Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8343 del 04/04/2018


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Cassazione civile, sez. I, 04/04/2018, (ud. 08/02/2018, dep.04/04/2018),  n. 8343

FATTI DI CAUSA

Con sentenza dell’8 maggio 2014, la Corte d’appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, ha risolto per inadempimento il contratto di interest rate swap concluso tra le parti, dichiarando la “non debenza del passivo maturato dalla società appellante” e respingendo le altre domande.

La Corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva in questa sede, che: a) all’operazione di interest rate swap del 18 marzo 2007 si applica l’art. 31 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, essendo la fase genetica del contratto retta dalla normativa in vigore in tale momento e non dal successivo regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16190; nè ciò può ritenersi contrattualmente stabilito, posto che dall’esame del contenuto del nuovo accordo risulta il riferimento inequivoco alle operazioni “in essere e pendenti” come perduranti e regolate dal nuovo accordo normativo, lasciando ciò desumere che le precedenti operazioni restassero valide, in quanto sorte nel vigore del precedente regolamento del 1998 ed alle condizioni da esso dettate, proprio perchè la scontata prosecuzione di quelle operazioni pendenti presuppone che fossero state validamente poste in essere al momento genetico del loro sorgere, tanto che non ne fu prevista affatto la rinnovazione; b) le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società di essere operatore qualificato non erano idonee ad esonerare la banca dai suoi obblighi informativi, ai sensi dell’art. 31 citato, perchè esse hanno un contenuto generale e meramente ripetitivo della formula normativa; c) non è controversia l’omissione di informazioni da parte della banca, di cui agli artt. da 27 a 30 del regolamento n. 11522 del 1998, la quale non implica nullità del contratto, ma inadempimento agli obblighi dell’intermediario, di non scarsa importanza, donde la fondatezza della domanda risolutoria; d) dalla risoluzione del contratto deriva il “totale “azzeramento”” delle poste attive e passive maturate, ed in particolare che non sia dovuto quest’ultimo alla banca, mentre la società non ha prospettato in modo concreto e specifico nessun danno ulteriore o somme corrisposte alla banca, essendo rimaste caratterizzata da genericità ed astrattezza la relativa prospettazione, sino alla comparsa conclusionale d’appello.

Avverso la predetta sentenza propone ricorso la soccombente, articolato in due motivi.

Propone controricorso, con ricorso incidentale per due motivi, l’intimata.

Le parti hanno, altresì, depositato le memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – La ricorrente censura la sentenza impugnata sulla base di due motivi, come segue riassumibili:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 31 reg. Consob n. 11522 del 1998, perchè, con plurime dichiarazioni, il legale rappresentante della società ha dichiarato essere questa un operatore qualificato e la controparte non ha mai allegato e provato il mancato possesso di una specifica esperienza e competenza in materia di strumenti finanziari derivati: in particolare, due furono le dichiarazioni rilasciate, la seconda delle quali riportava addirittura in modo dettagliato quale minore tutela derivasse dalla dichiarazione stessa, con riferimento agli artt. 27 e ss. del regolamento stesso; dichiarazione ribadita anche dopo l’entrata in vigore del nuovo regolamento intermediari n. 16190 del 2007; e mai l’investitrice ha allegato le circostanze specifiche, in base alle quali la banca avrebbe dovuto conoscere la eventuale mancata rispondenza tra le reiterate dichiarazioni e l’effettivo possesso di dette qualità;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., art. 112 c.p.c., perchè il collegio ha poi definito “non controversa” la mancata ottemperanza agli obblighi informativi, dei quali tuttavia non si era mai discusso, essendo stata l’intera allegazione di controparte concentrata sulla negazione della sua qualità di operatore qualificato, senza alcun riferimento a pretesi inadempimenti o condotte specifiche della banca.

Con il ricorso incidentale condizionato, l’intimata articola i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 1322 c.c., art. 1399 c.c. e ss., art. 113 reg. Consob n. 16190 del 2007 ed allegato A, perchè deve applicarsi il regolamento in questione, dato che le parti hanno sostituito un contratto quadro con un altro, onde in tal modo hanno inteso regolare ex tunc anche la pregressa fase genetica del rapporto;

2) violazione degli artt. 163 c.p.c. e ss., perchè in citazione la Farmen ICD s.r.l. aveva chiesto la condanna della banca “a risarcire i danni che derivano dalla sua illegittima stipula, corrispondenti alle somme versate dall’attrice alla banca”, come richiesto anche nelle conclusioni, mentre con l’atto di appello aveva parimenti chiesto la caducazione del contratto di interest rate swap “riportando la posizione anteriore e ordinando la restituzione di quanto percepito oltre i danni; in subordine condannare la banca suddetta al risarcimento del danno corrispondente alla somma versata con gli interessi corrisposti sul conto bancario nonchè al mancato guadagno”: onde, se è vero che la domanda risarcitoria è rimasta del tutto generica e nulla, vi era però la domanda di condanna alla restituzione delle “somme versate”, e, nel corso dei vari scritti difensivi, la società aveva individuato alcune somme via via versate, non potendo essere più precisa, e, poi, nelle conclusioni aveva chiesto “la restituzione tout court di tutte le somme versate”, domanda dunque concreta e chiarissima, ben sapendo la banca a quanto ammonti la somma.

2. – Il primo motivo del ricorso incidentale, da trattare preliminarmente in via di priorità logica, è infondato.

La ricorrente incidentale pretende di applicare i parametri di qualificazione della sua propensione al rischio previsti dal regolamento Consob di cui alla Delib. n. 16190 del 2007, entrato in vigore nel novembre di quell’anno, sebbene l’operazione risalga al 18 marzo 2007.

La corte territoriale ha ritenuto, al riguardo, che all’operazione del 18 marzo 2007 si applichi l’art. 31 del regolamento Consob n. 11522 del 1998: ciò% perchè la fase genetica del contratto non può che essere retta dalla normativa in vigore in tale momento.

Nè, aggiunge la corte, l’applicazione del regolamento Consob del 29 ottobre 2007, n. 16190 fu contrattualmente stabilita: al contrario, dall’esame del contenuto del nuovo accordo risulta in modo inequivoco che le precedenti operazioni restavano valide, in quanto sorte nel vigore del precedente regolamento del 1998 ed alle condizioni da esso dettate, proprio perchè validamente poste in essere al momento genetico del loro sorgere, tanto che non ne fu prevista affatto la rinnovazione.

A fronte di tale compiuta motivazione, non può trovare accoglimento la censura in esame, che si scontra con l’apprezzamento del testo contrattuale operato (e v. Cass., sez. un., 19 ottobre 2017, n. 24675, in tema di clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta L. n. 108 del 1996).

3. – Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

A norma del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 6, comma 2, la Consob, sentita la Banca d’Italia, disciplina con regolamento gli obblighi degli intermediari finanziari “tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l’esperienza professionale dei medesimi”.

L’art. 31, comma 2, reg. Consob n. 11522 del 1998, applicabile ratione temporis, individua come operatore qualificato “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.

Dal rivestire tale qualifica discende l’inapplicabilità di numerose prescrizioni, come dispone l’art. 31, comma 1 citato regolamento, vale a dire la previsione della forma scritta D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23, la disciplina del conflitto di interessi (art. 27 reg. Consob), gli obblighi di informazione attiva e passiva (art. 28 reg. Consob), le previsioni in tema di operazioni inadeguate (art. 29 reg. Consob).

La legge prevede dunque forme di tutela differenziata, sulla base della vigilanza regolamentare svolta dalla Consob, riconoscendo la necessità di graduare la tutela giuridica offerta alla clientela degli intermediari finanziari, in particolare nei casi in cui il cliente sia già, di per sè, in grado di riconoscere e valutare le caratteristiche e i rischi specifici dell’operazione.

Giova rimarcare, invero, la differenza di trattamento, nel vigore del reg. n. 11522 del 1998, delle persone giuridiche dalle persone fisiche, quanto alla qualità di operatore qualificato.

Mentre, per le prime, la disposizione richiede una dichiarazione per scritto del cliente (c.d. autoreferenziale), per le persone fisiche l’accento è posto direttamente sul possesso delle effettive qualità, che vanno rese note (“documentino”) all’intermediario, non rilevando la mera autodichiarazione (cfr., al riguardo, infatti, il diverso principio di diritto enunciato da Cass. 27 ottobre 2015, n. 21887).

Secondo questa Corte, nel vigore dell’analogo disposto di cui all’art. 13 del regolamento Consob approvato con Delib. 2 luglio 1991, n. 5387, è sufficiente, ai fini dell’appartenenza del soggetto alla categoria delle persone giuridiche aventi la veste di operatore qualificato, l’espressa dichiarazione scritta richiesta dal regolamento, la quale esonera l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche, in mancanza di elementi contrari emergenti dalla documentazione già in suo possesso, e permette al giudice ex art. 116 c.p.c. di ritenere sussistente detta qualità (Cass. 26 maggio 2009, n. 12138). Tale sentenza, dunque, ha ritenuto la dichiarazione dell’investitore sufficiente sia per esonerare l’intermediario dal compiere accertamenti ulteriori al riguardo, sia per ritenere provata in giudizio la qualità, anche come unica e sufficiente fonte di prova. A fronte della menzionata dichiarazione scritta per le persone giuridiche, la sentenza sopra ricordata ha dunque reputato come la dichiarazione autoreferenziale della investitrice, la quale attesti, nella fase genetica del contratto, di essere un operatore qualificato ai fini della normativa di settore, integri una presunzione semplice di tale qualità.

Orbene, tali principi si intende ora ribadire e precisare, con riguardo al disposto dell’art. 31 reg. Consob n. 11522 del 1998.

Nel sistema normativo da esso prefigurato, la dichiarazione formale sottoscritta dal legale rappresentante, in cui si affermi che la società amministrata dispone della competenza e dell’esperienza richieste in materia di operazioni in strumenti finanziari, vale ad esonerare l’intermediario dall’obbligo di effettuare per suo conto ulteriori verifiche al riguardo, gravando sull’investitrice l’onere di provare che, invece, elementi in contrario emergevano dalla documentazione già in possesso dell’intermediario medesimo, dei quali questi avrebbe dovuto tenere conto.

Sul piano probatorio in giudizio, del pari, l’esistenza dell’autodichiarazione è sufficiente ad integrare la prova presuntiva semplice della qualità dell’investitore qualificato in capo alla persona giuridica: gravando, pertanto, sulla medesima l’onere di allegare e provare le circostanze specifiche, dalle quali emerga che l’intermediario conosceva, o avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza, l’assenza di dette competenze ed esperienze pregresse, in contrario con quanto dichiarato per iscritto dal suo legale rappresentante.

Nella specie, la corte d’appello non ha fatto corretta applicazione di tali principi.

Pur a fronte di una ripetuta dichiarazione scritta, come richiesta dalla norma, da parte del legale rappresentante della società intimata, la sentenza impugnata sembra infatti pretendere l’enunciazione in dettaglio degli elementi specifici, dai quali risulterebbe non infedele l’autodichiarazione resa: tuttavia, in nessuna parte l’enunciato normativo regolamentare autorizza questa interpretazione, al contrario dovendosi quindi ritenere sufficiente l’autodichiarazione circa la propria pregressa competenza ed esperienza in operazioni finanziarie, o altra simile locuzione, effettuata per iscritto dal soggetto che ricopra la carica di legale rappresentante dell’ente collettivo investitore.

4. – Il secondo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale restano assorbiti.

5. – La sentenza impugnata va dunque cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatte la causa va decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto anche della domanda di risoluzione e conseguenti, proposte dalla Farmen ICD s.r.l.

6. – Le spese seguono la soccombenza e vengono regolate per l’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, respinto il primo motivo del ricorso incidentale ed assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte da Farmen ICD s.r.l. contro Intesa Sanpaolo s.p.a.; condanna la Farmen ICD s.r.l. al pagamento delle spese di lite in favore di Intesa Sanpaolo s.p.a., liquidate in Euro 13.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) per il primo grado, in Euro 9.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) per il grado di appello ed in Euro 8.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) per il giudizio di legittimità, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2018

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