Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8316 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. II, 24/03/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 24/03/2021), n.8316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25125/2019 proposto da:

S.K., elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv.to

MICHELE CAROTTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

25/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Venezia, con decreto pubblicato il 25 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da S.K., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente, con riferimento ai motivi che lo avevano indotto ad espatriare, aveva riferito che la sua ragazza, di religione musulmana, era rimasta incinta e che, a causa della contrarietà del padre di lei alla loro unione, erano stati costretti a scappare. In particolare, egli mentre frequentava il politecnico si era innamorato di A. una ragazza musulmana che frequentava il corso di contabilità finanziaria. La relazione tra i due era iniziata nel (OMISSIS), nonostante l’aperta contrarietà del padre di lei, il quale non voleva che la figlia frequentasse un cristiano e in una telefonata lo aveva minacciato di morte. Dopo che la ragazza era rimasta incinta si erano trasferiti ad (OMISSIS) ma per paura avevano deciso di scappare. Giunti in Libia erano stati costretti a lasciarsi perchè non era loro consentito di avere una relazione, in quanto appartenente a religioni diverse. La ragazza era stata costretta a prostituirsi mentre lui aveva trovato lavoro in un autolavaggio. Il (OMISSIS) il ricorrente era stato informato che la ragazza era stata accoltellata ed uccisa da un cliente per essersi rifiutata di prostituirsi e lui a quel punto aveva deciso di lasciare la Libia di recarsi in Italia.

3. All’udienza del 13 marzo 2019 il richiedente era stato sentito dal Tribunale e aveva fornito ulteriori dettagli, confermando sostanzialmente quanto narrato dinanzi la commissione territoriale.

4. Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, confusa e piena di contraddizioni, in particolare nel descrivere la sua relazione con la ragazza.

In ogni caso i fatti non integravano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale nè con riferimento alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato dato che il pericolo paventato non era attuale e che comunque la vicenda narrata, al di là della sua inattendibilità, non riportava alcuna forma di persecuzione, nè a quella di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Dalle fonti internazionali, infatti, emergeva che la Nigeria era un paese nel quale non sussisteva alcun conflitto armato nel senso richiesto ai fini della suddetta protezione.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non avendo questi raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale e non potendosi ravvisare un miglioramento nelle condizioni di vita in una valutazione comparativa con il paese d’origine. Inoltre, il suo racconto non era stato ritenuto credibile.

5. S.K. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di quattro motivi di ricorso.

6. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. – Nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento il tutto in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, art. 50 bis c.p.c. e art. 16 direttiva n. 32/2013UE, per avere il Tribunale delegato ad un giudice onorario non parte del collegio giudicante l’esame del ricorrente, venendo così meno alla necessaria diretta percezione vicinanza agli elementi essenziali del racconto imprescindibile per la decisione.

La censura attiene all’illegittimità della delega dell’audizione del richiedente ad un giudice onorario non componente il collegio successivamente chiamato a decidere sulla domanda. Peraltro, non sono esplicitati i criteri con cui il magistrato ha formulato le domande, e neppure sono riportate le modalità con le quali tale attività viene riferita al collegio.

1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.

Sul punto è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto: “In materia di protezione internazionale, non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito il giudice onorario di tribunale abbia proceduto all’audizione del richiedente, rimettendo poi la causa per la decisione al collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione, poichè del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, recante la riforma organica della magistratura onoraria, consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, compresa l’assunzione di testimoni, mentre l’art. 11 del medesimo D.Lgs., esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari solo per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non rientrano quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis” (Sez. 1, Ord. n. 4887 del 2020).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento nonchè omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; censura la decisione per avere il Tribunale violato i canoni legali di interpretazione degli elementi istruttori nonchè per omesso esame di un fatto decisivo

La censura attiene alla ritenuta non credibilità del racconto perchè vago e non dettagliato in violazione dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del dovere di collaborazione officiosa, per aver omesso di approfondire la valutazione delle condizioni del paese di provenienza sulla base di fonti aggiornate. Il ricorrente cita una COI 2008 dalla quale emergerebbe una situazione di criticità e di instabilità politico istituzionale della Nigeria che consentirebbe di ritenere sussistente una situazione di conflitto interno tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14 e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; si censura la decisione per avere omesso di applicare il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento alla credibilità intrinseca del ricorrente.

La censura è ripetitiva di quella svolta col secondo motivo con riferimento al giudizio di non credibilità in relazione alla violazione delle norme indicate con riferimento in particolare dell’art. 14, lett. b) e c).

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e art. 118, disp. att. c.p.c., nonchè nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento – omesso esame di un fatto decisivo in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e al D.P.R. n. 39 del 1999, artt. 11 e 29, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, per non avere il giudice valutato la vulnerabilità in relazione alla condizione di vita del ricorrente allegate al giudizio, nonchè per aver omesso l’esame di un fatto decisivo.

La censura attiene al rigetto della domanda di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari con una motivazione che non ha tenuto conto della documentazione versata in atti, comprovante profili di vulnerabilità tali da giustificare l’accoglimento della medesima domanda, anche tenuto conto dell’erroneo giudizio di non credibilità del racconto del ricorrente.

4. Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso sono inammissibili.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Venezia ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla inverosimiglianza e contraddittorietà delle dichiarazioni del ricorrente.

Il Tribunale di Venezia, inoltre, ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che la Nigeria non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Nigeria, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Le fonti indicate dal ricorrente nel secondo motivo non sono tali da scalfire il giudizio espresso dal Tribunale, in relazione alla non configurabilità di una situazione riconducibile del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che in tal caso non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

Quanto alla ritenuta non veridicità del documento anche in questo caso si tratta di una valutazione di fatto non sindacabile da questa Corte, valutazione che, peraltro, non ha costituito l’unico presupposto dell’inattendibilità del racconto del richiedente, caratterizzato da altre numerose contraddizioni e che, dunque, non assume alcuna valenza di decisività.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

 

 

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