Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8327 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 24/03/2021), n.8327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – rel. Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 22639 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

Autotrasporti M.L. & C s.n.c., M.L. e

D.M.P.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara n. 526/10/2013,

depositata in data 5 novembre 2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 ottobre 2020 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera

Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 526/10/2013, depositata in data 5 novembre 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Autotrasporti M.L. & C s.n.c., di M.L. e di D.M.P., nella qualità di soci, avverso la sentenza n. 687/04/2010 della Commissione tributaria provinciale di Pescara che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla suddetta società e dai soci avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito dalla L. n. 427 del 1993, aveva contestato: 1) alla società, un maggiore reddito di impresa imponibile, ai fini Irpeg, Irap e Iva, per l’anno 2002, essendo emersa una grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dallo studio di settore, come rielaborato – in parziale accoglimento degli elementi giustificativi addotti dalla contribuente – in sede di contraddittorio dell’accertamento per adesione, non andato a buon fine; 2) ai soci un corrispondente maggiore reddito da partecipazione;

– in punto di fatto dalla sentenza impugnata emerge che avverso la sentenza di primo grado di accoglimento dei ricorsi aveva proposto appello l’Ufficio deducendo: a) la anomalia della ricostruzione reddituale operata dal contribuente, eliminando i costi relativi a un lavoratore dipendente e inserendo un socio al 100% (che era già presente in azienda); b) la irrilevanza del precario stato di salute fatto valere da M.L., legale rappresentante e socio, quale causa di esclusione dal calcolo degli studi di settore, essendosi registrato nel tempo un andamento crescente dei ricavi; c) la già operata riduzione da parte dell’Ufficio dei ricavi contestati a seguito della rielaborazione dello studio di settore in sede di contraddittorio per adesione; d) i contribuenti erano rimasti contumaci in sede di gravame;

– in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR- confermando la decisione di primo grado – ha osservato che: 1) premesso che gli studi di settore “hanno rilevanza di prova presuntiva, suscettibile di prova contraria, nell’ambito di un accertamento induttivo, collegato tuttavia a criteri di ragionevolezza in relazione al caso concreto”, il riferimento al “caso concreto” confermerebbe la necessità di adeguare il risultato delle presunzioni degli studi di settore alla situazione personale del contribuente; 2) i risultati dell’accertamento basato sugli studi di settore potevano concretare una presunzione grave, precisa e concordante soltanto in presenza di altri elementi, anche indiziari, che attestassero la normalità dell’attività della ditta in ordinarie condizioni nella realtà economica del proprio settore; 3) la dimostrazione di tale normalità spettava all’Ufficio tenuto a provare: a) relativamente al contribuente che egli vivesse una realtà economica normale e non si trovasse in una situazione svantaggiata o anomala; b) relativamente alla zona territoriale in cui lo stesso operasse che la stessa non fosse caratterizzata da una particolare situazione economica; 4) l’onere della prova dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto faceva carico all’ente impositore mentre “sul contribuente gravava quella- anche mediante presunzioni semplici – della sussistenza di condizioni che giustificassero l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui potessero essere applicati gli standard o come appare nella specie, della specifica realtà economica svolta nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce”;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi; rimangono intimati la società e i soci;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e dell’art. 2697 c.c. per avere la CTR ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento in questione senza considerare quanto emerso – e cristallizzato nella motivazione degli atti impositivi – in sede di contraddittorio dell’accertamento per adesione (non andato a buon fine) circa l’avvenuta riduzione da parte dell’Ufficio dell’importo dei ricavi non dichiarati rispetto a quello determinato originariamente in applicazione automatica dello studio di settore, fatto storico rispetto al quale i contribuenti non avevano offerto prova contraria;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62bis e della L. n. 146 del 1998, art. 10, per avere la CTR, con una motivazione apparente – a fronte di una ricostruzione reddituale operata dalla contribuente del tutto “anomala” per avere quest’ultima rielaborato lo studio di settore eliminando i costi di un dipendente e reinserendo la presenza di un socio con attività prevalente – fatto ricadere erroneamente, da un lato, sull’Amministrazione l’onere di provare l’applicabilità dello standard prescelto, e, dall’altro, sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni atte a giustificare l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard, senza menzionare quali fossero state, nel caso di specie, tali condizioni, facendo riferimento ad una indeterminata “specifica realtà dell’attività economica svolta nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce”;

– i motivi – da trattare congiuntamente per connessione – si profilano, in parte, inammissibili, in parte, infondati;

– va premesso che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. In tale sede quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le allegazioni del contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato dalle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards ((Cass., Sez. U., sent. n. 26635 del 2009; più di recente, 13908/2018; 9484/2017; 21754/2017; 14091/2017; n. 28680/2019) e non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (Cass. n. 17646 del 2014; n. 10047 del 2016); La motivazione dell’avviso di accertamento, pertanto, non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento, essendo preciso onere dell’Ente impositore motivare adeguatamente sulla concreta applicabilità dello studio di settore prescelto, a partire dal cluster di riferimento, e sulle ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente (Cass. 12 aprile 2017, n. 9484; n. 7123 del 2019) è infatti, quel che assume centrale importanza nell’accertamento mediante l’applicazione dei parametri o studi di settore è proprio i(contraddittorio con il contribuente dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la “presunzione” indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri e, di conseguenza, la giustificabilità di un onere della prova contraria a carico del contribuente (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635);

– nella specie, i motivi di ricorso, pur prospettando una violazione delle norme evocate nelle rispettive rubriche, tendono inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR, attenendosi ai suddetti principi, con un apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità- escluso l’applicabilità al caso concreto dello studio di settore – come rielaborato, rispetto a quello originario, dallo stesso Ufficio in sede di accertamento per adesione, in parziale accoglimento delle giustificazioni fornite dalla contribuente – per avere la contribuente fornito la prova della “specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui si riferiva l’accertamento” atta a giustificare l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui potesse applicarsi lo “standard” prescelto; specifica realtà dell’attività economica che – avuto riguardo anche alla parte in fatto della sentenza – è da intendersi ravvisata dal giudice di appello- con uguale valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità – nelle, già in primo grado denunciate, difficoltà di esercizio dell’impresa correlate al progressivo aggravamento dal 1999 in poi dello stato di salute di M.L., legale rappresentante e socio della società contribuente; va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018);

– infine, quanto alla prospettata- con il secondo motivo di ricorso – “motivazione apparente” della sentenza impugnata, in disparte l’inammissibilità della formulazione della relativa censura in relazione al n. 3 in luogo che al n. 4, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, questa Corte ha chiarito che “L’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra violazione della legge processuale, denunciabile con ricorso per cassazione, solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa (con conseguente nullità della pronuncia per difetto di un indispensabile requisito di forma), e cioè nei casi di radicale carenza di essa o del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cosiddetta motivazione apparente) o fra loro logicamente inconciliabili o comunque perplesse ed obiettivamente incomprensibili. (Cass., sez. un., n. 23832 del 2004; Cass. n. 25972 del 2014). Questa Corte ha, altresì, precisato che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento; da ultimo, Cass. n. 326 del 2018). Nella specie, le considerazioni svolte dalla CTR nella motivazione della sentenza impugnata sono tali da disvelare chiaramente quale sia la ratio decidendi e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, trovando la decisione, in sostanza, fondamento nel ritenuto assolvimento da parte della contribuente dell’onere probatorio circa la sussistenza delle condizioni – ravvisate nella “specifica realtà dell’attività economica” svolta nel periodo in contestazione – atte a giustificare l’esclusione dell’impresa dall’ambito di applicazione dello standard prescelto dall’Amministrazione;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– nulla sulle spese del giudizio di legittimità essendo rimasti intimati i contribuenti.

P.Q.M.

la Corte:

– rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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