Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8343 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/04/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 08/04/2010), n.8343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25360/2006 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI S.

COSTANZA 46, presso lo studio dell’avvocato MANCINI Luigi, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CALIPANO AGOSTINO,

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati COSSU Benedetta,

CORRERA’ FABRIZIO, CORETTI ANTONIETTA, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 678/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 26/09/2005 R.G.N. 380/01;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

18/02/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato MARIELLA GIORGIO per delega MANCINI LUIGI;

udito l’Avvocato CALIULO LUIGI per delega CORETTI ANTONIETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Genova C.G. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione con la quale l’INPS gli aveva intimato il pagamento di L. 1.410.000 a titolo di sanzioni amministrative in relazione alle inadempienze contributive riguardanti il lavoratore T.G., come da verbale dell’Ispettorato del lavoro del (OMISSIS).

L’opponente deduceva che l’ordinanza ingiunzione opposta era stata emessa sulla erronea presunzione della simulazione del contratto di associazione in partecipazione intercorso con il T., il quale, peraltro, dopo aver intentato una causa di lavoro, l’aveva poi conciliata percependo la somma di L. 2 milioni “a titolo di integrazione utili maturati per effetto del pregresso rapporto di associazione in partecipazione, cessato dal (OMISSIS)”.

L’INPS si costituiva e chiedeva il rigetto della opposizione.

Il giudice adito con sentenza n. 2418 del 2000 rigettava il ricorso rilevando che dall’istruttoria era emerso che il rapporto intercorso tra il T. ed il C. era di natura subordinata.

Il C. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma, preliminarmente invocando la applicazione della disciplina di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, e, nel merito, deducendo che il primo giudice aveva ritenuto la subordinazione solo sulla base delle inattendibili dichiarazioni del T., ignorando il verbale di conciliazione concluso da quest’ultimo nonchè le prove assunte nella causa di opposizione al D.I. proposta dal C. nei confronti dell’INPS, come da verbali di causa che produceva.

L’INPS si costituiva eccependo la tardività delle istanze istruttorie e rilevando la irretroattività della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata il 26-9-2005, respingeva l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte territoriale, riteneva la irretroattività della disciplina di cui all’art. 116 citato e, nel merito, confermava la decisione del primo giudice sul convincimento della simulazione del contratto di associazione in partecipazione, sussistendo nella fattispecie tutti gli indici del rapporto di lavoro subordinato.

La Corte di merito, inoltre, riteneva irrilevanti le espressioni contenute nel verbale di conciliazione nella causa intentata dal T. e tardive le richieste istruttorie e le produzioni documentali dell’appellante.

Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto ricorso con tre motivi.

L’INPS ha resistito con controricorso.

Il C. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., con copia del certificato della cancelleria della Corte d’Appello di Genova relativa al passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale della stessa città n. 339/2006, già depositata con il ricorso (relativa alla opposizione al decreto ingiuntivo conclusasi con l’accertamento della natura non subordinata ma di associazione in partecipazione del rapporto tra il C. e il T.), nonchè, da ultimo, con nota di deposito in data 116-2-2010, l’originale del detto certificato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, ribadendo la tesi della efficacia retroattiva dello stesso.

Con il secondo motivo il ricorrente denunciando violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2549 c.c., e segg., artt. 2697 e 2094 c.c., e vizi di motivazione, censura la impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la simulazione del contratto di associazione in partecipazione in favore dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 115, 116, 416 e 421 c.p.c., censura la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto di non poter prendere in considerazione le dichiarazioni rese dai testi escussi nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo e di considerare tardive le altre produzioni.

Osserva il Collegio che, in forza del giudicato nel frattempo intervenuto fra le stesse parti, va accolto il secondo motivo, che assorbe gli altri, e tanto basta per accogliere il ricorso.

Preliminarmente va rilevato che, trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata anteriormente al 2-3-2006, nella fattispecie non trova applicazione l’art. 384 c.p.c., comma 3, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006. Nè potrebbero sorgere questioni in ordine alla mancata notifica alla controparte del deposito del certificato della cancelleria della Corte d’Appello di Genova, considerata la rilevabilità d’ufficio del giudicato e, nel caso di specie, anche la circostanza che sullo stesso si è formato il contraddittorio, essendo intervenuto all’udienza di discussione il difensore dell’INPS (cfr. Cass. 19-6-2000 n. 450).

Orbene, come è stato affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 16-6-2006 n. 13916), “nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una “regola iuris” alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione; qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall’art. 378 cod. proc. civ., per il deposito delle memorie, dovendo essere assicurata la garanzia del contraddittorio, la Corte, avvalendosi dei poteri riconosciutile dall’art. 384 cod. proc. civ., comma 3, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni” (sulla inapplicabilità, ratione temporis, di tale ultima norma nel caso di specie e comunque sulla avvenuta formazione del contraddittorio anche sulla questione del giudicato si è già detto).

Le Sezioni Unite, nel contempo, hanno tra l’altro precisato che “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo”.

Orbene con la sentenza del Tribunale di Genova n. 339/2006 depositata il 28-2-2006, non appellata (vedi certificazione della cancelleria della Corte d’Appello in data 11-2-2010), nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, emesso ad istanza dell’INPS nei confronti del C., per inadempienze contributive (per il periodo 1/12/93- 30/9/95, “in relazione all’attività lavorativa svolta da T. G.”, è stato accertato che “il rapporto intercorso con il T. non può essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato, dovendosi per contro allo stesso riconoscere la qualificazione dedotta nel relativo contratto” (associazione in partecipazione).

Tale giudicato, riguardante la premessa logica indispensabile comune ad entrambe le cause, intervenuto fra le stesse parti, preclude ogni riesame e comporta l’accoglimento del ricorso, stante la mancanza del presupposto stesso su cui si basa la impugnata sentenza (la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra il C. e il T.).

La impugnata sentenza va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito annullandosi la ordinanza-ingiunzione opposta.

Infine ricorrono giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio tra le parti, in considerazione della particolarità della presente vicenda processuale e della sopravvenienza da ultimo del giudicato esterno.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la impugnata sentenza e, decidendo nel merito, annulla la ordinanza-ingiunzione opposta;

compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

 

 

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