Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8320 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. II, 24/03/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 24/03/2021), n.8320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25370/2019 proposto da:

O.V., rappresentato e difeso dall’avv. MASSIMO RIZZATO, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

25/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con il decreto impugnato il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da O.V. avverso il provvedimento di diniego della sua domanda di protezione, internazionale e umanitaria, emesso dalla Commissione territoriale competente.

Propone ricorso per la cassazione di detta pronuncia O.V., affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione sussidiaria, senza considerare il contesto di insicurezza generalizzata esistente nella sua zona di provenienza.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente ha riferito di essere fuggito dal proprio Paese per sottrarsi alle richieste del padre, che voleva che lui divenisse seguace di un culto cui quegli era devoto. Il ricorrente ha dichiarato di essersi rivolto alla polizia dopo la sparizione della madre e dopo aver visto in televisione un cadavere con la testa tagliata, che avrebbe riconosciuto dai vestiti essere suo fratello. Ha ancora narrato che il padre sarebbe stato interrogato dalla polizia, avrebbe negato gli addebiti, e che lui la sera stessa sarebbe stato prelevato da casa da alcuni ragazzi e costretto in una stanza, dalla quale poi sarebbe fuggito, prima rifugiandosi presso alcuni amici e poi allontanandosi definitivamente dal Paese. La storia è stata ritenuta, tanto dalla Commissione che dal Tribunale, non idonea ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, a fronte dell’assenza di atti di persecuzione direttamente rivolti contro la persona del richiedente.

Nella ricostruzione della condizione esistente in Nigeria, il giudice di merito afferma che si ravvisano alcune criticità per quanto attiene alla tutela dei diritti umani, ma esclude, al tempo stesso, la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata rilevante ai fini della lett. c), citando le fonti informative consultate (EASO 2017) e dando atto delle notizie specifiche da esse tratte. Il ricorrente non contrappone a quella indicata dal giudice di merito alcuna fonte diversa, più specifica o più aggiornata, sulla propria area di provenienza, ma si limita ad un generico riferimento a diverse fonti informative, senza però indicare gli anni dei relativi rapporti cui attinge, nè contestando lo scarso aggiornamento delle C.O.I. usate dal giudice di merito, nè avendo cura di riportare le specifiche informazioni che dimostrerebbero che quanto ritenuto dal Tribunale sia frutto di una lettura fuorviante delle notizie tratte dalle dette C.O.I.. La censura, pertanto, finisce per risolversi in una inammissibile critica del percorso argomentativo seguito dal giudice di merito ed a invocare, in definitiva, un mero riesame del giudizio di fatto, estraneo alla natura ed ai fini del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda di protezione umanitaria, tanto in riferimento al contesto di insicurezza e violenza generalizzata esistente nel Paese di origine del richiedente, quanto con riguardo alle violenze che il medesimo avrebbe subito durante la sua permanenza in Libia.

La doglianza è inammissibile.

Per quanto attiene alla situazione interna della Nigeria, si rinvia a quanto dedotto in relazione allo scrutinio del primo motivo di ricorso, non ravvisandosi alcun profilo di omessa pronuncia sul punto. Per quanto invece concerne le violenze asseritamente patite dall’ O. in Libia, si deve rilevare che la pronuncia impugnata non ne fa menzione ed il ricorrente non deduce, nella censura in esame, di averle dedotte nel giudizio di merito. La doglianza, quindi, va ritenuta – sotto questo aspetto – nuova.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

 

 

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