Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8325 del 31/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/03/2017, (ud. 25/01/2017, dep.31/03/2017),  n. 8325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22191-2014 proposto da:

R.L., T.A., R.S., R.G.,

RA.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI VALTULINI giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGROBEST SRL, in persona dell’Amministratore Unico sig.

G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 60, presso lo

studio dell’avvocato CARLA PREVITI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANO PREVITI giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.R., M.P., M.G., M.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1033/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 24/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r.;

udito l’Avvocato ALESSANDRO ARDIZZI per delega;

udito l’Avvocato CARLA PREVITI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18 settembre 2013 la Corte di appello di Brescia ha respinto l’impugnazione proposta da R.L., T.A., Ra.An., R.G. e R.S. avverso la decisione del Tribunale di Bergamo con la quale era stata accolta la domanda, proposta nei loro confronti dalla Agrobest s.r.l., di rilascio di alcuni immobili per occupazione abusiva, e di condanna al conseguente risarcimento del danno, quantificato in complessivi Euro 8.865,70.

Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale ha ritenuto – condividendo quanto già affermato dal giudice di prime cure – che le risultanze documentali esaminate (il compromesso di vendita sottoscritto dall’allora amministratore della Agrobest, M.A., e la scrittura privata del (OMISSIS), formalizzata poi con l’atto pubblico (OMISSIS)) non contenessero elementi di prova idonei alla dimostrazione della sussistenza di un patto di retrovendita, così come prospettato dagli appellanti per contestare la liceità dei due contratti di compravendita stipulati tra le parti; ed ha affermato, invece, che i contratti contenevano clausole di prelazione la cui portata e i cui effetti obbligatori erano stati efficacemente illustrati in prime cure.

In particolare, quanto alla scrittura a firma di M.A. (chiamato in causa dai convenuti in primo grado perchè fosse condannato al risarcimento dei danni derivanti dalla condotta illecita tenuta nella stipulazione con essi esponenti, di un vero e proprio patto commissorio, e dal successivo inadempimento al patto, conseguito all’attivazione di iniziative giudiziarie per il recupero del credito vantato dalla Agribest), la Corte di appello ne ha negato ogni valenza probatoria in quanto priva di qualsiasi utile riferimento cronologico o di pattuizione fra le parti, e comunque relativa soltanto agli immobili oggetto di uno dei contratti in esame.

La Corte territoriale ha, inoltre, ritenuto che il pagamento dei corrispettivi pattuiti per i contratti di compravendita fosse coerente con le specifiche e analitiche previsioni contrattuali, che nessun elemento della invocata permissio domini fosse rinvenibile nella volontà espressa nei contratti in esame, che il quadro probatorio documentale fosse rimasto inalterato anche all’esito dell’espletamento della prova testimoniale ammessa su istanza degli appellanti, tenuto conto che le dichiarazioni dei testimoni escussi non ne avevano confermato la tesi volta a dimostrare che, parallelamente ai contratti di compravendita, fossero stati convenuti altrettanti patti di retrovendita e manifestazioni di consenso alla prosecuzione nel godimento degli immobili.

La sentenza della Corte di appello è stata impugnata da R.L., T.A., Ra.An., R.G. e R.S. con ricorso per cassazione articolato in tre motivi.

Ha resistito con controricorso la Agrobest s.r.l.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in ordine all’individuazione del collegamento negoziale sussistente tra i due contralti di compravendita ed il patto di retrovendita nonchè difetto di motivazione sul punto richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6) i ricorrenti lamentano che il giudice di appello abbia violato le regole ermeneutiche di interpretazione dei contratti, limitandosi a qualificarli secondo il mero contenuto nominativo e letterale (nella specie: un contratto di mutuo, due compravendite cui è seguito il rogito e un compromesso di vendita), senza verificare che il compromesso di vendita intercorso tra la Agribest (venditrice) e gli attuali ricorrenti (acquirenti) dovesse essere qualificato come patto di retrovendita alla luce della più complessa fattispecie negoziale in concreto realizzata, e senza valutare l’evidente collegamento funzionale esistente tra le singole convenzioni negoziali, così violando l’art. 1362 c.c. e fornendo, a riguardo, “una scarna se non inesistente motivazione”.

1.1. Il motivo è inammissibile.

I ricorrenti hanno denunciato la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, ma hanno omesso, in violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, di trascrivere le specifiche clausole indicative, in ipotesi, del reale scopo perseguito dalle parti, non consentendo a questa Corte di verificare la pretesa erroneità dell’applicazione della disciplina normativa evocata (Cass. sez. L., n. 25728 del 2013 tra le molte conformi).

2. Con il secondo motivo Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2744 e 1344 c.c.) i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia omesso ogni reale indagine circa la finalità concretamente perseguita dalle parti nella complessa vicenda in esame (i.e. in ordine alla individuazione della causa concreta dei negozi collegati), e insistono nell’evidenziare la indiscutibile esistenza di un patto di retrovendita caratterizzato dallo scopo di garanzia, denunciando la illiceità dei contratti di compravendita stipulati tra le parti in violazione del divieto del patto commissorio.

2.2. Il motivo è fondato.

La censura coglie nel segno nell’evidenziare che il giudice di appello avrebbe considerato, soltanto in astratto e attraverso una illegittima frammentazione dell’intera vicenda negoziale, la causa dei diversi contratti intercorsi tra le parti.

Osserva il collegio che il risultato ermeneutico cui è pervenuta la Corte territoriale non risulta conforme ai principi più volte affermati, in subiecta materia, da questo giudice di legittimità, a mente dei quali la causa del negozio “ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto” non può che essere definita come la funzione economico-individuale della singola, specifica vicenda negoziale posta in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto – così segnando le tappe di un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga al fine a cogliere la concreta, specifica funzione che di ciascuno di essi hanno inteso realmente perseguire i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale” (Cass. Sez. 3, 8 maggio 2006, n. 10490 (Rv. 592154 – 01).

Intesa in tal senso la nozione di causa del negozio, appare allora evidente, nel caso in esame, che il giudice dell’appello, nel valutare la pluralità di negozi intercorsi tra le parti, avrebbe dovuto interrogarsi sullo scopo concreto per il quale gli attuali ricorrenti avevano concluso quei contratti, su quali esigenze li avessero indotti a collegare funzionalmente un contratto di mutuo con una successiva alienazione, valorizzando in particolare gli elementi probatori che avrebbero dovuto indurre ad una diversa valutazione in ordine ai patti di retrovendita: in altri termini, a valutare compiutamente, attraverso una valutazione complessiva e sintetica, la complessa vicenda negoziale (senza scomporla e frazionarla in modo atomistico e non funzionalmente collegato, come invece è accaduto), onde accertare quale fosse la funzione concreta che quei singoli contratti, unitariamente esaminati, erano destinati a perseguire nel contemperamento dei contrapposti interessi delle parti.

Di tale, necessariamente complessiva e irrinunciabilmente unitaria valutazione dell’intera, complessa vicenda negoziale, non vi è traccia nella sentenza impugnata, perchè la motivazione si limita ad esaminare e valorizzare la causa astratta dei singoli contratti, valutandoli atomisticamente, senza porli in collegamento funzionale tra loro, così ritenendo, per un verso, priva di rilevanza probatoria la scrittura a firma di M.A. (senza, peraltro, fornire al riguardo alcuna convincente spiegazione), pur opportunamente evidenziata, sotto il profilo dell’esistenza di un patto commissorio, in sede di appello (ed ancor prima davanti al tribunale) dai ricorrenti, limitandosi a negarne valenza dimostrativa senza esaminarla all’interno e in relazione alla più complessa vicenda negoziale integrata dai due contratti di compravendita; qualificando poi, dall’altro, come non significativi i pagamenti dei corrispettivi pattuiti per i due contratti di compravendita, senza peraltro verificare funditus il contenuto e la significazione ultra acta singula degli elementi probatori offerti dai ricorrenti, quali la preesistenza di un credito di rilevante entità, il prolungato possesso dei beni con il consenso del nuovo proprietario, la tempistica dei pagamenti e dell’iniziativa giudiziale della Agrobest, la sproporzione fra il valore dei beni stessi ed il corrispettivo versato dall’acquirente – ed omettendo quindi la necessaria e complessiva valutazione della causa concreta della articolata vicenda negoziale diacronicamente posta in essere dalle parti.

Il motivo va, quindi, accolto e la sentenza impugnata va cassata sul punto, dovendo il giudice dell’appello verificare, alla luce della valutazione complessiva dei negozi posti in essere, la causa concreta dei contratti di compravendita intercorsi tra le parti.

3. Dall’accoglimento del secondo motivo discende l’assorbimento del terzo (“Violazione e/ o falsa applicazione degli artt. 1147 e 1148 nel con cui i ricorrenti deducono, in via subordinata, che l’interpretazione data dal giudice di appello alla “scrittura privata di compromesso di vendita immobiliare” ritenuta contratto di compravendita immobiliare vero e proprio (e non patto di retrovendita) produrrebbe l’ulteriore effetto di rendere il possesso dei beni da parte dei ricorrenti di buona fede, almeno con riferimento agli immobili oggetto del compromesso, con conseguente riduzione del risarcimento del danno per occupazione abusiva.

4. La sentenza impugnata deve, dunque, essere cassata, con conseguente rinvio della causa, ex art. 383 c.p.c., u.c., alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, la quale si uniformerà ai principi sopra ricordati e provvederà anche sulle spese, comprese quelle della presente fase del giudizio.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, in esso assorbito il terzo, dichiara inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017

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