Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8329 del 29/04/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/04/2020, (ud. 24/06/2019, dep. 29/04/2020), n.8329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27117/2012 proposto da:

L. & L. DI L.O. & C. SAS, in persona del legale

rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa in forza di

procura speciale rilasciata in calce al ricorso dall’Avv.

Guadagnuolo Paolo, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio

in Cosenza (CS), C.so Umberto I n. 79;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

e

AGENZIA PROVINCIALE DELLE ENTRATE DI COSENZA, in persona del

Direttore p.t.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 46/01/2012 della Commissione tributaria

regionale della Calabria, depositata il 16 aprile 2012;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24

giugno 2019 dal Consigliere Grasso Gianluca;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale de

Augustinis Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi

l’Avvocato Paolo Guadagnuolo e l’Avvocato dello Stato Dettori Bruno.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La L. & L. di L.O. & C. Sas ha impugnato la cartella di pagamento con la quale l’Agenzia delle entrate, a seguito di controllo formale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis della dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2003, aveva riscontrato l’indebita compensazione di imposte Iva e Irap, con crediti non spettanti e, pertanto, aveva iscritto a ruolo le somme relative e recuperato a tassazione gli stessi crediti.

La Commissione tributaria provinciale di Cosenza ha accolto il ricorso.

2. – La Commissione tributaria regionale della Calabria ha riformato la pronuncia di prime cure, confermando la legittimità dell’operato dell’amministrazione.

3. – La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale, parte ricorrente ha depositato una memoria illustrativa ex art. 380-bis1 c.p.c. e la Procura generale ha depositato delle conclusioni scritte.

Il procedimento è stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza del 28 marzo 2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 e artt. 156 e 331 c.p.c.) ed omessa motivazione. Secondo parte ricorrente, va dichiarata nulla e/o inesistente e/o invalida la sentenza impugnata in quanto il processo è stato celebrato in sede d’appello senza considerare la posizione processuale dell’E.tr. Equitalia, parte nel processo di primo grado. Sotto tale profilo si denuncia, altresì, un’omissione di motivazione.

1.1. – Il motivo è infondato.

In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, secondo cui l’appello deve essere proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili, ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c., con la conseguenza che, in presenza di cause scindibili, la mancata proposizione dell’appello nei confronti di tutte le parti presenti in primo grado non comporta l’obbligo di integrare il contraddittorio quando, rispetto alla parti pretermesse, sia ormai decorso il termine per l’impugnazione (Cass. 27 ottobre 2017, n. 25588 che ha ritenuto esente da critiche l’omessa integrazione del contraddittorio in appello nei confronti del concessionario del servizio di riscossione, convenuto nel giudizio di primo grado insieme all’Amministrazione finanziaria, tenuto conto che l’impugnazione aveva ad oggetto solo l’esistenza dell’obbligazione tributaria e che il termine per impugnare era già decorso).

Con riferimento alla questione riguardante la necessità o meno di integrare il contraddittorio in appello nei riguardi delle parti presenti in primo grado ma non evocate in giudizio si deve dunque aver riguardo al carattere scindibile o inscindibile delle cause o alla loro dipendenza ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c., mentre, al di fuori di tali distinzioni, nessun rilievo specifico assume di per sè il riferimento al litisconsorzio necessario processuale.

In materia tributaria, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10, in caso di impugnazione di cartella esattoriale, la legittimazione passiva esclusiva del concessionario del servizio di riscossione dei tributi sussiste se l’impugnazione concerne vizi propri della cartella o del procedimento esecutivo, mentre (può agire indifferentemente nei confronti dell’ente impositore o dell’agente della riscossione, senza che sia configurabile alcun litisconsorzio necessario, qualora i motivi di ricorso attengano alla debenza del tributo (Cass. 28 aprile 2017, n. 10528; Cass. 9 novembre 2016, n. 22729).

Il fatto che il contribuente venga a conoscenza del ruolo, formato dall’ente impositore, soltanto tramite la notificazione dello stesso ad opera del concessionario della riscossione, non determina, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, una situazione di litisconsorzio necessario, nè sostanziale nè processuale, tra l’ente impositore ed il concessionario stesso, atteso che quest’ ultimo (a parte l’esercizio dei poteri propri, volti alla riscossione delle imposte iscritte nel ruolo), nell’operazione di portare a conoscenza del contribuente il ruolo, dispiega una mera funzione di notifica, ovverosia di trasmissione al destinatario del titolo esecutivo così come (salva l’ipotesi di errore materiale) formato dall’ente e, pertanto, non è passivamente legittimato a rispondere di vizi propri del ruolo, come trasfuso nella cartella (Cass. 16 gennaio 2009, n. 933).

In merito al vizio di motivazione della cartella esattoriale, va pertanto precisato che essendo la cartella riproduttiva del ruolo, tale vizio è imputabile all’ente impositore e non al concessionario, secondo quanto ritenuto in motivazione da Cass., Sez. Un., 14 maggio 2010, n. 11722, la cui affermazione può essere utilizzata al fine di individuare il soggetto legittimato passivamente rispetto all’impugnazione del contribuente. La cartella, infatti, risulta riproduttiva del ruolo e il concessionario si limita a riportare in essa quanto trasmessogli dall’ente impositore.

La specificità della riscossione in ambito tributario induce a non tener conto del diverso avviso a cui è giunta altra pronuncia di altra sezione di questa Corte con riferimento alla riscossione di entrate di natura non tributaria ai sensi del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46. (Cass. 25 febbraio 2016, n. 3707).

Nel caso di specie, pertanto, non era necessario citare il concessionario in giudizio, poichè l’impugnazione della cartella esattoriale investe i profili della carenza di motivazione e di contenuto della pretesa impositiva.

Inammissibile è il profilo di doglianza sul vizio di motivazione, non riguardando la doglianza un fatto controverso ma l’omesso esame di una questione giuridica.

2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis – D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis – L. n. 212 del 2000, artt. 5 e 6, D.L. n. 138 del 2002, art. 10 (L. n. 178 del 2002) – L. n. 388 del 2000, art. 8) e omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Parte ricorrente evidenzia che la fattispecie in esame non consentiva di ricorrere alla liquidazione automatica della dichiarazione, mentre sarebbe stato necessario adottare un motivato atto di accertamento o un atto omologo, non potendo essere esteso il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, relativo alle imposte dei redditi, a fattispecie diversa, quale il credito d’imposta. Si denuncia, pertanto, la violazione del diritto di difesa del contribuente che si vedeva recapitare una cartella nulla e/o inesistente che non faceva menzione dell’effettiva motivazione che giustificasse un’ipotetica revoca del credito di imposta. Si sarebbe così impedito l’esercizio del diritto al contraddittorio, che sarebbe stato invece garantito allorquando l’amministrazione avesse proceduto con un avviso di accertamento (e/o di revoca dei benefici). Si denuncia altresì una motivazione apparente, erronea, insufficiente e contraddittoria.

Con il terzo motivo si prospetta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 241 del 1990, art. 3 – L. n. 212 del 2000, artt. 6 e 7 – D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25 – D.M. 28 giugno 1999 – D.Lgs. n. 32 del 2001) e omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si contesta, al riguardo, il difetto di motivazione della cartella impugnata, poichè all’atto di ricezione della stessa il contribuente non era nella condizione di comprendere le ragioni della pretesa, a causa della presenza di indicazioni quali cifre e codici, incomprensibili per qualsivoglia contribuente.

2.1. – Il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come emerge dalla sentenza impugnata e da quella di prime cure, non risulta che il vizio riguardante la mancata notifica dell’avviso di accertamento sia stato proposto con l’impugnazione della cartella di pagamento, incentrandosi le doglianze sul mancato invio dell’avviso bonario e sull’onere della prova. Il relativo motivo di ricorso risulta pertanto inammissibile, stante la sua novità.

Parimenti inammissibile è il lamentato vizio di motivazione della cartella poichè la contestazione, così come formulata, oltre a implicare un apprezzamento di fatto, precluso in questa sede, difetta di specificità in merito al tenore della cartella di pagamento, avendo la Commissione tributaria regionale escluso un suo difetto di motivazione.

Infondata è la censura riguardante l’avviso bonario.

In tema di riscossione delle imposte, l’avviso bonario con cui, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, prima di procedere all’iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione di un tributo risultante da una dichiarazione ovvero nel caso in cui emerga la spettanza di un minor rimborso d’imposta rispetto a quello richiesto, si invita il contribuente a fornire chiarimenti o a produrre documenti mancanti, deve essere inviato dall’amministrazione finanziaria, a pena di nullità, nei soli casi in cui sussistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione e non anche se non risulti dall’atto impositivo l’esistenza di incerte e rilevanti questioni interpretative (Cass. 14 gennaio 2011, n. 795).

Inammissibile risulta la prospettazione concernente l’omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, cumulata insieme al motivo concernente la violazione di legge, mirando invero parte ricorrente a una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie.

3. – Con il quarto motivo si contesta la violazione e/o falsa applicazione norme di diritto (art. 91 c.p.c.). Secondo parte ricorrente, in mancanza di una valida costituzione, non essendosi costituita formalmente in giudizio e avendolo fatto dopo la data di decisione e prima del deposito della sentenza, la società appellata non poteva essere condannata a rifondere le spese del giudizio.

3.1. – Il motivo è infondato, avendo il giudice applicato il principio della soccombenza per la regolazione delle spese, a nulla rilevando la mancata tempestiva costituzione della parte soccombente. Al contrario, ma non è questo il caso di specie, ciò che è impedito è il riconoscimento delle spese in favore della parte che non risulti formalmente costituita.

4. – Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese del giudizio devono essere interamente compensate tra le parti, stante l’oggetto delle questioni trattate e i diversi orientamenti della giurisprudenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 24 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2020

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