Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8324 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 24/03/2021), n.8324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCITO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12808/2013 R.G. proposto da:

A.F. Motors srl, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Lai, con domicilio eletto

in Roma, presso lo studio dell’avv. Daniele Manca-Bitti;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente/ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sardegna n. 32/04/12, depositata il 12 novembre 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2020

dal Consigliere Enrico Manzon;

udita l’Avv. Gianna Galluzzo per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, il rigetto

dei restanti motivi del medesimo e l’accoglimento del ricorso

incidentale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 32/04/12, depositata il 12 novembre 2012, la Commissione tributaria regionale della Sardegna accoglieva parzialmente l’appello principale proposto da A.F. Motors srl nonchè quello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, avverso la sentenza n. 199/01/2010 della Commissione provinciale tributaria di Cagliari che aveva parzialmente accolto il ricorso della società contribuente contro l’avviso di accertamento per Imposte dirette ed IVA 2003.

La CTR, per quanto in questo giudizio rileva, in ordine all’appello principale della A.F. Motors, osservava in particolare che erano fondate le riprese fiscali riguardanti:

– l’indeducibilità del costo imputato a compenso del procuratore, trattandosi, nella sostanza di un amministratore, dati i poteri conferitigli e peraltro essendo egli socio al 50% nonchè coniuge dell’altra socia al 50% ed amministratrice della società, con la conseguenza che tale onere era deducibile per cassa e non per competenza, come effettuato dalla contribuente verificata;

– l’indeducibilità di compensi erogati a terzi per prestazioni professionali, in assenza di prova dell’inerenza di tali componenti negativi;

– l’indeducibilità di costi per manodopera, in assenza di prova dell’inerenza nonchè quella per canoni di leasing per difetto di prova della competenza;

– canoni non dichiarati per la locazione di immobili di proprietà societaria alla A.F. Automobili srl, alla Centro Auto Fuoristrada, A.G. ed alla Best Price Med srl, per mancanza di prova dell’allegato fatto estintivo del credito (data certa della disdetta del contratto di locazione);

– il mancato inserimento nel conto economico e quindi nella dichiarazione fiscale “derivata” delle rimanenze finali, non potendosi fare applicazione del principio della compensazione L. n. 212 del 2000, ex art. 8, stante l’inderogabilità del principio di competenza;

– i ricavi da impiego di manodopera nel ricondizionamento delle autovetture usate, per carenza di prova.

La CTR sarda in ordine all’appello incidentale agenziale osservava:

– che non potevano essere ammortizzate le spese relative alle vetture immatricolate dalla società contribuente ed a questo specifico fine ritenute dalla stessa beni strumentali, mentre invece dovevano essere considerati “beni merce”, che potevano considerarsi deducibili solo al 50%, le spese relative alle autovetture considerate strumentali;

– che invece non era da considerarsi fondata la ripresa riguardante il costo per “distacco” di personale da A.F. Automobili ad A.F. Motors, essendo stato pattuito tra le parti il pagamento di un corrispettivo pari al valore dei servizi resi da detto personale e non, come invece sostenuto dall’agenzia fiscale, al mero costo della manodopera stessa.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo dieci motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate che propone ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4, – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 62,95,109 TUIR, ed omessa pronuncia, poichè la CTR ha confermato il rilievo agenziale consistente nell’asserita indeducibilità del costo per compenso annuale al procuratore della società contribuente, avendo fatto equiparazione di tale onere ad un compenso di amministratore, deducibile per cassa e non per competenza come contabilizzato/dichiarato dalla contribuente medesima.

La censura è infondata sotto entrambi i profili.

Quanto al primo profilo, va rilevato che non sussiste affatto la denunciata violazione/falsa applicazione delle evocate disposizioni del TUIR, posto che il giudice tributario di appello, con accertamento di fatto non revisionabile in questa sede, ha ritenuto che il procuratore della società contribuente avesse poteri gestionali e rappresentativi del tutto assimilabili a quelli di un amministratore, che quindi dovesse considerarsi un “amministratore di fatto”, con la conseguente applicabilità in particolare della previsione di cui all’art. 95 TUIR, comma 5, ossia la deducibilità del costo correlativo secondo il principio di cassa e non di competenza in base alla regola generale di cui all’art. 109 cit. TU, comma 4.

Nè peraltro risulta pertinente il richiamo all’evocato criterio ermeneutico di interpretazione restrittiva della prima delle due disposizioni legislative in quanto “norma eccezionale”.

La CTR sarda infatti ha ritenuto non tanto di estendere tale previsione normativa al caso di specie, quanto piuttosto che la medesima fosse applicabile allo stesso per la natura sostanziale del ruolo del “procuratore” nella società (essendone comunque socio al 50% unitamente alla moglie, amministratrice “di diritto” e socia paritaria).

Il giudice tributario di appello peraltro ha anche sottolineato che “Non lascia spazio ad altre soluzioni quel che si conosce, in fatto, delle mansioni ed esiti del 2003 del procuratore, perchè non consta che nel fascicolo ce ne sia una descrizione accurata (quale ci si aspetta che pretenda chi paga la non indifferente cifra di Euro 100.000 per un anno)”.

Con tale accertamento in fatto deve ritenersi che la CTR abbia risposto anche al motivo di appello subordinato per la deduzione “sostitutiva” della somma effettivamente corrisposta al procuratore/amministratore, sostanzialmente equivalente a quella oggetto della ripresa fiscale de qua, sicchè ne deriva l’infondatezza anche del secondo profilo della censura.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4-5, – la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 102 e 164 TUIR, e di vizio motivazionale, poichè la CTR ha negato l’ammortizzabilità delle autovetture immatricolate per obbligo della concessionaria (c.d. “auto demo”) negandone la qualità di beni strumentali ed ha ammesso la deducibilità solo al 50% delle spese relative alle autovetture considerate strumentali anche dall’agenzia fiscale.

La censura è infondata sotto entrambi i profili.

Quanto al primo, va in linea generale ricordato che in dottrina il discrimen tra i c.d. “beni-merce”, da iscriversi come attivo circolante nel conto economico, ed i “beni strumentali”, da iscriversi come immobilizzazioni immateriali nell’attivo dello stato patrimoniale, è fissato nella destinazione “durevole” alle attività dell’impresa, il che è a dire almeno ultrannuale, essendo tale la caratteristica dei secondi e non dei primi.

Così peraltro si esprime l’OIC 16.4: “Le immobilizzazioni materiali sono beni tangibili di uso durevole costituenti parte dell’organizzazione permanente della società, la cui utilità economica si estende oltre i limiti di un esercizio… Esse sono normalmente impiegate come strumenti di produzione del reddito della gestione caratteristica e non sono, quindi, destinate alla vendita..”.

Analoga è la previsione normativa di cui all’art. 2424 bis c.c., comma 1, secondo la quale “Gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le immobilizzazioni (nello stato patrimoniale, ndr).

Vi è poi da notare che secondo l’art. 85 TUIR, comma 1, lett. a), sono da considerarsi ricavi “.. i corrispettivi delle cessioni di beni.. al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa”.

Fatte queste premesse, non appare dubbio che l’obbligo di acquisto di determinati contingenti di auto nuove imposto dalle imprese costruttrici a quelle concessionarie, in via principale ed essenziale è diretto a garantire alle prime volumi minimi di vendita e solo in via accessoria e secondaria a permettere alle seconde di impiegarle temporaneamente nei servizi alla clientela (vetture dimostrative/sostitutive).

Peraltro la ricorrente non ha mai affermato che i veicoli in questione non siano stati venduti, appunto in attuazione del suo oggetto sociale, nè che lo siano stati ultrannualmente.

Quanto al secondo (Ndr: testo originale non comprensibile), risulta corretta l’applicazione della previsione di cui all’art. 164 TUIR (già art. 121 bis), comma 1, lett. b), alla fattispecie concreta oggetto del relativo rilievo fiscale.

Trattandosi pacificamente delle vetture “di cortesia”, quindi non contestata la loro “strumentalità” all’attività dell’impresa, doveva essere la contribuente a dimostrarne l’utilizzazione esclusiva ai fini aziendali, chè altrimenti va applicata la presunzione di uso promiscuo di cui alla citata disposizione legislativa, non essendo invece applicabile quella, evocata a difesa dalla società contribuente, di cui all’art. 164 TUIR, comma 1, lett. a), (cfr. Cass. n. 31031 del 30/11/2018).

Sul punto la sentenza impugnata risulta pertanto conforme a diritto ed immune dal dedotto vizio motivazionale, in quanto senz’altro al di sopra del c.d. “minimo costituzionale”, posto che comunque trova applicazione la nuova e vigente versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass. SU, n. 8053/2014).

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4-5 – la ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione dell’art. 109 TUIR, art. 116 c.p.c., artt. 2697-2727-2729 c.c., poichè la CTR ha confermato il rilievo agenziale circa la non inerenza di costi per prestazioni professionali per difetto di prova di certezza/inerenza.

Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4-5, – la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione art. 109 TUIR, art. 116 c.p.c., artt. 2697-2727-2729 c.c., poichè la CTR ha confermato il rilievo agenziale di indeducibilità dei costi per manodopera fatturati da imprese terze, analogamente asserendone il difetto della prova di certezza ed inerenza.

Con l’ottavo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4-5, – la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2697-2727-2729 c.c., e di vizio motivazionale, poichè la CTR ha confermato la ricostruzione indiretta dei ricavi per l’impiego di manodopera in lavori di officina. Le censure, da esaminare congiuntamente per connessione logica, sono inammissibili e comunque infondate.

Con tali mezzi si chiede infatti a questa Corte di “revisionare” la valutazione data dalla CTR sarda delle prove dell’inerenza dei costi (terzo e quarto motivo) ovvero della ricostruzione presuntiva dei ricavi (ottavo motivo) de quibus, essendo, tuttavia) tale tipo di sindacato inibito, secondo i consolidati principi di diritto che “In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cass., n. 27000 del 27/12/2016, Rv. 642299 – 01); che “In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012” (Cass., n. 23940 del 12/10/2017, Rv. n. 645828 – 02); che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Cass., n. 26110 del 2015).

Peraltro nemmeno sussiste il dedotto vizio motivazionale, essendo anche su questi punti decisionali la motivazione della sentenza impugnata sicuramente al di sopra del c.d. “minimo costituzionale”. Con il quinto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4-5, – la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per vizio motivazionale, poichè la CTR si è limitata ad aderire apoditticamente alla affermazione, ugualmente apodittica, della sentenza appellata di difetto di prova della competenza per il 2003 di canoni di leasing.

Con il sesto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4-5, – analogamente la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per vizio motivazionale, poichè la CTR si è limitata ad aderire apoditticamente alla affermazione della sentenza appellata di fondatezza dell’avviso di accertamento impugnato in ordine alla ripresa a tassazione di ricavi non contabilizzati/non dichiarati per canoni relativi a tre contratti di locazione immobiliare con le società A.F. Automobili srl, Centro Auto Fuoristrada di A.G. e Best Price Med srl.

Le censure, da esaminare congiuntamente per connessione logica, sono fondate.

Va ribadito che “Deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello” (Cass., n. 22022 del 21/09/2017, Rv. 645333 – 01).

Su tali punti decisionali il giudice tributario di appello, dopo aver riportato i passi della motivazione della sentenza della CTP, peraltro alquanto sintetica in ordine al primo ed un pò più diffusa sul secondo, si è limitato a considerare, rispettivamente, quanto segue: “La CTR condivide. Pertanto, sul punto, si rigetta l’appello principale” e “La CTR rigetta l’appello perchè condivide le conclusioni della Commissione Provinciale”.

Volendosi dare seguito al citato arresto giurisprudenziale, non è dubbio pertanto che la motivazione della sentenza impugnata sia in partis quibus nulla come denunciato, trattandosi di considerazioni meramente assertive ed inautonome rispetto a quelle del primo giudice.

Con il settimo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 8, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, (rispettivamente, principio generale di compensazione dei crediti/debiti tributari e divieto di doppia imposizione), poichè la CTR ha confermato la ripresa concernente la mancata indicazione delle rimanenze finali 2003 (iniziali 2004) delle autovetture marca SKODA.

La censura è infondata.

Pacifico il fatto oggetto della contestazione erariale, la società contribuente sostiene che il medesimo non abbia rilevanza fiscale, appunto perchè l’omissione contabile di questa parte delle rimanenze di auto si è bilanciata in chiusura/apertura dei due esercizi annuali 2003/2004, così non provocandosi alcun danno erariale.

Va ribadito che “In tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (attuale art. 109), sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza” (Cass., n. 16349 del 17/07/2014, Rv. 632246 – 01). Risulta peraltro evidente che la disposizione normativa del TUIR, così come costantemente interpretata da questa Corte, esclude, per la sua pregnante specialità, l’applicazione del principio generale statutario della compensazione.

Quanto alla questione della “doppia tassazione”, non risulta alcun accertamento in fatto della CTR sarda sulla circostanza, allegata dalla società contribuente, che all’errore in esame è stato posto rimedio con il corrispondente aumento della base imponibile per l’anno 2004, sicchè certamente tale accertamento non può essere operato in questa sede di legittimità.

In ogni caso, quand’anche la circostanza fosse veritiera, la “doppia imposizione” potrà essere evitata dalla società contribuente mediante istanza di rimborso per l’indebito oggettivo, essendone aperti i termini con il passaggio in giudicato, in parte qua, della sentenza impugnata.

Con il nono motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4, – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 6-21, e comunque la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112,115, c.p.c., poichè la CTR non ha pronunciato sulla sua eccezione riguardante la ripresa IVA per la mancata fatturazione dei canoni locatizi attivi già oggetto di ripresa ai fini delle II.DD. (sesto motivo) e comunque non ha sancito l’infondatezza giuridica della ripresa medesima, trattandosi di canoni pacificamente non corrisposti.

La censura è fondata.

Su tale punto decisionale il giudice tributario di appello si è limitato ad affermare che “I rilievi in materia di imposta sul valore aggiunto .. sono in sostanza gli stessi fatti ai fini delle imposte sul reddito. Quindi non si trattano di nuovo in questa sede”.

La CTR quindi non ha espresso alcun giudizio di merito in ordine alla specificità fattuale e giuridica della questione in oggetto, dedotta con il gravame (v. per autosufficienza p. 50 del ricorso), e perciò deve ritenersi sussistente la denunciata omessa pronuncia, con conseguente nullità della sentenza impugnata in parte qua, a causa del vizio di attività dedotto, rimanendone assorbito il profilo della censura deducente la violazione di legge sostanziale.

Dall’accoglimento del quinto, del sesto e del nono motivo deriva l’assorbimento del decimo motivo, concernente la determinazione delle spese processuali di appello.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – l’agenzia fiscale lamenta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, poichè la Commissione tributaria regionale, confermando il correlativo disposto della Commissione tributaria provinciale, ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, in relazione al rilievo per costi di manodopera indeducibili in quanto eccedenti il costo effettivo della prestazione, essendo stati dalla società contribuente parametrati al “valore” del servizio reso, mentre dovevasi fare riferimento al primo criterio, trattandosi di ipotesi assimilabile ad un mero “distacco” di personale, peraltro tra società del medesimo gruppo.

Va in via preliminare rilevato che la censura è proponibile in quanto ratione temporis non è applicabile la preclusione per “doppia conforme”, pur pacificamente sussistente, trattandosi di appello proposto prima dell’entrata in vigore (11 settembre 2012) dell’art. 348 ter c.p.c..

Ciò posto, la censura è inammissibile e comunque infondata.

La CTR sarda infatti su tale punto decisionale, dopo le necessarie premesse in fatto sull’oggetto della ripresa fiscale de qua, ha rilevato che “Questa CTR è del parere che .. vadano accolte le ragioni dell’appellante (la società contribuente, ndr), a prescindere della vexata quaestio della disponibilità o meno dell’officina, perchè dagli atti e dalla trattazione risulta che gli accordi tra A.F. AUTOMOBILI e A.F. MOTORS prevedessero il compenso secondo il valore dei servizi resi. Perde incidenza la questione della effettiva subordinazione dei lavoratori da A.F. MOTORS a A.F. AUTOMOBILI, posto che le linee gerarchiche erano intrecciate e confuse, visto che i soci ed AU delle due società erano gli stessi. Del resto pare non ci sia stata perdita di imponibile per l’Erario perchè la fatturazione per Euro 172.382,23 è stata regolarmente annotata come costo da A.F. MOTORS e come ricavi da A.F. AUTOMOBILI. Idem per gli effetti IVA”.

Non vi è stato dunque alcun omesso esame della questione/dei fatti in oggetto e comunque la motivazione della sentenza impugnata sul punto appare superare la soglia del c.d. “minimo costituzionale”, ambito nel quale è contenuto il sindacato di questa Corte dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che come già detto sopra è senz’altro applicabile nella versione attualmente vigente.

Peraltro il giudizio di merito espresso dal giudice tributario di appello non è sicuramente sindacabile in questa sede, secondo i principi di diritto già sopra richiamati.

In conclusione, accolti il quinto, sesto e nono motivo del ricorso, assorbito il decimo motivo e rigettati tutti gli altri del ricorso principale nonchè quello del ricorso incidentale agenziale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR per nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto, sesto e nono motivo del ricorso, dichiara assorbito il decimo motivo e rigetta tutti gli altri del ricorso principale nonchè quello del ricorso incidentale agenziale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sardegna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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