo e terzo del D.P.R
30 aprile 1970 n. 639 sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del
diritto alla prestazione previdenziale . la decadenza determina
l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e
l’inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata
proposizione del ricorso amministrativo, i termini decorrono
dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2 — Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia
retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data
di entrata in vigore del presente decreto”.
Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi secondo e
terzo del citato art. 47 sono stati successivamente sostituiti dai
seguenti:
“Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione
giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine
di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso
pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza
del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione ovvero
dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del
Ric. 2012 n. 00260 sez. ML – ud. 10-10-2013
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dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria”.

procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di
presentazione della richiesta di prestazione.
Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’art.
24 della legge 9 marzo 1989 n. 88, l’azione giudiziaria può essere
proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di

L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le disposizioni indicate
“non si applicano ai procedimenti istaurati anteriormente alla data di
entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima
data”.
Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d) del D.L. 6 luglio
2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha aggiunto
al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: “Le decadenze
previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni
giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute
solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il
termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della
prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, precisando al quarto
comma che “Le disposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d) si applicano
anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore
del presente decreto”.
Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la giurisprudenza
consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da ultimo,
sulla base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce le tesi
della precedente Cass. S.U. 18 luglio 1996 n. 6491-, cfr., ad es., Cass. 20
gennaio 2010 n. 948 e 26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto qui
interessa e fino alla citata recente novella del 2011, nel senso della
inapplicabilità della decadenza alle domande di adeguamento di

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cui al precedente comma”.

prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente
dall’ente previdenziale.
Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del 29
maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto
nell’ambito della sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza

D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella
L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei
casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il
riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé
considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già
riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei
casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in
errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto
una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite
che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa da
un collegio della sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria
depositata il 18 gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa
Corte, sulla base del rilievo che l’interpretazione prevalente non
apparirebbe giustificata dal tenore letterale e dalla considerazione delle
finalità della norma, la quale riguarderebbe viceversa ogni tipo di
azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle sezioni
unite della Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la citata
novella di cui all’art. 38, primo comma, lett. d) del recente D.L. 6 luglio
2011 n. 98, convertito in legge n. 111/’11, è stata quindi disposta la
restituzione degli atti alla sezione lavoro, sulla base della
considerazione della necessità di valutare la persistenza del proposito
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di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal

di investire della questione le sezioni unite, alla luce della valutazione
della eventuale incidenza delle norme di legge citate sulla
interpretazione del l’art. 47, vigente prima di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina,
esprimendo il proposito del legislatore di modificare in materia, con

consolidatasi per effetto delle recente pronuncia delle sezioni unite del
2009, conferma indirettamente la corrispondenza di quest’ultima
all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella
del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della
Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo
stesso legislatore convincono in definitiva il collegio della
inapplicabilità dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima delle
integrazioni apportate dell’art. 38 del D.L. n. 98 del 2011, al caso di
richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente
riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
Essendosi la Corte territoriale attenuta a tale regola, il primo motivo di
ricorso deve essere respinto.
Sono invece manifestamente fondati il secondo e il terzo motivo.
In proposito, si ricorda che questa Corte ha ripetutamente enunciato,
ad es. con la sentenza n. 202/2011, con riferimento a fattispecie
analoghe a quella in esame, il seguente principio: “Confermandosi
quanto già ritenuto dalla precedente sentenza di questa Corte n.
10546/2007 per cui ai fini della liquidazione delle prestazioni
temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione – definita dalla
contrattazione collettiva provinciale, da porre a confronto con il salario
medio convenzionale ex art. 4 del D.lgs. 16 aprile 1997 n. 146 – non è
comprensiva del trattamento di fine rapporto, va ulteriormente
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una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale

affermato che, sulla base del suddetto principio, la voce denominata
“quota di TFR” dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del
27.11.1991, va esclusa dal computo della indennità di disoccupazione,
in considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti, che è
vietato disattendere in forza della disposizione di cui all’art. 3 D.L. 14

del quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli
accordi collettivi, non può essere individuata in difformità rispetto a
quanto definito negli accordi stessi. Dovendo escludersi che detta voce
abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti, non
è ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte
dell’autonomia collettiva.”
Si rileva altresì, in proposito, che recentemente il significato della
norma di cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 146 del 1997 individuato dalla
giurisprudenza sopra citata è stato esplicitato anche dal legislatore, che
all’art. 18, comma 18° del D.L. n. 98 del 2011, convertito nella legge n.
111 dello stesso anno, ha specificato che “L’art. 4 del D. Lgs. 16 aprile
1997 n. 146 e l’art. 1, comma 5° del D.L. 10 gennaio 2006 n. 2,
convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006 n. 81, si
interpretano nel senso che la retribuzione utile per il calcolo delle
prestazioni temporanee in favore degli operai agricoli a tempo
determinato non è comprensiva della voce del trattamento di fine
rapporto comunque denominato dalla contrattazione collettiva”.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art.
384, secondo comma, c.p.c. può provvedersi nel merito e rigettarsi la
domanda.
Tenuto conto dei dubbi interpretativi che hanno riguardato le
questioni oggetto del presente giudizio, è giustificata la compensazione
delle spese dell’intero giudizio.
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giugno 1996 n. 318 convertito in legge 29 luglio 1996 n. 402, a norma

P. Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo
nel merito, rigetta l’originaria domanda quanto all’inclusione del TFR
nella base di calcolo dell’indennità di disoccupazione; compensa le
spese dell’intero processo.

Il Presidente

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 ottobre 2013

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