Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8315 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. un., 08/04/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 08/04/2010), n.8315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PAPA Enrico – Presidente di sezione –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di sezione –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9197/2009 proposto da:

AZIENDE AGRICOLE RIUNITE PEDONE S.R.L. ((OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TOMMASO CAMPANELLA 11, presso lo studio dell’avvocato

PATRIZIA TITONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CERISANO

Gianni, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO PER LA BONIFICA DELLA CAPITANATA ((OMISSIS)), in

persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 9, presso lo studio degli avvocati GUZZO

Arcangelo, MARTINO CLAUDIO, che lo rappresentano e difendono per

delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 130/2008 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 08/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/03/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito l’Avvocato Claudio MARTINO;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del primo e del terzo

motivo del ricorso principale; rigetto del secondo motivo; rigetto

del ricorso incidentale.

 

Fatto

La Società Aziende Agricole Riunite Pedone s.r.l., ricorre contro il Consorzio per la Bonifica della Capitanata, per la cassazione della sentenza specificata in epigrafe, con la quale il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, pronunciando sugli appelli proposti dalle parti, avverso una sentenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Napoli, ha accolto in parte l’appello incidentale del consorzio, per il resto dichiarato inammissibile unitamente all’appello principale della società.

In particolare, quanto alla tempestività della domanda di determinazione giudiziale della indennità espropriativa, avanzata dalla società e ritenuta tardiva in primo grado, il TSAP ha rilevato che il TRAP ha ritenuto applicabile, nella specie, il termine di decadenza di trenta giorni, sancito dalla L. n. 6851971, e non il termine di prescrizione decennale, e che tale statuizione, nella parte in cui sancisce che la richiesta di indennità è soggetta a decadenza e non a prescrizione, non è stata specificamente impugnata. Inoltre, il giudice di appello ha ritenuto di non potere accedere alla richiesta di eliminazione della baulatura del terreno, oggetto di occupazione, perchè la società ha scelto di chiedere il risarcimento dei danni da occupazione usurpativa e non già la restituzione dei fondi occupati. Infine, il TSAP, in parziale accoglimento dell’appello incidentale del consorzio, ha ridotto l’ammontare del risarcimento dovuto.

A sostegno dell’odierno ricorso, la difesa della società, prospetta tre motivi. Il Consorzio resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, sorretto da un solo motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

Preliminarmente, i ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Nel merito, nessuno dei due ricorsi può trovare accoglimento.

In ordine logico, va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale, con il quale il consorzio denuncia l’omessa pronuncia del TSAP sull’eccepito suo difetto di legittimazione passiva. Il motivo è infondato perchè il TSAP spiega che la SAFAB s.p.a. sulla quale si vorrebbe riversare la responsabilità per danni, ha agito comunque per conto del Consorzio. Se, poi, il giudice di appello non avesse tenuto conto di alcuni argomenti prospettati dalla difesa del Consorzio, la censura andava formulata come vizio di motivazione corredata dalla autosufficiente esposizione dei motivi ignorati. A ciò si aggiunga che, prima ancora che infondato, il motivo è inammissibile per la genericità del quesito di diritto, formulato senza alcun collegamento con la fattispecie concreta, si che la risposta positiva o negativa al quesito stesso assume il valore di una affermazione di principio che non è di nessun aiuto ai fini della decisione. Infatti, il quesito posto al Collegio si risolve nel voler sapere se viola l’art. 112 c.p.c., il giudice che ometta di pronunciarsi su un motivo di appello. La risposta è contenuta nella stessa norma che impone al giudice di pronunciarsi su tutta la domanda e il quesito, che non indica la fattispecie, non è di nessun aiuto ai fini della decisione del caso concreto.

Passando all’esame del ricorso principale, il primo ed il terzo motivo sono inammissibili ed il terzo è infondato.

Con il primo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione di una norma di diritto, norma che però non viene specificamente indicata, viene prospettato al Collegio il seguente quesito di diritto: “se nel caso in cui non intervenga la determinazione indennitaria definitiva da parte della Commissione Provinciale ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 16, il giudizio per la determinazione della giusta indennità sia esperibile nel termine di dieci anni dalla data del decreto di esproprio, e ciò indipendentemente dalla qualificazione, decadenza o prescrizione) che la stessa parte attrice abbia dato, in via del tutto incidentale e senza conseguenze sulla natura e funzione dell’azione, al termine per la proposizione dell’azione medesima”.

Il motivo è inammissibile perchè non intinge la ratio decidendi. Il TSAP ha dichiarato inammissibile il motivo di appello con il quale il TRAP ha ritenuto tardiva la domanda introduttiva, prodotta oltre il termine di decadenza, sul rilievo che l’appello della società non ha contestato che la domanda fosse soggetta ad un termine di decadenza, bensì che fosse soggetta ad un termine di decadenza più ampio (decennale). Così facendo, scrive il giudice di appello, la società ricorrente non ha contestato la ratio decidendi, su cui si regge la sentenza di primo grado, vale a dire che la domanda introduttiva fosse soggetta a decadenza, aggiungendo poi errore ad errore nell’eccepire che il termine di decadenza aveva durata decennale.

L’errore è stato ripetuto nella formulazione del primo motivo dell’odierno ricorso (peraltro inammissibile anche perchè non è specificato quale sia la norma che si assume violata), perchè, invece di eccepire di avere correttamente appellato la sentenza di primo grado, evidenziando di avere censurato la sentenza del TRAP perchè erroneamente aveva applicato il termine di decadenza invece di quello di prescrizione, la parte ricorrente prospetta oggi la questione che avrebbe dovuto prospettare in appello, sostenendo che il termine per proporre la domanda cui bisognava fare riferimento era comunque un termine decennale, a prescindere dalla sua qualificazione. Così facendo, però, la ratio decidendi della sentenza di appello (omessa contestazione della applicabilità del termine di decadenza) resta integra, quale che sia la risposta che viene data al quesito. In realtà, per rimuovere la statuizione contestata, la società ricorrente avrebbe dovuto denunciare, sotto il profilo del vizio di motivazione e riproducendo la parte dell’appello in cui la questione viene affrontata, che i giudici di appello sarebbero giunti alla conclusione, in ipotesi errata, che l’appello non aveva attaccato la ratio decidendi, sulla base di un percorso argomentativo carente o errato. La parte ricorrente, quindi, per tentare di rimuovere la ratio decidendi utilizzata dal TSAP avrebbe dovuto proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evidenziando gli elementi dell’atto di appello, dai quali si evinceva che aveva inteso contestare che nella specie non si applicava il termine decadenziale e che quindi il TSAP era caduto in errore nell’interpretare l’atto di appello, formulando poi il relativo quesito-sintesi (Cass. 2652/2008).

Con il secondo motivo, denunciando la violazione dell’art. 112 c.p.c., unitamente a vizi di motivazione, la società ricorrente lamenta una ultrapetizione consistente nel fatto che il TSAP a fronte della richiesta di totale rigetto della domanda di risarcimento dei danni, avanzata dal consorzio, avrebbe erroneamente ridotto l’ammontare del danno risarcibile, peraltro incorrendo in vizi di motivazione. Sfrondato dei profili di inammissibilità (riferiti al fatto che a fronte del doppio motivo di ricorso il quesito è unico, che per molti versi il motivo prospetta questioni di merito e che in parte vengono adombrati vizi revocatori), la censura è infondata perchè non incorre in vizio di ultrapetizione il giudice che, pronunciando sulla richiesta di risarcimento, totalmente contrastata dalla controparte, determina in misura inferiore, rispetto alla richiesta, il danno risarcibile, in considerazione del banale principio logico che il più comprende il meno.

Con il terzo motivo, denunciando la violazione dell’art. 2058 c.c., unitamente a vizi di motivazione, viene posta alla Corte il seguente quesito di diritto: “se viola l’art. 2058 c.c., la sentenza che neghi il risarcimento in forma specifica attraverso il ripristino dello stato dei luoghi, pur quando detto ripristino non attenga a parti funzionali dell’opera pubblica, ovvero delle quali non risulti dimostrata la funzionalità rispetto all’opera medesima”. Il motivo è inammissibile perchè non intinge la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il TSAP ha concluso che “L’aver chiesto il risarcimento e non la restituzione del fondo, comporta l’accettazione dello stato dei luoghi come modificato dal Consorzio” (p. 25 della sentenza impugnata). La statuizione è basata, a torto o a ragione, sull’affermato principio di alternatività tra risarcimento e restituzione e tale principio non è scalfito dal quesito posto dalla parte ricorrente.

Inoltre, anche il terzo motivo presenta ulteriori profili di inammissibilità riferiti al fatto che il denunciato vizio di motivazione non è corredato dal quesito-sintesi e che, comunque, il ricorrente fa riferimento ad accertamenti peritali e alla situazione dei luoghi, in maniera non autosufficiente, per cui le censure si risolvono in mere questioni di merito.

Conseguentemente, entrambi i ricorsi vanno rigettati con compensazione delle spese del giudizio di legittimità in considerazione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

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