Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8327 del 12/04/2011

Cassazione civile sez. III, 12/04/2011, (ud. 18/02/2011, dep. 12/04/2011), n.8327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CHIARINI M. Margherita – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3950-2009 proposto da:

COMUNE BENEVENTO, in persona del Sindaco pro tempore ing. P.

F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G

BELLUZZO 27 L, presso lo studio dell’avvocato PAGANO MASSIMO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIANO LUIGI giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE BENEVENTO (OMISSIS) (USL n. (OMISSIS) di

Benevento in

liquidazione), in persona del legale rappresentante pro tempore,

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 12,

presso lo studio dell’avvocato DE PACE NATASCKE, rappresentata e

difesa dall’avvocato PIETRANTUONO GRAZIANO giusta delega a margine

del controricorso;

– controricorrente –

e contro

UNICREDIT BANCA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1597/2008 del TRIBUNALE di BENEVENTO, emessa

il 29/9/08, depositata il 06/10/2008 (R.G. 2631/07);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato LUIGI GIULIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Il Comune di Benevento propose opposizione all’esecuzione avverso il pignoramento effettuato ai suoi danni dalla ASL BN (OMISSIS) delle somme detenute dal tesoriere comunale (Unicredit Banca S.p.A., filiale di Benevento), deducendo l’inammissibilità e l’improcedibilità del pignoramento ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 248, comma 2, T.U. nonchè l’impignorabilità delle somme oggetto dell’esecuzione in virtù delle Delib. G.M. 30 dicembre 2005, n. 265 e Delib. 15 giugno 2006, n. 115 (che vincolavano le somme per finalità pubbliche).

Si costituì in giudizio la ASL creditrice pignorante deducendo l’infondatezza del primo motivo di opposizione, in ragione della espressa esclusione del credito azionato dalla ASL dalla competenza dell’organo straordinario di liquidazione, nonchè la tardività del secondo motivo di opposizione, qualificato come opposizione agli atti esecutivi, e comunque la infondatezza per essere stato il vincolo apposto al di fuori delle ipotesi previste dalla legge ed in ogni caso per avere il terzo esecutato reso in sede esecutiva una dichiarazione positiva.

2.- Il Tribunale di Benevento ha rigettato l’opposizione, compensando tra le parti le spese processuali.

3.- Avverso la sentenza del Tribunale di Benevento propone ricorso per cassazione il Comune di Benevento, a mezzo di tre motivi. Resiste l’intimata con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia error in iudicando o, in subordine, error in procedendo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 2 (nonchè degli artt. 166, 163 e 167 c.p.c.) e del principio di non contestazione; ancora, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

L’illustrazione del motivo si conclude con l’enunciazione del seguente quesito di diritto: “se il principio di non contestazione sia o meno applicabile per assumere il contenuto di atti negoziali, nella specie amministrativi, e, conseguentemente, se sia erronea o meno la sentenza gravata che ha applicato il detto principio per assumere una conseguenza derivata dal contenuto dell’atto amministrativo”.

1. 1.- Il motivo è inammissibile.

Il presente ricorso per cassazione è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 ed abrogato dalla L. 18 giugno 2008, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (6 ottobre 2008).

Il quesito di diritto come sopra formulato non rispetta la previsione del citato art. 366 bis c.p.c..

Esso infatti, per un verso, si risolve nell’invito a questa Corte ad esprimere un orientamento interpretativo in merito al principio di non contestazione di portata talmente generale da risultare del tutto svincolato dal caso concreto; per altro verso, è evidentemente inidoneo a chiarire quale sia l’errore di diritto della sentenza impugnata che il ricorrente lamenta.

Più in particolare, quanto al primo aspetto, il riferimento del principio di non contestazione al “contenuto di atti negoziali, nella specie amministrativi” è del tutto insufficiente a rendere edotti di quale sia il fatto non contestato che, risultando dal contenuto degli atti ivi richiamati, dovrebbe o meno ritenersi escluso dal thema probandum in ragione della non contestazione: poichè il contenuto degli atti “negoziali” ovvero degli atti “amministrativi” può essere il più vario e la relativa produzione in giudizio può variamente atteggiarsi a seconda del fatto alla cui prova essa è funzionale, non è possibile esprimere un principio generale nei termini pretesi dal ricorrente, essendo differenti la portata e gli effetti della non contestazione in ragione del fatto che ne forma oggetto. A ciò si aggiunga che, non apparendo affatto corretta l’equiparazione degli atti amministrativi agli atti negoziali, quale risulta dal tenore del quesito in esame, sarebbe necessario distinguere gli uni dagli altri anche ai fini della rilevanza da attribuire al loro rispettivo contenuto, alla produzione in giudizio ed agli effetti della non contestazione dei fatti risultanti dagli uni o dagli altri. Per di più, il ricorrente nemmeno specifica nel quesito quale o quali siano gli atti amministrativi a cui intende fare riferimento.

Quanto al secondo aspetto, il quesito così come formulato è del tutto sganciato dal caso concreto, soprattutto non consente di comprendere quale sia la “conseguenza derivata dal contenuto dell’atto amministrativo” che la sentenza impugnata ha assunto come provata nè contiene la sintesi delle ragioni per le quali non avrebbe dovuto dare per dimostrata detta “conseguenza”: non solo non sono stati indicati l’atto amministrativo ed il fatto da provare, ma nemmeno risultano sintetizzate quali siano state le condotte processuali delle parti e quale sia stato l’errore del giudice di merito nella valutazione di tali condotte. In conclusione, il quesito di diritto è, in sè, incompiuto, e diviene appieno comprensibile soltanto se letto unitamente alìillustrazione del motivo che lo precede, nelle pagine 4-7 del ricorso.

Prescindendo da tale illustrazione, il quesito di diritto non può essere inteso altrimenti che come richiesta di enunciazione di un principio astratto del tutto avulso dalla fattispecie concreta, che si tradurrebbe in un’attività interpretativa del principio di non contestazione, non certo nell’enunciazione di una regula iuris applicabile anche in casi ulteriori rispetto a quello da decidere con la presente sentenza.

Avuto riguardo ai principi espressi da questa Corte (tra l’altro, con la sentenza a Sezioni Unite n. 26020 del 30 ottobre 2008, per la quale “Il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, cosi da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie.”) non può che concludersi nel senso dell’inammissibilità del primo motivo di ricorso.

2. Col secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 248 c.c., art. 252 c.c., comma 4, art. 254, comma 3, cit. T.U.E.L., nonchè del D.L. n. 80 del 2004, art. 5, comma 2 convertito nella L. n. 140 del 2004 e della L. n. 241 del 1990, art. 21 quinquies e dell’art. 1418 c.c.. Assume il ricorrente che dalle disposizioni richiamate emergerebbe la regola per la quale tutte le obbligazioni degli enti locali che trovano la loro fonte, a prescindere dal loro accertamento, in atti o fatti antecedenti il 31 dicembre dell’anno precedente l’approvazione dell’ipotesi di bilancio riequilibrato sono di competenza dell’organo straordinario di liquidazione e, pertanto, relativamente ad esse, sarebbe preclusa, ai sensi dell’art. 248, cit. T.U.E.L., qualsiasi intrapresa o prosecuzione di azione esecutiva ai danni dell’ente;

tale disciplina sarebbe inderogabile, in quanto di ordine pubblico, poichè diretta a garantire la par condicio creditorum e la sopravvivenza dell’ente locale, in relazione allo svolgimento dei compiti istituzionali e pubblici connessi. Pertanto, secondo il ricorrente, l’ente locale ed i suoi organi di gestione ordinaria non potrebbero validamente escludere dalla procedura di risanamento dei crediti che invece vi rientrerebbero, sulla scorta delle disposizioni richiamate, e che sarebbero invece di attribuzione dell’organo straordinario ex lege (art. 255, cit. T.U.E.L.); pertanto, sarebbe nulla di diritto la deliberazione della Giunta Municipale dello stesso Comune di Benevento che avrebbe escluso dalla massa liquidatoria straordinaria, quindi dalla competenza dell’organo straordinario di liquidazione, il credito oggetto della presente controversia, che invece vi sarebbe dovuto rientrare per legge poichè accertato come insorto prima della dichiarazione di dissesto e prima del 31 dicembre antecedente l’approvazione della delibera di ipotesi di bilancio riequilibrato. Secondo il ricorrente, sì tratterebbe di una nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio, e soprattutto a fini incidentali, essendo la decisione impugnata fondata appunto sull’atto del quale si assume la nullità.

2.1. Il motivo è inammissibile perchè il ricorso manca di autosufficienza, non essendo stata specificata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 366 c.p.c., n. 6, la Deliberazione della Giunta Municipale sulla quale il motivo si fonda, con la dettagliata esposizione del contenuto, quanto meno nella parte che si assume in contrasto con le norme di legge richiamate.

2.2. Pare opportuno prendere le mosse dalla giurisprudenza di legittimità per la quale ogniqualvolta le censure oggetto del ricorso per cassazione investano il contenuto, tra gli altri, di contratti o atti amministrativi, in modo tale che il giudizio di questa Corte non possa essere espresso se non previo esame di tali contratti o atti, la regola della specificità ed autosufficienza del ricorso impone che in esso siano riportati il testo integrale dell’atto o, quanto meno, della parte di esso in contestazione (cfr.

Cass. n. 1893/09, nonchè Cass. n. 8296/05, n. 3075/06 e, sotto altra, ma analoga, prospettiva, Cass. n. 19359/07).

Orbene, poichè la deduzione della nullità così come svolta dal ricorrente Comune di Benevento imporrebbe a questa Corte una valutazione del contenuto della delibera della giunta municipale che si assume viziata, sarebbe stato onere del ricorrente riportare dettagliatamente tale contenuto nel ricorso, evidenziandone le parti alle quali è riferita la deduzione di violazione di legge.

Non solo il ricorso è mancante del contenuto della deliberazione, ma nemmeno risulta dal ricorso quale sia il numero e la data di emissione della deliberazione.

Per un verso, infatti, lo stesso ricorrente assume che la Delib. n. 120 del 2005, citata nella sentenza impugnata, avrebbe avuto contenuto diverso da quello ritenuto da tale sentenza, quindi non sarebbe stata affatto una deliberazione di esclusione del credito per cui è causa dalla massa liquidatoria della procedura di risanamento, sicchè ad essa non potrebbe farsi riferimento alcuno.

Per altro verso, non è detto in ricorso quale altra sarebbe la Deliberazione della Giunta Municipale che conterrebbe tale invalida esclusione; anzi, le deduzioni svolte dallo stesso ricorrente indurrebbero a ritenere che il Comune di Benevento finisca per sostenere che una deliberazione del contenuto denunciato non sarebbe mai stata adottata.

Orbene, poichè il vizio dedotto attiene alla nullità del contenuto di una determinata Deliberazione adottata dalla Giunta Municipale, il ricorrente, pur se avesse voluto continuare a sostenere che tale deliberazione non fosse quella citata in sentenza (n. 120 del 2005), avrebbe dovuto indicare quale invece fosse e quale fosse il suo contenuto. In mancanza, il motivo si traduce nella denuncia di un vizio di un atto amministrativo del tutto ipotetico, come se il ricorrente intendesse denunciare che, se mai una deliberazione del contenuto in parola vi fosse stata, essa sarebbe stata invalida.

Così formulato, il motivo è palesemente inammissibile.

3. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia un error in indicando, per violazione dell’art. 159, cit. T.U.E.L., come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 211 del 2003, nonchè dell’art. 2697 c.c..

Sostiene il ricorrente che il Tribunale di Benevento avrebbe fatto un’errata applicazione della norma richiamata e ne avrebbe tratto erronee conseguenze in punto di ripartizione dell’onere dell’allegazione e della prova, laddove nella sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione di impignorabilità delle somme perchè il Comune di Benevento non avrebbe dedotto e dato prova della mancata emissione di mandati di pagamento in ordine non cronologico, ritenendo questo quale elemento costitutivo dell’impignorabilità, che si deve aggiungere al vincolo di destinazione delle somme risultante dalle deliberazioni previste dal citato art. 159, notificate al tesoriere. Secondo il ricorrente, si tratterebbe invece di fatto estintivo, che andrebbe eccepito e provato, sia pure entro i limiti segnati dal principio di vicinanza della prova, dal creditore procedente; pertanto, nel caso di specie, essendo mancata la relativa eccezione da parte della ASL BN (OMISSIS), l’opposizione all’esecuzione proposta dal Comune per l’impignorabilità delle somme avrebbe dovuto essere accolta.

3.1. In effetti, la sentenza impugnata motiva nel senso che “la mancata emissione di mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati, in violazione dell’ordine cronologico, si presenti quale elemento (negativo) della fattispecie costitutiva del diritto dell’ente a sottrarre le somme vincolate (per le finalità indicate) al pignoramento del creditore, per cui incombe sulla parte debitrice l’onere di provare tutti i presupposti normativamente imposti (ex ante ed ex post) al fine di escludere le somme destinate dalla garanzia patrimoniale ex art. 2740 cod. civ. e dalla conseguente esecuzione forzata”.

Dopo aver esposto una serie di argomenti ritenuti decisivi ai fini della configurazione del fatto negativo dell’emissione dei mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati quale elemento costitutivo della fattispecie di impignorabilità, il Tribunale di Benevento ha ritenuto che, avendo l’ente debitore prodotto in giudizio soltanto la delibera di giunta impositiva del vincolo, senza dedurre nè provare l’ulteriore condizione imposta con la sentenza additiva della Consulta n. 211 del 2003, l’opposizione proposta dallo stesso Comune fosse da rigettare.

3.2. Il motivo è infondato e la decisione di rigetto dell’opposizione è conforme al diritto, anche se la motivazione della sentenza impugnata va corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c, nei termini che seguono.

La ricostruzione della disciplina dettata dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 159 come risultante dopo la sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 211 del 18 giugno 2003, quindi dei poteri di rilievo officioso del giudice dell’esecuzione e degli oneri di allegazione e di prova delle parti, sia nel processo esecutivo, che nell'(eventuale) giudizio di opposizione (specificamente, di opposizione agli atti esecutivi), è stata fatta dalla sentenza di questa Corte n. 23727/08, alla quale si fa integrale rinvio, fatte salve le precisazioni di cui appresso, necessarie per la presente decisione.

La sentenza n. 23727/08, pur discostandosì, come si dirà, dal precedente costituito dalla sentenza n. 13263/06, quanto ai criteri di ripartizione dell’onere della prova, ricostruisce la fattispecie dell’impignorabilità di cui al più volte citato art. 159, cit.

T.U.E.L., come risultante dalla sentenza della Consulta n. 211 del 2003, in termini analoghi a quanto fatto dalla sentenza n. 13263/2006.

Quest’ultima sentenza si è espressa in merito alla disciplina risultante dal D.Lgs. n. 97 del 1995, art. 113 come modificato dal D.Lgs. n. 336 del 1996, art. 39 e dichiarato incostituzionale in parte qua con la sentenza della Consulta n. 69/1998: trattasi peraltro di disciplina del tutto analoga a quella che regola la vicenda sostanziale e processuale oggetto della presente controversia. Orbene, nella sentenza richiamata, si è ritenuto che il vincolo di destinazione delle somme a pubbliche finalità idoneo a sottrarre tali somme alle procedure esecutive individuali risulti apposto con l’adozione delle delibere comunali previste dalla legge e con la loro notificazione al tesoriere: si tratta di un fatto impeditivo dell’esercizio dell’azione esecutiva, la cui prova incombe sul debitore escusso che contesti il diritto di controparte a tale esercizio. Secondo il precedente richiamato, che qui si intende sul punto confermare, i fatti contrari a tale ultimo fatto impeditivo (dell’azione esecutiva), rilevanti a seguito della decisione della Corte Costituzionale, non si risolvono in un fatto negativo, ma nel fatto positivo dell’emissione di mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati e senza seguire l’ordine indicato dalla legge.

Anche la sentenza n. 23727/08 di questa Corte (cui è conforme la più recente Cass. n. 12259/09) configura l’impignorabilità come già sussistente al momento dell’imposizione del vincolo mediante l’adozione della delibera che individua le risorse da destinare alle finalità protette e la sua notificazione al tesoriere.

Sebbene detta configurazione non risulti espressamente affermata, la motivazione della sentenza la presuppone, anche con riguardo alla disciplina – applicabile nella presente controversia – dettata dall’art. 159 cit. TUEL come risultante dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 211/03.

Ed, invero, nel momento in cui, come si dirà, la sentenza impone al creditore procedente l’onere di eccepire, anche se non di provare, il fatto positivo dell’emissione di mandati di pagamento per finalità diverse da quelle previste nella delibera impositiva del vincolo, evidentemente configura tale fatto, in sè, come modificativo- estintivo dell’impignorabilità, che si perfeziona sin dal momento dell’emissione delle Delibere e della loro notificazione.

3.3. Va pertanto corretta la motivazione della sentenza impugnata che presuppone che l’impignorabilità delle somme due fatti costitutivi, l’uno positivo, dato dalla delibera di destinazione, l’altro negativo, dato dalla mancata emissione di mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati in violazione dell’ordine cronologico delle fatture o, in mancanza di fatture, delle date di deliberazione di impegno da parte dell’ente.

La stessa sentenza della Corte Costituzionale n. 211/03 è nel senso della sufficienza del primo soltanto dei predetti fatti per l’insorgere dell’impignorabilità, tanto è vero che la Consulta considera il secondo fatto, inteso f però nella sua accezione positiva, come intervenuta emissione dei mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine anzidetto, come fatto che determina l’inoperatività dell’impignorabilità, secondo quanto è desumibile, oltre che dal tenore della motivazione, anche dalla lettera del dispositivo – espresso nei seguenti termini:” dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 159, commi 2, 3 e 4 cit. T.U. (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui non prevede che la impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lett. a), b) e c) del comma 2 non operi qualora, dopo la adozione da parte dell’organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell’ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell’ente stesso”.

A quanto detto si aggiunga che il fatto in considerazione è soltanto eventuale e può verificarsi soltanto in un momento successivo rispetto a quello dell’imposizione del vincolo deliberata dall’ente locale ogni semestre, sicchè è fisiologico che esso operi come fatto estintivo-modificativo di un vincolo già esistente, poichè, altrimenti, si dovrebbe ritenere che la fattispecie perfezionativa di questo fosse non tanto progressiva, quanto addirittura provvisoria.

Essa, infatti, sarebbe configurata certamente e sempre al momento dell’adozione delle delibere, poichè in tale momento sussisterebbe sempre il fatto negativo della (ancora) mancata emissione di mandati di pagamento per titoli, diversi, ma finirebbe per venire meno se e quando l’ente locale emetta uno o più di tali mandati. Ne risulta confermata la natura di fatto estintivo di questa emissione che determina appunto l’inoperatività, quindi il venir meno, del vincolo di impignorabilìtà originariamente apposto alle somme depositate presso il tesoriere.

4. Passando ad esaminare il regime dell’onere della prova dei fatti, costitutivo ed estintivo, sopra evidenziati, occorre tornare alla sentenza n. 23727/2008.

Questa distingue due momenti, rilevanti allo scopo in parola, quello del processo esecutivo e quello del giudizio di cognizione, che si apre – nell’ipotesi considerata dalla sentenza – con la opposizione agli atti esecutivi, che il creditore procedente o il debitore possono proporre, impugnando l’uno l’ordinanza che dichiara nullo il pignoramento, l’altro l’ordinanza che assegna le somme; ma che – occorre aggiungere – può configurarsi – come nel caso di specie – come opposizione all’esecuzione, ogniqualvolta il debitore opponente si opponga al pignoramento (in una fase quindi pregressa rispetto a quella considerata dalla sentenza n. 23727/08) e deduca, quale causa petendi dell’opposizione, l’impignorabilità delle somme pignorate (cfr., per il diverso possibile atteggiarsi.

Ai dell’opposizione con la quale si intenda contestare l’esecuzione nei confronti degli enti locali sulle somme vincolate a pubbliche finalità, Cass. n. 23084/05, n. 477/09).

I termini della questione riguardante gli elementi costitutivi ed estintivi della fattispecie di impignorabilità sono identici sia nel momento del processo esecutivo, sia nel momento del giudizio oppositivo, e, quanto a quest’ultimo, sia che si tratti di opposizione; agli atti esecutivi che se si tratti di opposizione all’esecuzione; ciò che cambia, proprio in ragione delle; diverse posizioni processuali che nell’uno e nell’altro dei momenti anzidetti vengono ad assumere il creditore procedente ed il debitore esecutato, nonchè in ragione dei poteri officiosi riconosciuti, come si dirà, al giudice dell’esecuzione, sono i criteri di allegazione e di ripartizione dell’onere della prova.

4.1. Secondo la sentenza n. 23727/2008 (seguita da Cass. n. 12259/09), nella disciplina dell’esecuzione forzata in confronto degli enti locali la questione dell’impignorabilita può essere rilevata d’ufficio ed, allo scopo, nel pignoramento presso il tesoriere, “è congruo alla struttura della disciplina speciale ritenere che la funzione del terzo, di ausiliare del giudice, comporti che debba riferire al giudice dell’esecuzione ogni aspetto della situazione concreta se rilevante per la decisione”. A seguito delle contestazioni del creditore procedente, il tesoriere ha l’onere di documentare quanto dichiarato ed è sulla base di tale dichiarazione e della documentazione presentata dal tesoriere e se del caso dal creditore procedente, che il giudice dell’esecuzione riterrà esistenti le condizioni cui si ricollega l’effetto dell’impignorabilita e la conseguente nullità del pignoramento ovvero le riterrà non esistenti, facendo luogo all’assegnazione delle somme pignorate”.

Trattandosi di un procedimento destinato a concludersi con provvedimenti che non hanno attitudine al giudicato, salva la stabilizzazione degli effetti conseguente alla mancata opposizione, “le condizioni cui si ricollega l’effetto dell’impignorabilita” vanno valutate dal giudice d’ufficio, in base alle risultanze acquisite per il tramite del tesoriere, quale “ausiliario del giudice”, senza che rilevino specifici oneri di allegazione e di prova (se non per la necessità di documentare le dichiarazioni contestate).

4.2. Questi ultimi oneri, invece, caratterizzano il giudizio di cognizione cui da luogo l’opposizione, sia che si tratti di opposizione agli atti esecutivi (avverso l’ordinanza conclusiva del processo esecutivo) sia che si tratti di opposizione all’esecuzione, specificamente fondata sull’impignorabilità delle somme vincolate a pubbliche finalità.

Se l’ordinanza conclusiva del pignoramento presso terzi ha dichiarato la nullità del pignoramento per impignorabilità delle somme, sarà il creditore procedente, che agisce quale opponente con l’opposizione agli atti esecutivi, a dover allegare i fatti su cui si fonda la sua opposizione, vale a dire, come rileva la sentenza n. 23727/08, quando intende sostenere che “l’efficacia della deliberazione di destinazione è stata resa inoperante da successivi pagamenti per debiti estranei eseguiti senza il rispetto del dovuto ordine cronologico, deve allegare quali specifici pagamenti abbiano determinato gli effetti da lui postulati”, spettando tuttavia, non al creditore provare il fatto allegato, ma all’ente locale “dare la prova del contrario”; infatti, in attuazione del principio della vicinanza della prova “spetta all’ente locale dimostrare che in occasione dei diversi pagamenti cui il creditore ha fatto riferimento l’ordine richiesto dal D.Lgs. n. 219 del 2000, art. 159, non è stato violato, ma rispettato”.

4.3. Analoga è la distribuzione degli oneri di allegazione e di prova quando opponente sia non il creditore procedente, bensì l’ente locale esecutato, sia che si opponga, con opposizione agli atti esecutivi, all’ordinanza conclusiva del processo esecutivo che abbia assegnato le somme pignorate, sia che ne contesti la pignorabilità con opposizione all’esecuzione.

Più specificamente, quando si tratti, come nel caso di specie, di opposizione all’esecuzione, spetta all’opponente contestare il diritto della controparte di procedere ad esecuzione forzata sui beni vincolati col pignoramento, dando prova dei fatti allegati (che, nel caso di specie, sono i fatti comportanti l’impignorabilità delle somme vincolate). L’opposto, a sua volta, può contestare tali deduzioni, sia avvalendosi di eccezioni in senso tecnico , sia mediante mere difese.

4.4. Nel caso oggetto della presente decisione, in presenza della deduzione e della prova fornita dall’ente locale del fatto costitutivo del vincolo di impignorabilità, cioè dell’avvenuta adozione delle deliberazioni di quantificazione delle somme necessarie per gli scopi istituzionali e della loro notificazione al tesoriere, il creditore procedente, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, ha contestato, tra l’altro, l’operatività del vincolo.

Contrariamene a quanto sostenuto dal ricorrente, l’onere di contestazione in capo all’opposto risulta assolto anche se l’ASL BN (OMISSIS) non ha dettagliatamente indicato i pagamenti che avrebbero determinato il venir meno del vincolo, sicchè, se va corretta la motivazione della sentenza impugnata laddove ha ritenuto che fosse onere del Comune di Benevento dedurre il fatto negativo della mancata intervenuta emissione di mandati di pagamento per titoli diversi da quelli oggetto delle Delib. G.M. 30 dicembre 2005, n. 265 e del 15 giugno 2006 n. 115, essa è corretta laddove impone allo stesso Comune l’onere della prova del fatto estintivo – impeditivo in parola.

Ed, invero, se il creditore procedente, anche quando sia attore opponente, nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi, è esonerato, in ragione del principio della vicinanza della prova, su cui si fonda la più volte citata decisione n. 23727/08, dall’onere della prova dei fatti posti a fondamento dell’opposizione (che, nella fattispecie in questione, si pongono come fatti costituenti la causa petendi dell’opposizione), a maggior ragione deve escludersi che sia gravato da tale onere quando si limiti ad eccepire il fatto estintivo dell’impignorabilità, quale convenuto opposto, al fine di contestare l’opposizione all’esecuzione proposta dall’ente debitore.

Non avendo il Comune di Benevento fornito la prova della regolare emissione dei mandati di pagamento in conformità alle Delibere su citate, ne va rigettato anche il terzo motivo di ricorso.

5. – In ragione del contrasto giurisprudenziale sul diverso atteggiarsi degli oneri di allegazione e di prova in merito ad uno dei motivi di opposizione all’esecuzione; contrasto, sussistente in sede di merito e risolto in sede di legittimità soltanto di recente, ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2011

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