Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8331 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/04/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 08/04/2010), n.8331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2753-2009 proposto da:

M.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,

presso lo studio dell’avvocato TRALICCI GINA, che lo rappresenta e

difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PULLI CLEMENTINA, giusta mandato in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12743/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 20/05/2008 R.G.N. 1966/04;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE.

La Corte:

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO E DIRITTO

Che con sentenza n. 12743 del 20-5-2008 questa Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, proposto da M.E. nei confronti dell’Inps, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 3304/2005, con la quale, confermandosi la sentenza di primo grado, era stato ritenuto estinto per prescrizione il diritto del M. a percepire dall’istituto gli accessori sui ratei, tardivamente erogati, del trattamento pensionistico spettante in regime di convenzione internazionale;

che, in sintesi, questa Corte, richiamati i principi più volte affermati in materia, ha rilevato che “alla stregua dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito e della limitazione del thema decidendum – la prescrizione del diritto agli accessori, decorrente dal centoventunesimo giorno dalla data di presentazione della domanda amministrativa di pensione, non interrotta dalla liquidazione parziale, è stata invece interrotta dalla notifica del ricorso giudiziale quando era ormai decorso il termine decennale di prescrizione”;

che il M., ha proposto ricorso per revocazione deducendo: che “la Suprema Corte avrebbe omesso di esaminare che tra i motivi di ricorso era stato anche dedotto l’omesso esame da parte del giudice di merito di un documento determinante ai fini della decisione … e costituito dalla richiesta di pagamento degli interessi già ritualmente prodotto in primo grado”; che, in particolare, nel “modello C1 del 10-10-1994 doc. n. 5 di cui al fascicolo di primo grado, inoltrato dall’INPS al sig. M.” si leggeva che era stata accolta la domanda da quest’ultimo presentata in data 9-5-1994, intesa ad ottenere la prestazione di cui all’oggetto (“Oggetto:

liquidazione interessi legali”); che, come si era rilevato nel ricorso per cassazione, la prescrizione degli accessori de quibus era stata interrotta dalla comunicazione del 10-10-1994, “in cui l’INPS con efficacia confessoria ex art. 2733 c.c. ha accertato l’esistenza di una domanda di pagamento degli interessi legali del 9-5-1994, la quale, intervenuta nel decennio dalla domanda amministrativa del 1985, ha spostato il termine finale prescrizionale al 2004, prima del cui spirare è intervenuta la notifica del libello introduttivo”; che del resto con lo stesso ricorso per cassazione si era anche osservato che “trattandosi di atto interruttivo della prescrizione, la sua esistenza poteva e doveva ben essere rilevata d’ufficio” dalla Corte d’Appello; che, quindi, la Corte di Cassazione avrebbe “avallato la decisione di secondo grado ritenendo esistente un fatto (prescrizione del diritto) incontrovertibilmente escluso dalla documentazione prodotta sin dal primo grado”;

rilevato, altresì, che l’INPS ha resistito con controricorso eccependo preliminarmente la inammissibilità del ricorso in quanto “l’oggetto dell’asserito errore ha costituito materia del contendere su cui già la Corte si è pronunciata e pertanto non può dar luogo a revocazione” e deducendo, peraltro, che “la presunta mancata valutazione del mod. C1 12 del 10-10-94 non comporterebbe il “vizio di assunzione del fatto”, rilevante ai fini della revocazione, bensì “un errore di criterio nella valutazione del fatto” si che la decisione non deriverebbe dall’ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall’erronea interpretazione di essi”;

ritenuto di condividere la relazione depositata e comunicata agli avvocati delle parti (non comparsi) e al P.M. ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

rilevato, che, essendo la sentenza impugnata pubblicata il 20-5-2008, il ricorso, notificato il 22-1-2009, è soggetto al regime processuale introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 (mentre, ratione temporis, non trova applicazione quello di cui alla recente L. n. 69 del 2009);

considerato, peraltro, che, in base all’indirizzo consolidato, con riferimento al ricorso per revocazione (contro le sentenze della Corte di cassazione pubblicate a decorrere dal 2-3-2006), “la formulazione del motivo deve risolversi nell’indicazione specifica, chiara ed immediatamente intellegibile, del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 cod. proc. civ., dovendosi escludere, invece, la necessità della formulazione del quesito di diritto” (v, Cass. 28-2-2007 n. 4640, Cass. 26-2-2008 n. 5075, Cass. 26-2-2008 n. 5076, Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26022), per cui occorre preliminarmente rilevare che il ricorso in esame contiene sia la detta indicazione specifica dell’asserito errore di fatto sia la esposizione delle ragioni assunte a sostegno del carattere revocatorio dello stesso;

ritenuto, invece, che nella fattispecie non ricorrano i requisiti dell’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato dall’art. 391 bis c.p.c.;

considerato, infatti, che in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, “la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa e deve, quindi, 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, si da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo” (v. fra le altre Cass. 3-2-2006 n. 2425, Cass. 14-2-2007 n. 3264);

considerato, inoltre, che, come pure è stato precisato, la configurabilità dell’errore revocatorio è esclusa “quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione dei motivi di ricorso” (v. fra le altre Cass. 15-5-2002 n. 7064, Cass. 28-6-2005 n. 13915), così come è esclusa “in ogni caso, la prospettabilità di una revisione di questioni già precedentemente sollevate e decise, sollecitandosi, in sostanza, un inammissibile riesame del precedente giudizio di cassazione” (v. fra le altre Cass. 21-4-2006 n. 9396);

rilevato che, nella fattispecie, innanzitutto la “prescrizione del diritto” (dedotta dal ricorrente come fatto ritenuto esistente nell’impugnata sentenza ma escluso dalla documentazione in atti) non potrebbe considerarsi propriamente un “fatto” e tanto meno potrebbe ritenersi di immediata ed indiscutibile percezione la relativa insussistenza (del resto lo stesso ricorrente riconosce che la esistenza della “richiesta di pagamento degli interessi”, quale idoneo atto interruttivo, avrebbe dovuto essere rilevata sulla base della valutazione del richiamo contenuto nella comunicazione dell’INPS);

rilevato altresì che la questione in particolare, della valenza del “modello C1 del 10-10-1994”, ai fini della dedotta interruzione della prescrizione degli accessori de quibus, è stata, tra l’altro, oggetto del ricorso per cassazione ed è stata altresì anch’essa decisa con l’impugnata sentenza, di guisa che in sostanza il ricorrente sembra sollecitare in questa sede un riesame, sul punto, del precedente giudizio di legittimità;

rilevato, infine, che la decisione impugnata è scaturita direttamente dalla interpretazione dei motivi di ricorso e dalla conseguente delimitazione del thema decidendum, per cui anche sotto tale profilo non pare configurabile un errore revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4;

considerato, pertanto che, nella fattispecie, non può ravvisarsi una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, essendo stato dedotto, in sostanza, piuttosto un errore di giudizio, che, inoltre, risulta caduto su un punto controverso sul quale la Corte si è pronunciata, peraltro anche sulla premessa di una specifica valutazione ed interpretazione dei motivi di ricorso, deve concludersi che nel caso in esame non può configurarsi un errore revocatorio ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4 e art. 391 bis c.p.c.;

ritenuto, quindi, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che non deve provvedersi sulle spese, ratione temporis, in base al testo originario dell’art. 152 disp. att. c.p.c., vigente anteriormente al D.L. n. 269 del 2003, conv. in L. n. 326 del 2003, essendo la nuova disciplina applicabile ai soli ricorsi conseguenti a fasi di merito introdotte in epoca posteriore all’entrata in vigore dell’indicato decreto legge (v. Cass. 30-3-2004 n. 6324, Cass. 12-12- 2005 n. 27323).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

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