Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8333 del 29/04/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/04/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 29/04/2020), n.8333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1516-2012 proposto da.

B.E., A.O., C.N., elettivamente domicilia

in ROMA VIA DI VEROLI MANLIO 2-4, presso lo studio dell’avvocato

RUGGERO MARIA GENTILE, rappresentati e difesi dall’avvocato PIETRO

REPOSSI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona dei Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, UFFICIO DI BRESCIA, AGENZIA DELLE ENTRATE,

UFFICIO DI GARDONE VAL TROMPIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 113/2011 della COMM. TRIB. REG. della

Lombardia, SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 10/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2019 dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK.

Fatto

RILEVATO

che:

– B.E., A.O. e C.N. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, depositata il 10 maggio 2011, di (Ndr: testo originale non comprensibile) reiezione dei separati appelli, oggetto di riunione in quel grado, dai medesimi proposti avverso le sentenze di primo grado che avevano in parte respinto i ricorsi proposti dai contribuenti per l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2004 per Iva, Irap e Irpef;

– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva rettificato il reddito di impresa dichiarato dalla società La Filanda di O. e C. s.a.s., di cui gli stessi erano soci, con conseguente rideterminazione del loro reddito di partecipazione, in relazione alla rettifica dei ricavi per la vendita di due appartamenti intestati alla società;

– il giudice di appello, esclusa ogni valenza legale dei dati OMI nella determinazione dei valori normali degli immobili, ha ritenuto che gli elementi forniti dall’ufficio costituivano presunzioni gravi, precise e concordanti relativamente alla procedura di accertamento utilizzata; tuttavia, accertato in base alle risultanze dell’agenzia del territorio che gli immobili ceduti avevano una superficie minore di quella indicata nell’accertamento, mancavano di alcune finiture e presentavano “le altre limitazioni lamentate dai contribuenti”, la CTR determinava il prezzo di vendita in misura inferiore

– Euro 413.960 – rispetto a quello indicato nell’avviso di accertamento – Euro 428.789;

– il ricorso è affidato a due motivi, cui l’agenzia delle entrate resiste con controricorso;

– i controricorrenti depositano memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso i contribuenti denunciano violazione – falsa applicazione della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 4, lett. F e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– evidenziano che il giudice di appello, pur avendo riconosciuto che l’applicazione delle quotazioni OMI dava luogo ad una presunzione semplice, aveva fondato il proprio convincimento sugli elementi indiziari già valutati dal giudice di primo grado – la cui decisione aveva però ritenuto priva di idonea motivazione -, quali la contrazione di mutui di valore eccedente il prezzo di vendita e la minimalità dei ricavi, erroneamente ritenendoli gravi, precisi e concordanti;

– inoltre, il giudice di appello per determinare il valore degli immobili aveva utilizzato le stime dell’agenzia del territorio, prive di attendibilità, portando riferimenti parziali ai valori OMI e ad altre pubblicazioni private; l’ufficio da parte sua aveva prodotto listini della Camera di Commercio portanti un valore unico per tutte le abitazioni del territorio;

– il motivo è infondato per entrambi i profili dedotti;

– questa Corte ha affermato che “la prova dell’esistenza di attività non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili, può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti (Cass. 20429/2014; 9474/2017; 11439/2018), secondo ordinari criteri di accertamento analitico/induttivo (39 TUIR), laddove vi sia stata verifica fiscale (54, comma 2, decreto IVA); l’art. 273 della direttiva CE 2006/112/CEE non esclude che l’imponibile IVA possa essere accertato induttivamente (GCUE, Euro 648/16), dovendo gli Stati membri assicurare l’integrale riscossione del tributo armonizzato e l’efficacia della lotta contro l’evasione (GCUE, Euro 576/15 e Euro 524/15);

– la decisione della CTR in esame non viola detti criteri applicativi, avendo la stessa fondato la ricostruzione dei maggiori ricavi imputati ai contribuenti, su elementi logici (maggiori valori di mutuo elargiti agli acquirenti in rapporto ai prezzi di acquisto dichiarati negli atti di compravendita), circostanziali (la limitata redditività dichiarata, essendo risultato che il costo di costruzione al metro quadrato era di poco inferiore al ricavo al metro quadrato e in perdita quanto ad una delle due vendite) e statistici (stima dell’agenzia del territorio) addotti dal fisco (Cass. 2482/19);

– ebbene, nel motivo di censura non si svolge alcuna efficace critica alla motivazione della sentenza impugnata, ragionando e spiegando perchè essa avrebbe violato, nei sensi indicati dalla sopra ricordata giurisprudenza, il paradigma dell’art. 2729 c.c.;

– questa Corte, d’altro canto, è ferma nel ritenere che, ai fini dell’accertamento del maggior reddito d’impresa, lo scostamento tra l’importo dei mutui ed i minori prezzi indicati dal venditore è sufficiente a fondare la rettifica dei corrispettivi dichiarati, non comportando ciò alcuna violazione delle norme in materia di onere probatorio (Cass. n. 26485 del 21/12/2016; Cass. n. 7857 del 20/4/2016; Cass. n. 14388 del 9/6/2017) e non potendosi escludere in materia di presunzioni semplici che l’accertamento trovi fondamento anche su un unico elemento presuntivo; infatti, ai fini degli accertamenti tributari, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzioni siano plurimi, benchè l’art. 2729 c.c., comma 1, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, art. 39, comma 4, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, si esprimano al plurale, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su un unico elemento, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico, non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia sorretto da una adeguata motivazione che sia immune da contraddittorietà (Cass. n. 17574 del 29/7/2009; Cass. n. 656 del 15/1/2014; Cass. n. 2155 del 25/1/2019);

– la decisione impugnata sul punto si sottrae alla censura ad essa rivolta.

– Con il secondo motivo i ricorrenti deducono omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti controversi e decisivi della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo antecedente alla riforma apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134);

– evidenziano che i giudici di appello avevano formato il proprio convincimento a) partendo da un errore nel rilievo dei ricavi dichiarati dalla società, erroneamente ritenendo che fosse un semplice errore materiale la cui correzione spettava al giudice di primo grado; b) che la discrepanza tra prezzo e mutuo, da sola, non costituiva prova dell’evasione se non era accompagnata da ulteriori elementi probatori; c) che la affermazione circa la vendita in perdita di uno degli immobili era priva di motivazione, trattandosi di appartamento venduto sulla carta; d) che la stima dell’agenzia del territorio era basata su “parametri eterodossi” e non sui valori OMI; e) che erroneamente era stato confermato il capo della sentenza di primo grado sul punto della deducibilità per 7/8, e non per l’intero, dei costi sostenuti per le parti comuni;

– il motivo è infondato in tutte le sue deduzioni;

– il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, si configura solo quando solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o un insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione;

– questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova;

– nel caso in esame: a) la presunta erroneità dei dati dai quali la CTR avrebbe evidenziato l’esiguità dei ricavi è priva di rilevanza sul decisum, non avendo il giudice /9/1 di appello fondato il proprio convincimento sugli elementi acquisiti al processo di primo I grado, ma su una autonoma valutazione degli atti prodotti, rideterminando il reddito in misura inferiore rispetto a quello indicato nell’avviso di accertamento; b) non è corretta l’affermazione che la sentenza di appello si sia fondata solo sulla discrepanza tra il prezzo dell’immobile ed il mutuo concesso (comunque, in relazione a quanto sopra esposto, di per sè, sufficiente a supportare la rettifica), in quanto plurimi sono stati gli elementi valutati; c) gli ulteriori profili dedotti sub c), d), e) attengono a valutazioni di fatto riservate al giudice di merito che ha sul punto congruamente motivato,ritenendo corretta la procedura di accertamento utilizzata, e giungendo alla conclusione della loro inidoneità a dimostrare l’assunto della parte, se non al limitato fine della rideterminazione in minus dei ricavi per la vendita di due appartamenti;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna i ricorrenti alla rifusione in solido delle spese di legittimità, liquidate in Euro 5.600, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2020

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