Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8335 del 31/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/03/2017, (ud. 25/01/2017, dep.31/03/2017),  n. 8335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10422-2014 proposto da:

SIAS SRL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, Dott.

T.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 187,

presso lo studio dell’avvocato MARCELLO MAGNANO SAN LIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE TRIMBOLI giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE BRONTE, in persona del sindaco p.t. F.G.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI DARDANELLI 46, presso lo

studio dell’avvocato MAURIZIO SPINELLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONINO UCCELLATORE giusta procura in calce al

controricorso;

S.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GUIDO

ALFANI 29, presso lo studio dell’avocato GIANMARCO PANETTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE CALVAGNO unitamente

all’avvocato GIUSEPPA CANNIZZARO giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1768/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 14/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato SALVATORE TRIMBOLI;

udito l’Avvocato GIUSEPPA CANNIZZARO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 4 febbraio 2004, la S.r.l. Siciliana appalti e servizi, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, S.L. e M.B., rispettivamente assessore e funzionario (caposettore), nonchè il Comune di Bronte deducendo di avere svolto per conto dell’amministrazione il servizio di raccolta e trasporto di rifiuti solidi urbani e di avere maturato un consistente credito per il quale non erano intervenuti i pagamenti per mancanza della Delib. dell’ente locale.

2. Aggiungeva di avere precedentemente richiesto la condanna dell’amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 2041 c.c. e la relativa domanda era stata rigettata dal Tribunale. Richiedeva, pertanto, ai sensi dell’art. 2041 c.c., questa volta nei confronti del S. e del M., il pagamento delle medesime somme e dichiararsi, ai sensi dell’art. 2900 c.c., di surrogarsi alle ragioni creditorie di questi ultimi nei confronti del Comune, costituite dall’indennizzo loro spettante.

3. Il Tribunale di Catania, con sentenza n. 1267 del 2007 dichiarava improponibile la domanda proposta ai sensi dell’art. 2041 c.c. nei confronti del M. e del S. e rigettava quella proposta, ai sensi dell’art. 2900 c.c., nei confronti del Comune di Bronte.

4. Avverso tale decisione proponeva appello la S.r.l. SIAS e la Corte territoriale, con sentenza pubblicata il 14 ottobre 2013, rigettava l’appello condannando la società al rimborso delle spese in favore degli appellati.

5. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la S.r.l. SIAS sulla base di tre motivi.

6. Il Comune di Bronte e S.A.L. depositano controricorso ai sensi dell’art. 370 codice di rito.

7. S.L.A., il Comune di Bronte e S.r.l. Sias depositano memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La motivazione viene redatta in forma semplificata in adempimento di quanto previsto dal decreto n. 136-2016 del Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione, non avendo il presente provvedimento alcun valore nomofilattico.

2. Preliminarmente va rilevato il tardivo deposito delle memorie ex art. 378 c.p.c. della s.r.l. SIAS, in data 20 gennaio 2017, con riferimento all’udienza originariamente fissata per il 25 novembre 2016.

3. Con i motivi di ricorso si denuncia: con il primo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. e della L. n. 144 del 1989, art. 23, commi 3 e 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, anche con riferimento all’art. 2900 c.c..

4. Rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha qualificato il rapporto obbligatorio intercorrente tra il fornitore del servizio e l’amministratore o il funzionario pubblico, ai sensi della L. n. 144 del 1989, art. 23 quale contratto, mentre la norma si limita a porre a carico di tali soggetti solo l’onere economico, con esclusione di ogni altro effetto contrattuale. Conseguentemente, in assenza di un’azione contrattuale, diviene esperibile l’azione di arricchimento.

5. In secondo luogo censura la decisione della Corte di rigettare la domanda proposta in via surrogatoria nei confronti dell’ente amministrativo, trattandosi di questione autonoma rispetto a quella della qualificazione della precedente azione come contrattuale.

6. Il motivo è inammissibile. La doglianza contiene la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei facenti riferimento a diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., in particolare l’ipotesi n. 3 e n. 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto (che suppone un accertamento del fatto) e del vizio di motivazione (con il quale si rimettono in discussione gli elementi di fatto). L’esposizione cumulativa delle questioni riguardanti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo attribuisce al giudice di legittimità il compito, non consentito, di riempire di contenuto le doglianze della parte ricorrente al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 19443 del 23 settembre 2011).

7. In ogni caso, destituito di fondamento è il riferimento contenuto nella premessa del primo motivo, alla mancata valutazione di un fatto rilevante, poichè, come emerge chiaramente dalle decisioni di primo e secondo grado, i giudici di merito hanno esaminato proprio tale profilo, correttamente ritenendo assorbente la questione preliminare relativa alla proponibilità dell’azione di arricchimento senza causa.

8. A riguardo appare priva di fondamento la tesi della ricorrente secondo cui i funzionari pubblici risponderebbero solo per l’onere economico, senza la costituzione di alcun rapporto obbligatorio con il fornitore. Al contrario la L. n. 144 del 1989, art. 23 chiaramente prevede che “il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura”.

9. La questione riguardo alla natura giuridica del rapporto obbligatorio, se contrattuale o ex lege, si sfuma in quanto il legislatore ha dettato una azione specifica, fondata proprio sul rapporto obbligatorio rilevante “per ogni altro effetto di legge”.

10. In questi termini milita l’orientamento costante della giurisprudenza secondo cui “l’insorgenza del rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, nei casi in cui manchi una valida obbligazione dell’ente locale, come nel caso di specie, esclude la esperibilità dell’azione di indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione, difettando il requisito della sussidiarietà”, che va escluso quando esista, come nel caso di specie, altra azione esperibile nei confronti dell’arricchito (Comune di Bronte), ma anche nei confronti di persone diverse da esso (Cass. n. 1391 del 23 gennaio 2014 e Cass. n. 22478 del 30 ottobre 2013).

11. Quanto all’azione surrogatoria, la stessa costituisce lo strumento che la legge attribuisce al creditore al fine di evitare gli effetti dell’inerzia di colui che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad incrementare il proprio patrimonio, conferendo al creditore la legittimazione all’esercizio di un diritto altrui.

12. Nel caso di specie non è configurabile un credito, che – invece – si assume vantato dai funzionari nei confronti del Comune. Infatti, la declaratoria di improponibilità della prima azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dei due funzionari determina la caducazione dell’azione surrogatoria, impedendo che possa venire ad esistenza il titolo rispetto al quale la società pretenderebbe di surrogarsi ai funzionari, nell’esercizio delle azioni volte all’accrescimento del patrimonio. Infine appare inconferente il riferimento contenuto nella memoria ex art. 378 c.p.c. della ricorrente alla decisione a Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 26 maggio 2015 n. 10798), attenendo la pronuncia alla rilevanza del riconoscimento dell’utilità da parte dell’amministrazione, profilo che presuppone la ritualità dell’azione proposta.

13. Con il secondo motivo, la società deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 144 del 1989, art. 23 e dell’art. 113 codice di rito e art. 2900 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

14. Assume la ricorrente che, anche ritenendo contrattuale l’azione da esperire, ai sensi del citato art. 23, il giudice avrebbe dovuto riqualificare la domanda di arricchimento senza causa, come azione contrattuale, in applicazione del principio iura novit curia.

15. Il motivo, oltre ai profili di inammissibilità già evidenziati con riferimento al precedente motivo (contiene la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei facenti riferimento a diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 codice di rito, in particolare l’ipotesi nn. 3 e 4 c.p.c.), è, comunque, infondato, poichè non è consentito al giudice di qualificare diversamente la domanda attraverso la sostituzione dell’azione espressamente proposta, con un’altra fondata su fatti e presupposti totalmente diversi. E’ pacifico che la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa costituisce domanda del tutto nuova rispetto a quella di adempimento contrattuale (Cass., Sezioni Unite, 22 maggio 1996 n. 4712).

16. Con il terzo motivo, deduce violazione degli artt. 91 e 112 codice di rito, per mancato esame di uno dei motivi di appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. La Corte territoriale, con riferimento alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, avrebbe, più correttamente, dovuto riformare le statuizione adottate in primo grado e modulare diversamente il regime delle spese.

17. Il motivo, inammissibile per le ragioni già espresse in premessa, è destituito di fondamento poichè la Corte territoriale, correttamente, si è limitata ad applicare il principio della soccombenza, rispetto al quale la valutazione della Corte di Cassazione è limitata a verificare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 15317 del 19 giugno 2013).

18. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, liquidandole in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017

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