Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8329 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/04/2010, (ud. 24/11/2009, dep. 08/04/2010), n.8329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17325-2006 proposto da:

M.D., già elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEL SEMINARIO 85, presso lo studio dell’avvocato MAGNI FRANCESCO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CECCARELLI

ENRICO, giusta mandato a margine del ricorso e da ultimo domiciliato

d’ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

AZIENDA USL (OMISSIS) EMPOLI, in persona del legale rappresentante

pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso

lo studio dell’avvocato ROMEI ROBERTO, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 31/01/2006 r.g.n. 2044/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2009 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato CECCARELLI ENRICO;

udito l’Avvocato MONICA GRASSI per delega ROMEI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’azienda USL (OMISSIS) di Empoli in data 13 dicembre 2001 ha intimato al dottor M.D.A., medico oculista, il licenziamento “con effetto immediato ai sensi e con gli effetti di quanto previsto all’art. 2119 c.c., dall’art. 23 CCNL area dirigenza medica 1998-2001, nonchè dall’art. 36 del CCNL area dirigenza medica e veterinaria”, addebitandogli di avere consigliato a pazienti da lui visitati di rivolgersi a presidi sanitari diversi dalla stessa azienda ovvero a professionisti privati per sottoporsi agli interventi necessari, rappresentando loro inesistenti difficoltà di effettuarli nella struttura aziendale, così da arrecare alla AUSL un grave danno di immagine determinando negli utenti la convinzione che essa non fosse in grado di eseguire talune prestazioni.

Il M. con ricorso al Tribunale di Firenze ha impugnato il licenziamento, chiedendo la reintegra nel posto di lavoro ed risarcimento del danno sotto vari profili.

Egli ha chiesto, inoltre, il ristoro del pregiudizio arrecatogli dall’Azienda per averlo dequalificato professionalmente, destinandolo, al rientro da un periodo di comando presso altra USL, ad una attività ambulatoriale sul territorio invece che alla divisione oculistica dell’Ospedale di (OMISSIS). Nella resistenza della convenuta il Tribunale ha dichiarato illegittimo il licenziamento perchè intimato nonostante il parere negativo del Comitato dei garanti, previsto dall’art. 23 del CCNL 1998-2001, ed ha condannato l’Azienda al pagamento, a titolo di indennità risarcitoria, di 22 mensilità di retribuzione, rigettando la domanda di reintegra ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 nonchè quelle di risarcimento del danno biologico, da dequalificazione e da compromissione dell’attività libero professionale.

La Corte d’Appello di Firenze, accogliendo l’appello incidentale dell’Azienda e respingendo l’appello principale del M., ha rigettato l’impugnativa del licenziamento, condannando il M. a restituire quanto ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado, ed ha confermato la decisione del primo giudice riguardo al danno da dequalificazione e da pregiudizio all’attività professionale.

La Corte territoriale, premesso che i comportamenti per i quali era stato intimato il licenziamento costituivano violazione dei doveri di fedeltà e non concorrenza ed avevano quindi rilievo disciplinare, ha ritenuto che la vicenda fosse estranea alla valutazione della responsabilità dirigenziale, per la quale esclusivamente doveva ritenersi previsto il parere conforme del Comitato dei Garanti in base al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 22 – disposizione di applicazione generale e non, come ritenuto dal primo giudice, limitata al personale dipendente dalle amministrazioni statali – ed in base all’art. 23 del contratto collettivo.

Il giudice di merito ha negato che ad una diversa conclusione potesse condurre l’interpretazione autentica del citato art. 23 fornita dalle parti sociali il 3 marzo 2004, restando fermo anche dopo tale accordo interpretativo che il parere era richiesto nel solo caso di recesso conseguente alla tipica responsabilità dirigenziale. La Corte ha notato, al riguardo che, del resto, l’art. 36 del CCNL di categoria, per il caso di recesso per giusta causa richiamava l’art. 2119 c.c. definendo in termini analoghi la relativa nozione, così richiamando anche le norme generali del codice civile ed i comportamenti che giustificano il licenziamento senza preavviso, al di fuori del caso specifico di valutazione dell’attività dirigenziale.

La Corte ha ancora osservato che l’interpretazione dell’art. 23 del CCNL nazionale accolta dal giudice di primo grado avrebbe determinato l’illegittimità della norma contrattuale per contrasto con le norme di rango superiore.

Quanto al parere negativo circa il recesso, espresso dal Comitato dei garanti nella seduta del 19 novembre 2001, la Corte ha ritenuto che esso fosse fondato su una discutibile valutazione delle risultanze documentali, richiamate solo genericamente, circa l’assenza di pressioni da parte del M. sui pazienti e di ogni suo interesse personale, come pure sulla mancanza di danno per l’Azienda.

Ha osservato poi che tale parere non poteva esser condiviso perchè ampiamente contrastato dalla prova testimoniale assunta in grado di appello. Ha quindi esaminato analiticamente le risultanze di tale prova concludendo nel senso che da essa emergevano motivi per il licenziamento in tronco a causa del reiterato dirottamento, da parte del M., di pazienti verso altre strutture sull’inesistente presupposto di lunghe liste di attesa ed inadeguata professionalità, con ingiustificato danno all’immagine dell’azienda, non assumendo rilievo nè il fatto che in concreto tali interventi fossero comunque poi stati eseguiti nell’ambito della USL, nè l’assenza di prova di un diretto guadagno dello stesso M., risultando comunque ammessa da lui stesso la collaborazione professionale con un centro nel quale operava uno dei sanitari verso cui egli aveva indirizzato un paziente.

La Corte ha quindi rigettato le domande del M. correlate alla impugnazione del licenziamento, confermando inoltre la decisione del primo giudice circa l’insussistenza del danno derivante dall’assegnazione ad attività ambulatoriale specialistica sul territorio, osservando al riguardo che il M. aveva conservato la qualifica dirigenziale, che al passaggio di incarichi dirigenziali diversi non era applicabile l’art. 2103 c.c., che in ogni caso non era stata fornita la prova del danno, essendo stata acquisita al riguardo solo una generica dichiarazione testimoniale circa un progressivo assottigliamento del numero dei pazienti del M., in periodo imprecisato. M.D. chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di cinque motivi di ricorso.

L’azienda Usl (OMISSIS) di Empoli resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 69 e 71 all’art. 23 del CCNL 8 giugno 2000 e del CCNL 5 dicembre 1996, addebitando in sintesi alla sentenza impugnata di non aver considerato che il contratto collettivo nazionale di lavoro, laddove prevede il parere vincolante del Comitato di garanti anche nel caso di licenziamento disciplinare, prevale sulla norma del decreto legislativo in materia di recesso dell’amministrazione dal rapporto di lavoro con i dirigenti.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 ed all’art. 23 e art. 34, comma 7, del CCNL 8 giugno 2000 e art. 36 del CCNL 5 dicembre 1996, addebitando alla sentenza impugnata anzitutto di non aver attivato la procedura di interpretazione autentica da parte dell’ARAN e delle Organizzazioni sindacali, ed inoltre di non aver tenuto conto dell’accordo di interpretazione autentica delle norme contrattuali rilevanti, intervenuto il 3 aprile 2004, in base al quale per ogni ipotesi di recesso, indipendentemente dalla natura disciplinare o dirigenziale della relativa responsabilità, è richiesto il vincolante il parere del Comitato dei garanti.

Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 21 e 22 dell’art. 36 del CCNL 5 dicembre 1996 e art. 23 del CCNL dell’area medico-veterinaria dell’8 giugno 2000. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Si addebita anzitutto alla sentenza impugnata di non aver considerato che la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 21 e 22 trova applicazione solo alle amministrazioni dello Stato e che in assenza di norme che lo vietino non può ritenersi preclusa alla contrattazione collettiva l’adozione di procedure di garanzia per il recesso dal rapporto di lavoro. Si addebita inoltre alla sentenza di non aver valutato le garanzie di imparzialità dell’azione amministrativa e di autonomia per il dirigente offerte dall’intervento del Comitato dei garanti, qualora si consideri il relativo parere come non solo obbligatorio ma anche vincolante. Sotto il profilo del vizio di motivazione si mette in rilievo che il licenziamento era stato intimato anche a norma dell’art. 23 del CCNL dell’area della dirigenza medica 1998/2001,ove si prevede il parere del Comitato di garanti per ogni ipotesi di licenziamento, e si sostiene che la sentenza non aveva motivato sul come, una volta stabilita la vincolatività di tale parere, la AUSL, avendo attivato la procedura prevista dalla norma contrattuale, potesse disattenderlo.

I primi tre motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

La censura concernente la mancata attivazione della procedura di interpretazione autentica del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 64 da parte del giudice di appello è priva di fondamento per l’assorbente ragione che detta procedura è esperibile unicamente nel giudizio di primo grado (v. Cass. 12328/2008; 21796/2009).

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 21 e 22 nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa e per ciò che rileva, disponevano quanto segue.

“Art. 21 – Responsabilità dirigenziale – (del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 21, commi 1, 2 e 5 come sostituiti prima dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 12 e poi dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 14 e successivamente modificati dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 7).

1.1 risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione o il mancato raggiungimento degli obiettivi, valutati con i sistemi e le garanzie determinati con i decreti legislativi di cui alla L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 17 e successive modificazioni ed integrazioni comportano per il dirigente interessato la revoca dell’incarico, adottata con le procedure previste dall’art. 19, e la destinazione ad altro incarico, anche tra quelli di cui all’art. 19, comma 10, presso la medesima amministrazione ovvero presso altra amministrazione che vi abbia interesse.

2. Nel caso di grave inosservanza delle direttive impartite dall’organo competente o di ripetuta valutazione negativa, ai sensi del comma 1, il dirigente, previa contestazione e contraddittorio, può essere escluso dal conferimento di ulteriori incarichi di livello dirigenziale corrispondente a quello revocato, per un periodo non inferiore a due anni. Nei casi di maggiore gravità, l’amministrazione può recedere dal rapporto di lavoro, secondo le disposizioni del codice civile e dei contratti collettivi”.

“Art. 22 – Comitato dei garanti – (del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 21, comma 3 come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 14).

1. I provvedimenti di cui all’art. 21, comma 2, sono adottati previo conforme parere di un comitato di garanti, i cui componenti sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri”.

Queste disposizioni fanno parte del titolo 2^ capo 2^ del Decreto Legislativo in esame e, come previsto dal suo art. 13 “si applicano alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo”. In materia di dirigenza nel servizio sanitario nazionale dispone poi l’art. 26 del Decreto, dettando norme di materia di accesso alla qualifica dirigenziale e di conferimento dei relativi incarichi.

Infine con l’art. 27, comma 1 – Criteri di adeguamento per le pubbliche amministrazioni non statali – (del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 27-bis aggiunto dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 17) è stabilito che:

“1. Le regioni a statuto ordinario, nell’esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano ai principi dell’art. 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità. Gli enti pubblici non economici nazionali si adeguano, anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano, adottando appositi regolamenti di organizzazione”.

Il testo del cit. art. 22 con il riferimento al precedente art. 21, comma 2 rende chiaro che l’intervento del Comitato dei garanti riguarda un tipo di responsabilità di carattere gestionale, non riferibile a condotte realizzate in puntuale violazioni di singoli doveri, e collegata invece ad un apprezzamento globale dell’attività del dirigente, il che ben spiega l’intervento dell’organo esterno all’Amministrazione in funzione di garanzia.

La diversa soluzione adottata nella sentenza 3929/2007 di questa Corte, trova fondamento nella rilevata commistione, nel caso allora all’esame, di profili di responsabilità disciplinare e di responsabilità per mancato raggiungimento degli obiettivi, che per contro, nel caso di specie sono affatto assenti. Non vi è quindi ragione, in questa sede, di dissentire da quella soluzione, bastando evidenziare le differenze nella situazione di fatto rispetto a quella oggetto di questo ricorso.

La tesi del ricorrente secondo cui il D.Lgs. n. 165 del 2001, cit.

artt. 21 e 22 non troverebbero diretta applicazione nel rapporto di lavoro dirigenziale con le AUSL non implica che per contro in tale rapporto la responsabilità disciplinare regolata dai contratti collettivi possa legittimamente essere attivata con l’intervento del Comitato dei Garanti. Se ne dovrebbe infatti desumere, paradossalmente, che in assenza del necessario adattamento l’intervento non sarebbe possibile neppure nei casi analoghi a quelli per i quali, nella dirigenza statale, esso è contemplato, non certo che esso sarebbe consentito anche in casi diversi. In realtà, la norma che impone l’adeguamento rende palese che il principio contenuto nelle disposizioni in esame è applicabile anche alle dirigenze pubbliche non statali, l’adeguamento consistendo proprio e solo nell’adattamento del principio alle particolarità di ciascun ente.

Il recesso oggetto di controversia è stato intimato dall’AUSL in base all’art. 2119 c.c., art. 23 del CCNL area dirigenza medica 1998- 2001 e art. 36 CCNL area della dirigenza medica e veterinaria 5 dicembre 1996.

Per quanto interessa tale ultimo art. dispone che:

“1. Nel caso di recesso dell’azienda o ente ai sensi dell’art. 2118 c.c., quest’ultima deve comunicarlo per iscritto all’interessato, indicandone contestualmente i motivi e rispettando, salvo che nel caso del comma 2, i termini di preavviso, 2. In caso di recesso per giusta causa si applica l’art. 2119 c.c..

La giusta causa consiste in fatti e comportamenti, anche estranei alla prestazione lavorativa, di gravità tale da non consentire la prosecuzione, sia pure provvisoria, del rapporto di lavoro”.

Quindi, dopo il comma 3 sul procedimento disciplinare, è prevista nel comma successivo, come; causa di recesso, “La responsabilità particolarmente grave e reiterata, accertata secondo le procedure dell’art. 59” il quale si riferisce alla valutazione dei dirigenti.

L’art. 23 del CCNL 1998-2001, rubricato come “Comitato dei Garanti” dispone nel comma 1 che “1. Entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente contratto, presso ciascuna Regione è istituito un Comitato dei Garanti, composto da tre membri, chiamato ad esprimere parere preventivo sulle ipotesi di recesso proposte dalle aziende nei confronti dei dirigenti nei casi e con il rispetto delle procedure previsti dall’art. 36 del CCNL 5 dicembre 1996 e dall’art. 34 del presente contratto che, per quanto attiene l’accertamento delle responsabilità dirigenziali, sostituisce l’art. 59 ivi citato” e, dopo aver dettato nei tre commi successivi disposizioni sulla sua composizione, stabilisce nel comma 5 che: “5. Il recesso è adottato previo conforme parere del Comitato che deve essere espresso improrogabilmente entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta, termine decorso il quale l’azienda può procedere al recesso”.

Come detto, il principio ricavabile dal sopra cit. D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 21 e 22 è che l’intervento del Comitato dei Garanti riguarda le ipotesi di responsabilità dirigenziale, salva la sua estensione – come affermato nella menzionata sentenza 3929/2007 di questa Corte – anche ai casi di indissolubile intreccio fra tale tipo di responsabilità e quella, tipicamente disciplinare, per mancanze.

Questo principio, siccome contenuto nello stesso decreto legislativo, non è derogabile dai contratti collettivi secondo il meccanismo (ora non più operante) di cui all’art. 2, comma 2 dello stesso Decreto, essendo quest’ultimo per definizione estraneo al tipo di atto normativo rispetto alla quale era ammessa la deroga da parte dell’autonomia collettiva.

La norma contrattuale in ultimo richiamata non impone di ritenere necessario l’intervento di detto Comitato anche nelle fattispecie di recesso per motivi puramente disciplinari, visto che essa fa riferimento ad altre clausole collettive nelle quali oltre a quella disciplinare è contemplata la responsabilità dirigenziale, sicchè è plausibile una interpretazione, di carattere conservativo (unica alternativa ad una declaratoria di nullità della previsione contrattuale per contrasto con norme poste da fonti di rango superiori) che restringa il ruolo del Comitato al solo recesso fondato su detta responsabilità.

Nè a ben vedere siffatta necessità deriva dai due “CCNL di interpretazione autentica dell’art. 23 del ccnl 8 giugno 2000 dell’area medico veterinaria” stipulati dalle parti il (OMISSIS).

Con l’art. 1 del primo contratto le parti hanno infatti stabilito che “1. Il parere di cui all’art. 23, commi 1 e 5 è richiesto al Comitato dei Garanti una sola volta, al termine delle procedure dell’art. 36 del CCNL 5 dicembre 1996 e dell’art. 34 del CCNL 8 giugno 2000, solo dopo le quali l’azienda è in grado di formulare la propria proposta di recesso.

2. Il recesso è adottato dall’azienda in conformità al parere in tal senso espresso dal Comitato dei garanti improrogabilmente entro i trenta giorni dal ricevimento della richiesta. Il parere è vincolante”.

Con il secondo contratto le parti hanno autenticamente interpretato l’art. 23 del CCNL 8 giugno 2000 nel senso che: “1) Tutte le procedure di recesso promosse successivamente all’entrata in vigore del CCNL 8 giugno 2000 vanno definite previo conforme parere del Comitato dei garanti, che deve essere pertanto istituito;

2) Solo le procedure di recesso attivate prima dell’entrata in vigore del CCNL indicato al comma 1 possono avere ulteriore corso anche in mancanza dell’istituzione del Comitato dei garanti trascorso il periodo di cui all’art. 23, comma 7, secondo le procedure dell’art. 36 e segg. del CCNL 5 dicembre 1996”.

Quindi in entrambi i casi rimane impregiudicata la precisa individuazione dell’area entro la quale, a norma dell’art. 23, deve operare l’intervento del Comitato e restano quindi utilizzabili anche per le due norme di interpretazione autentica gli argomenti in favore della già prospettata interpretazione restrittiva.

In conclusione, i primi tre motivi del ricorso devono essere rigettati.

Il quarto motivo di ricorso denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro in relazione agli artt. 2119 e 2106 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. ed agli artt. 2104 e 2105 c.c. nonchè art. 2697 c.c.. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si addebita alla sentenza impugnata di avere ritenuto gravi i comportamenti addebitati al M. a causa dell’esercizio da parte sua di attività privata senza previa comunicazione, così valutando una circostanza che non aveva formato oggetto di contestazione e, inoltre, non considerando che non vi era agli atti alcun elemento da cui potesse desumersi l’omissione addebitata, essendo vero per contro che il M. aveva comunicato l’attività in data 23 febbraio 1996 e 30 marzo 1999.

La Corte avrebbe inoltre fatto riferimento ad un reiterato dirottamento di pazienti presso altre strutture non tenendo presente che si trattava in realtà di un numero limitatissimo di casi nei quali era stata indicata dal M. la possibilità di eseguire gratuitamente un consulto presso uno specialista o di effettuare un intervento presso una struttura privata. Il motivo è infondato.

La collaborazione professionale del M. con un centro sanitario privato senza comunicazione è stata sottolineata dalla Corte di merito solo per segnalare la irrilevanza, sotto il profilo della gravità degli addebiti, della mancanza di prova di un guadagno diretto derivante dal dirottamento dei pazienti. Quindi la Corte è rimasta pienamente nei limiti della contestazione disciplinare, centrata appunto su tale condotta.

Per il resto il motivo sotto veste di vizi di motivazione chiede inammissibilmente a questa Corte una rivalutazione delle risultanze istruttorie.

Il quinto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro in relazione all’art. 2103 c.c., al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 18 ed all’art. 115 c.p.c., comma 2. Si addebita alla sentenza impugnata di aver escluso la dequalificazione del M. per il mancato svolgimento di attività ospedaliera e in particolare per la mancata effettuazione di interventi chirurgici al rientro dal periodo di comando a Pisa, avendo ritenuto che si trattasse del passaggio ad un incarico diverso non suscettibile di valutazione a norma dell’art. 2103 c.c. e che non fosse stata fornita la prova del danno.

Si sostiene in proposito che anzitutto un siffatto passaggio non era stato in alcun modo formalizzato e che inoltre l’art. 2103 c.c. sarebbe applicabile al settore del pubblico impiego nel quale non sarebbe ammissibile nel passaggio ad incarichi diversi la compromissione della professionalità. Quanto alla prova del danno si addebita alla sentenza impugnata la mancata utilizzazione delle presunzioni, il ricorso alle quali, nella materia in questione, era stato legittimato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza 6572/2006. Il motivo è infondato.

La questione della mancata formalizzazione del nuovo incarico non risulta trattata nella sentenza impugnata, sicchè è da considerare nuova in difetto delle necessarie indicazioni da parte del ricorrente.

La non applicazione dell’art. 2103 c.c. passaggio dall’uno all’altro incarico dirigenziale è sancita esplicitamente dalla legge (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, ultimo periodo). La questione del danno su base presuntiva oltre ad avere carattere piuttosto generico censura un’affermazione della sentenza del tutto ridondante, perchè una volta accertata la natura comunque dirigenziale dell’incarico ed esclusa l’applicabilità dell’art. 2103 c.c. viene negato lo stesso presupposto giuridico del danno.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, ma l’oggettiva complessità della questione rende opportuna la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

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