Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8346 del 12/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/04/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 12/04/2011), n.8346

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato MICHELE SANDULLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato DEL FORNO FRANCESCO SAVERIO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., (di seguito per brevita’ solo “Banca”), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso lo studio

dell’avvocato PULSONI FABIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato RAPONE RAFFAELLA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 764/2008 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 18/06/2008 r.g.n. 1083/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2010 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato RAPONE RAFFAELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.L., dipendente della Cassa di Risparmio Salernitana (successivamente Intesa Gestione Crediti S.p.A. ed infine Intesa San Paolo S.p.A.) nel settembre 1987 e’ stato destituito per motivi disciplinari.

Egli ha impugnato il provvedimento di destituzione e nel corso del giudizio ha raggiunto un accordo con il datore di lavoro, in base al quale, a fronte della sua rinunzia all’azione cautelare, l’Istituto di credito gli avrebbe corrisposto un assegno alimentare nella misura del 50% della retribuzione sino alla conclusione del giudizio di merito di primo grado, salvi ed impregiudicati tutti i diritti e le eventuali azioni di rivalsa.

Il provvedimento di destituzione e’ stato dichiarato illegittimo con sentenza 27 gennaio 1994 n. 351 del Pretore di Salerno, passata in giudicato, che ha condannato la Cassa a pagare al C. le retribuzioni spettantegli dal 3 settembre 1987 al 1 settembre 1990, data successivamente alla quale il C. avrebbe goduto del trattamento di quiescenza e pensionistico.

Sulla base della cit. sentenza pretorile 351/1994 il C. notificava precetto per il pagamento di una determinata somma corrispondente alle retribuzioni maturate sino al 1 settembre 1990.

L’istituto intimato si opponeva all’esecuzione chiedendo, per quanto di rilievo, che da tali somme fossero detratte quelle corrisposte in forza dell’accordo transattivo sopramenzionato, da considerare quali acconti.

L’opposizione veniva accolta parzialmente con sentenza 3195 del 2 luglio 1998, nella quale il Pretore dichiarava deducibili gli importi percepiti dal C. in esecuzione di detto accordo sino al 1 settembre 1990, affermando pero’ di non potersi pronunziare sulla deducibilita’ delle somme corrisposte successivamente a tale data sino alla sentenza di merito perche’ estranee al credito azionato in via esecutiva.

La sentenza era confermata in secondo grado. Ma questa Corte con la sentenza 1 giugno 2004 n. 10504 cassava la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, rigettava l’opposizione dell’Istituto di credito.

Nelle more del giudizio di opposizione, la Cassa di risparmio di Salerno otteneva decreto ingiuntivo a carico del C., per il pagamento delle somme da lui indebitamente percepite successivamente al settembre 1990 sino al gennaio 1994, data di conclusione del giudizio di merito, somme sulla cui deducibilita’ la cit. sentenza 3195 del 2 luglio 1998 aveva ritenuto di non potersi pronunziare.

Il C. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, rigettata dal Tribunale con sentenza poi confermata dalla Corte di Appello di Salerno.

La Corte territoriale, replicando ai motivi di censura proposti dall’appellante, osservava, per quanto di rilievo, che la sentenza pretorile n. 351 del 1994 non aveva precluso alla Cassa un’azione autonoma per il recupero di quanto versato al C. nelle more del giudizio e che la successiva sentenza 3195 del 1998 aveva riconosciuto il diritto alla ripetizione, sia pure fino al 1990, sicche’ non vi era alcuna violazione del giudicato.

C.L. chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso per tre motivi. La parte intimata resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Contrariamente a quanto sostenuto nel controricorso, il ricorso e’ ammissibile.

Il quesito di diritto a corredo del primo motivo, pur essendo diffusamente articolato, consente infatti di comprendere la questione posta alla Corte e di rispondervi.

Il secondo motivo di ricorso contiene un’evidente svista nell’indicazione dell’art. 122 anziche’ dell’art. 112 c.p.c. che non puo’ indurre inammissibilita’ di sorta trattandosi di mero errore materiale, e si conclude con un quesito assolutamente lineare nel quale si chiede alla Corte di dire se la mancata pronunzia su di una eccezione ritualmente proposta integri violazione della norma codicistica in ultimo citata.

Nel terzo motivo di ricorso infine il fatto controverso risulta sufficientemente delineato.

Il primo motivo di ricorso, denunziando violazione dell’art. 2909 c.c., addebita alla sentenza impugnata di aver ritenuto proponibile in separato giudizio la domanda di restituzione delle somme erogate dalla Cassa successivamente al settembre 1990 sino alla conclusione del giudizio di merito di primo grado, cosi’ escludendo la rilevanza preclusiva del giudicato formatosi sulla sentenza 25 gennaio 1994 n. 351 del Pretore di Salerno, senza considerare che nel giudizio definito da detta sentenza la Cassa non aveva proposto domanda di ripetizione degli importi versati in virtu’ dell’accordo transattivo del 30 novembre 1997 ne’ aveva chiesto che di essi si tenesse conto nella eventuale liquidazione del risarcimento a favore del C.. Poiche’, secondo la stessa sentenza impugnata, e, del resto, anche secondo la stessa Cassa, tali importi, versati prima che si fosse formato il giudicato, configuravano adempimento parziale ed anticipato dell’obbligazione risarcitoria stabilita dalla sentenza del Pretore, essi non potevano venir successivamente richiesti, in applicazione del principio secondo cui il giudicato copre “il dedotto e il deducibile”.

Il motivo e’ fondato.

E’ costante orientamento di questa Corte che l’autorita’ del giudicato copre il dedotto e il deducibile, e cioe’ non solo le ragioni giuridiche fatte valere in giudizio (giudicato esplicito) ma anche tutte le altre – proponibili sia in via di azione che di eccezione – le quali, sebbene non dedotte specificamente si caratterizzano per la loro comune inerenza ai fatti costitutivi delle pretese anteriormente svolte (giudicato implicito) (Cass. 15343/2009;

15093/2009; 9544/2008) restando salva e impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove, che si siano verificate dopo la formazione del giudicato o, quantomeno, che non fossero deducibili nel giudizio, in cui il giudicato si e’ formato (Cass. 17078/2007; 19559/2006; 9235/2006). Il suddetto principio implica, in altri termini, che il risultato di un processo conclusosi con sentenza passata in giudicato non possa piu’ essere messo in discussione mediante ragioni o argomentazioni che in quello stesso processo avrebbero potuto essere fatte valere dall’interessato (Cass. 21032/2006).

Alla data di emanazione della sentenza 351 del 1994 del Pretore di Salerno, recante liquidazione del danno in favore del C. nella misura delle retribuzioni non corrisposte, il credito dell’Istituto bancario per la restituzione di quanto versato al dipendente nelle more del giudizio era gia’ sorto ed avrebbe potuto esser fatto valere al fine di ridurre l’ammontare del risarcimento, trattandosi- come e’ pacifico – di versamenti effettuati a titolo di assegno alimentare in misura pari alla meta’ delle retribuzioni e percio’ di somme che, nella prospettiva della liquidazione del danno in base al parametro retributivo, costituivano anticipazioni sul totale dovuto. Ne’ rileva che la menzionata decisione del Pretore copra il solo periodo sino al 1990 giacche’, se il credito restitutorio fosse stato fatto valere in via di eccezione – il che sembra pacifico non essere avvenuto – e non fosse stato considerato al fine di diminuire l’ammontare del danno sarebbe stato necessario, per evitare il formarsi del giudicato, impugnare la pronunzia in riferimento al tutto il periodo di maturazione del credito.

La conclusione e’ che la domanda di restituzione siccome diretta a rimettere in discussione la misura del risarcimento dovuto per il licenziamento deve ritenersi preclusa dal giudicato. Quindi, in accoglimento del primo motivo di ricorso la sentenza deve essere cassata e, non essendovi necessita’ di ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ esser decisa nel merito con declaratoria di improponibilita’ della suddetta domanda.

Gli altri motivi del ricorso restano assorbiti.

La particolarita’ della questione rende opportuno compensare le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiara improponibile la domanda di restituzione degli importi erogati dalla parte resistente alla parte ricorrente; compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2011

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