Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8344 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/03/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 24/03/2021), n.8344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30423-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

H.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1219/26/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 13/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

Con sentenza nr. 1219/2018 la CTR della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la pronuncia della CTP di Cremona con cui era stato accolto il ricorso di H.S. avente ad oggetto un avviso di accertamento relativo a recupero a tassazione di costi indeducibili ed Iva indetraibile derivanti dalla contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti emesse dalle ditte denominate “Confezioni We.” e “In Sh.” nel periodo 2007/2009.

Il Giudice di appello condivideva la gravata decisione ritenuta motivata in tutti i suoi passaggi argomentativi facendo propria la consulenza tecnica d’ufficio e la motivazione per relationem del primo giudice precisava che il prestito erogato con un assegno emesso da H.Y., fratello di Hu.Yu. e il cognato del contribuente rientra nell’uso ordinario dare un prestito senza un documento scritto evidenziando che malgrado le abitudini cinesi del pagamento in contanti nella specie l’operazione era stata tracciata.

La CTR per gli aspetti restanti concordava in toto con i giudici di prime cure condividendo la valutazione degli elementi posti a fondamento della decisione. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui non replica la parte intimata.

Diritto

Considerato che:

La ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, art. 36, commi 2 e 4, e artt. 53 e 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Si sostiene che la decisione sarebbe carente dell’esposizione relativa allo svolgimento del processo e dei fatti rilevanti per la causa e sarebbe fondata esclusivamente sul richiamo apodittico a “costanti decisioni della cassazione dal cui indirizzo non vi è ragioni di discostarsi” senza esplicitare le ragioni per le quali le articolate deduzioni dell’Ufficio riguardanti questioni controverse e decisive non sono state esaminate o comunque disattese.

Si rileva che l’impugnata pronuncia si richiama ad una raccolta di massime giurisprudenziali che non consentono di stabile il percorso argomentativo seguito dai giudici nella formazione del libero convincimento.

Si osserva che nel richiamo operato per relationem alla sentenza di primo grado non si darebbe conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto di rinvio.

Il motivo è infondato e va rigettato.

Costituisce ius receptum il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonchè la giurisprudenza ivi richiamata).

La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 10271 del 2016) è ferma nel ritenere che la motivazione di una sentenza è censurabile in sede di legittimità solo se essa sia a tal punto illogica ed incongrua da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per pervenire alla decisione finale e se sia inficiata da così gravi anomalie e carenze da collocarla al di sotto del c.d. “minimo costituzionale”, inteso come il contenuto minimo, di cui deve essere fornito una sentenza.

In tale grave vizio non incorre la sentenza in esame che nella fattispecie, a differenza di quanto sostiene la ricorrente, una motivazione esiste e la CTR ha esposto il percorso argomentativo seguito e le ragioni per le quali è stata superata la presunzione legale posta del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi.

In questa prospettiva non si è limitata a richiamare la decisione di primo grado ma anche spiegato che il prestito in questione è stato erogato con un assegno emesso da H.Y. – fratello di Hu.Yu. e cognato di H.S. – che non svolge alcuna attività economica precisando che per un parente stretto è normale effettuare un erogazione di denaro senza fornire un documento scritto e sottolineando che l’operazione era comunque tracciabile nonostante l’uso cinese del pagamento in contanti.

Ha infine aggiunto che all’accoglimento delle ragioni della parte contribuente si era pervenuti all’esito di una consulenza tecnica.

Risultano, dunque, rispettati i requisiti minimi per la configurabilità di una valida motivazione per relationem, essendo le ragioni, sul punto, poste a fondamento della pronuncia impugnata le stesse di quelle richiamate e condivise dalla medesima CTR e chiara l’evidenziazione del nucleo fondante del ragionamento e dell’iter logico giuridico seguito per pervenire al risultato enunciato

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese per la mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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