Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8315 del 31/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.31/03/2017),  n. 8315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24361/2014 proposto da:

P.M., D.M.M., considerati domiciliati ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARIANGELA BUX giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A. – GRUPPO BNP PARIBAS, in persona

del Deputy Haed Recup. Crediti Dott. A.S.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI 40, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO BISCOTTO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BEATRICE BENETTIN ZARAMELLA giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2682/2012 del TRIBUNALE di PADOVA, depositata

il 15/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità delle

censure dedotte ex art. 360, n. 5; manifesta infondatezza delle

altre censure; condanna aggravata alle spese e statuizione sul

contributo unificato;

udito l’Avvocato ROSARIO TARANTOLA per delega;

udito l’Avvocato LUCIA SCOGNAMIGLIO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza resa pubblica il 15 novembre 2012, il Tribunale di Padova accolse la domanda di revocatoria ordinaria proposta dalla Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. – Gruppo BNP Paribas contro i coniugi P.M. e D.G.M.M. e dichiarò l’inefficacia, nei confronti della banca attrice, dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale intercorso, in data (OMISSIS), tra i predetti convenuti in relazione all’unico immobile di loro proprietà.

2. – Con ordinanza depositata e comunicata il 26 giugno 2014, la Corte di appello di Venezia dichiarava inammissibile, ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., l’impugnazione proposta dal P. e dalla D.G. avverso la predetta sentenza di primo grado, per non avere essa ragionevole probabilità di accoglimento.

3. – Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Padova ricorrono P.M. e D.G.M.M. sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. – Gruppo BNP Paribas.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1, “per errata determinazione del momento genetico del credito rispetto all’atto di disposizione ritenuto pregiudizievole”, nonchè dell’art. 2697 c.c., comma 1, in relazione all’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1, art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., art. 163 c.p.c., comma 3, n. 5, “per avere il giudice del merito accolto la domanda attorea in assenza di prova dei fatti costitutivi allegati”, altresì deducendosi la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 2704, 2710, 2712, 2719 c.c. e art. 112 c.p.c..

Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto l’anteriorità del credito vantato dalla B.N.L. rispetto alla costituzione del fondo patrimoniale nonostante non vi fosse alcuna prova in atti, come eccepito dai convenuti, del contratto di apertura di credito in favore della società Confezioni S.S. s.r.l., della quale essi coniugi P. e D.G. erano fideiussori.

1.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.

Il Tribunale ha ritenuto accertato che in data (OMISSIS) la Confezioni S.S. s.r.l. sottoscriveva un contratto di corrente con la B.N.L.; che in data 27 ottobre 2000 i coniugi P. e D.G. sottoscrivevano fideiussione (per Lire 3.100.000.000) in favore della predetta società; che in data 30 giugno 2002 il conto corrente della Confezioni S.S. s.r.l. presentava uno scoperto di Euro 114.000,00, circa; che in data (OMISSIS) i predetti coniugi costituivano un fondo patrimoniale sull’unico immobile del quale erano proprietari; che nel 2007 la B.N.L. revocava gli affidi e nel luglio dello stesso anno otteneva decreto ingiuntivo per Euro 765.000,00, circa.

Ciò posto, il giudice di primo grado, in armonia con i principi della materia enunciati da questa Corte (tra le altre, Cass., 19 gennaio 2016, n. 762), ha ritenuto che il credito della B.N.L. fosse anteriore alla costituzione del fondo patrimoniale in quanto, rispetto a quest’ultima, era precedente la prestazione della fideiussione da parte dei coniugi P. e D.G. a garanzia delle obbligazioni della società Confezioni S.S. s.r.l., correlata, dunque, non soltanto alla preesistente apertura di credito in favore della medesima società, ma anche, e comunque, alla, del pari preesistente, presenza di un rilevante scoperto del conto corrente intestato alla medesima società.

Tale ultima, ulteriore ed autonoma ratio decidendi, da sola idonea sorreggere la decisione, non è stata fatta oggetto di specifica impugnazione, con la conseguenza che, cristallizzatasi ormai in giudicato, diventano inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività dell’altra, alla cassazione della decisione stessa (Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108).

Ciò, peraltro, senza voler considerare, per un verso, che dalla sentenza di primo grado non risulta che sia stata contestata l’esistenza di un contratto di apertura di credito (ivi, anzi, si riferisce unicamente di una difesa dei convenuti improntata a sostenere la rilevanza del momento di revoca degli affidamenti e i ricorrenti non forniscono idonea localizzazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, della proposizione, rituale e tempestiva nel corso del primo giudizio, della contestazione anzidetta) e che, per altro verso, la sicura previa esistenza, rispetto all’atto dispositivo pregiudizievole, della fideiussione (come tale non fatta oggetto di alcuna contestazione) non poteva che avere riguardo a debiti futuri della società garantita verso la banca in ragione di un coerente e, anch’esso, preesistente rapporto giuridico bancario inter partes.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., “in relazione all’eventus damni”, nonchè dell’art. 2697 c.c., comma 1, in relazione all’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1, art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., art. 163 c.p.c., comma 3, n. 5, “per avere il giudice del merito accolto la domanda attorea in assenza di prova dei fatti costitutivi allegati”, altresì deducendosi la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 2704, 2710, 2712, 2719 c.c. e art. 112 c.p.c..

Il Tribunale avrebbe errato a ritenere sussistente l’esistenza del pregiudizio delle ragioni creditorie soltanto al momento dell’atto dispositivo (là dove, in ogni caso, tale pregiudizio era inesistente per non essere la società garantita in dissesto finanziario) e non già sino al momento della proposizione della domanda ex art. 2901 c.c. (mancando, comunque, di considerare a tal fine che, a seguito di iscrizione ipotecaria su beni immobili di proprietà della società debitrice avvenuta nel 2005, i crediti vantati dalla B.N.L. erano ormai già ampiamente garantiti).

2.1. – Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

2.1.1. – E’ inammissibile là dove, quanto all’esistenza dell’eventus damni al momento dell’atto dispositivo, veicola una censura che investe l’accertamento in fatto del giudice di primo grado (cfr. pp. 7 e 8 della sentenza impugnata), contestandone la logicità e l’adeguatezza motivazionale, ossia prospettando vizi non più riconducibili al paradigma del vigente (ed applicabile ratione temporis) dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè potendo, al medesimo fine, comunque dedurre l’omesso esame di fatti storici decisivi e discussi ai sensi della predetta vigente norma processuale, essendovi sul punto una cd. “doppia conforme” (cfr. p. 54 del ricorso) e, quindi, risultando inibita detta denuncia dall’art. 348-ter c.p.c., comma 4 (per essere l’appello stato proposto successivamente all’11 settembre 2012).

2.1.2. – E’ infondato in riferimento alla censura che postula una supposta sopravvenuta inesistenza dell’eventus damni in epoca successiva alla costituzione del fondo patrimoniale, in ragione di soddisfacente prestazione di garanzia ipotecaria in favore della B.N.L. da parte del debitore principale, giacchè, come enunciato da questa Corte (tra le altre, Cass., 21 novembre 1990, n. 11251; Cass., 22 marzo 20121, n. 6486), al fine della revocatoria degli atti dispositivi posti in essere dal debitore, l’art. 2901 c.c., richiede che essi si traducano in una menomazione del patrimonio del disponente, sì da pregiudicare la facoltà del creditore di soddisfarsi sul medesimo, mentre non esige, quale ulteriore requisito, anche l’impossibilità o difficoltà del creditore di conseguire aliunde la prestazione, avvalendosi di rapporti con soggetti diversi. Pertanto, in ipotesi di solidarietà passiva, inclusa quella discendente da fideiussione senza beneficio di escussione, il suddetto eventus damni va riscontrato con esclusivo riferimento alla situazione patrimoniale del debitore convenuto con quella azione, non rilevando l’indagine sull’eventuale solvibilità dei coobbligati (nè, pertanto, che i rispettivi patrimoni siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento).

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., “in relazione alla insussistenza dell’elemento soggettivo richiesto per l’esperibilità dell’azione revocatoria”.

Il Tribunale, stante l’impossibilità di stabilire l’anteriorità del credito della B.N.L. all’atto dispositivo pregiudizievole, in mancanza di allegazione del contratto di apertura di credito, non avrebbe valutato anche il requisito soggettivo della dolosa preordinazione di detto atto.

3.1. – Il motivo è inammissibile, giacchè l’anteriorità del credito della B.N.L. è requisito della esperita azione revocatoria ormai non più in discussione all’esito (sfavorevole) dello scrutinio del primo motivo di ricorso.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., “in relazione alla insussistenza del requisito della scientia damni”.

Il Tribunale, fondando il proprio convincimento su elementi “tutt’altro che significativi ed univoci” (come la posizione di socia della Confezioni S.S. s.r.l. della D.G. e senza considerare gli elementi a favore del P. e le ragioni del dissesto della società evidenziate dalla relazione del commissario giudiziale), non avrebbe valutato il requisito soggettivo della scientia damni al momento della costituzione del fondo patrimoniale, là dove, peraltro, proprio in quel periodo la società debitrice “aveva registrato un elevato incremento di fatturato rispetto all’anno precedente”.

4.1. – Il motivo è inammissibile prima ancora che infondato.

A fronte di un accertamento operato dal Tribunale valorizzando elementi integranti la prova presuntiva (il P. era amministratore della Confezioni S.S. s.r.l. ed aveva reso, in occasione dell’assemblea societaria del 27 maggio 2002, “dichiarazioni niente affatto ottimistiche” nella relazione sulla gestione del 2001; la D.G., coniuge del P., era socia di detta società, nonchè legale rappresentante della SIPA, socia della stessa Confezioni S.S. s.r.l., ed era presente alla predetta assemblea; l’immobile destinato al fondo patrimoniale era alienabile con solo consenso dei coniugi), in armonia con il principio per cui, in caso di costituzione di fondo patrimoniale, ai fini della scientia damni, è sufficiente la semplice consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale (Cass., 30 giugno 2015, n. 13343), i ricorrenti prospettano censure che, lungi dall’evidenziare effettivi errores in iudicando, aggrediscono la motivazione sul predetto accertamento, su cui (come evidenziato dal p. 56 dello stesso ricorso) sussiste una cd. “doppia conforme” e, quindi, non è neppure consentita, dall’art. 348-ter c.p.c., comma 4, una denuncia ai sensi del vigente n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

5. – Il ricorso va, pertanto, rigettato e, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., i ricorrenti, in solido tra loro, condannati al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014.

Non ricorrono i presupposti di legge per la condanna aggravata alle spese richiesta dal pubblico ministero.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, che liquida in Euro 7.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017

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