Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8313 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. un., 08/04/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 08/04/2010), n.8313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PAPA Enrico – Presidente di Sezione –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di Sezione –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28930/2008 proposto da:

ENNA EUNO S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in 203 ROMA, VTA BETTOLO 9, presso lo

studio dell’avvocato SEBASTIANO VERGA, rappresentata e difesa

dall’avvocato SAMMARTINO DARIO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

O.C.M. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato SERGIO

GALLEANO, rappresentata e difesa dall’avvocato CARIOLA AGATINO, per

delega a, margine del controricorso;

– controricorrente –

sul ricorso 28934/2008 proposto da:

ENNA EUNO S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DETTOLO 9, presso lo studio

dell’avvocato SEBASTIANO VERGA, rappresentata e difesa dall’avvocato

SAMMART::NO CARIO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

O.C.M. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato SERGIO

GALLEANO, rappresentata e difesa dall’avvocato CARIOLA AGATINO, per

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso le sentenze nn. 111/28/2008 (per il ricorso r.g. n.

28934/2008) e 112/28/2008 (per il ricorso r.g. n. 28930/2008)

entrambe della Commissione tributaria regionale di Palermo – Sezione

distaccata di CALTANISSETTA, depositate il 21/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

uditi gli avvocati Claudio FEDERICO per delega dell’avvocato Dario

Sammartino, Claudio MARTINO per delega dell’avvocato Agatino

Cariola;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

L’avv. O.C.M. ha impugnato, con separati ricorsi proposti dinanzi al giudice tributario, due fatture relative al pagamento dell’acconto e del conguaglio per il 2004 dei servizi di igiene ambientale, eccependo la illegittimità della pretesa, sul rilievo che la sua quantificazione era avvenuta sulla base della tariffa d’igiene ambientale (t.i.a.) illegittimamente stabilita dalla Enna Euno s.p.a. – società costituita, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 2, dell’O.P.C.M. n. 2983/1999, introdotto con o.m. n. 3190/2002, per la gestione dell’ambito territoriale ottimale, a.t.o., per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti nella provincia di Enna – alla quale tale potere, riservato agli enti locali, non poteva essere riconosciuto.

La commissione tributaria provinciale adita, con separate, ma identiche,, sentenze (una riferita all’acconto 2004 e l’altra riferita al conguaglio), ritenuta la propria giurisdizione in ragione della natura tributaria delle obbligazioni contestate, ha accolto i ricorsi, sul rilievo della illegittimità della delibera legislativa regionale, che attribuiva agli organi di governo delle società di gestione dell’a.t.o. il potere di determinare la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani, con conseguente disapplicazione della stessa, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E. Le decisioni sono state poi confermate dalla commissione tributaria regionale, secondo la quale “con l’ordinanza commissariale n. 885 del 08.08.2003 del Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti si è perpetrata una vera e propria spoliazione dell’Ente Pubblico del potere riconosciuto dalla legge di quantificare la tariffa T.I.A.. Infatti sia il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 8, sia il D.P.R. n. 158 del 1999 attribuiscono all’Ente Locale la competenza di determinare la tariffa suddetta, la cui applicazione, nel rispetto della convenzione, è demandata dal successivo comma 9, dell’art. 49, suddetto ai soggetti gestori”. Conseguentemente, la tariffa illegittima è stata disapplicata anche in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5.

La Enna Euno s.p.a. ricorre per la cassazione delle sentenze di appello, meglio specificate in epigrafe, sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria.

L’avv. O. resiste con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, i ricorsi della società proposti contro la stessa persona, per la cassazione di due sentenze perfettamente uguali, relative alla stessa obbligazione, frazionata in due rate (acconto e conguaglio), sulla base degli stessi motivi, vanno riuniti ai sensi dell’art. 274 c.p.c., in quanto, pur essendo diversi gli atti impugnati, la materia del contendere è perfettamente sovrapponibile, e il simultaneus processus consente una economia processuale e previene il rischio di giudicati contrastanti: “In tema di contenzioso tributario, i ricorsi per cassazione che traggono origine dalla impugnazione di avvisi di accertamento relativi ad annualità contigue e notificati all’esito di un’unica verifica fiscale, effettuata dal competente Ufficio finanziario sulla base degli stessi riscontri e dello stesso metodo di accertamento, danno luogo a cause connesse suscettibili di riunione ai sensi dell’art. 274 c.p.c., al fine di prevenire il rischio di un contrasto tra giudicati” (Cass. 10792/2007; v. anche Cass. 3830/2010).

Nel merito i ricorsi non possono trovare accoglimento.

2. Con il primo motivo, la difesa della società ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E, e D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 7, pone alla Corte il seguente quesito di diritto: “se esuli dalla giurisdizione tributaria, come configurata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, la controversia circa l’attribuzione del potere di determinare la tariffa di igiene ambientale, di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, da parte di una società d’ambito territoriale, costituita in Sicilia in attuazione di quanto disposto dall’art. 2 bis, comma 2, dell’ordinanza ministeriale n 2983/1999 (introdotto con o.m. n 3190/2002), anche ove tale cognizione sia svolta attraverso la disapplicazione dell’ordinanza del commissario delegato n. 885/2003 (o di altre previe ordinanze di protezione civile) nell’ambito di un giudizio d’impugnazione della fattura emessa dalla società stessa; considerato che tale disapplicazione opererebbe in via principale, perchè concerne la causa della lesione del diritto del ricorrente, e in ogni caso che la cognizione s’incentrerebbe su scelte discrezionali dell’Amministrazione, quali si sono concretizzate nelle citate ordinanze”.

L’oggetto della controversia è costituito dalle impugnazioni, da parte dell’avv. O., degli atti con i quali le veniva richiesto il pagamento della t.i.a. (acconto e conguaglio 2004) quantificata in base alla tariffa determinata dalla Enna Euno s.p.a. e non dall’ente locale, cui la legge attribuisce il “potere impositivo”. Si tratta, dunque, di una tìpica lite fiscale, correttamente portata alla cognizione della competente commissione tributaria. Infatti, la natura della pretesa cui resiste la O. (pagamento della t.i.a.) è di tipo fiscale, come ha avuto modo di chiarire anche la Corte Costituzionale: “La tariffa di igiene ambientale (Tia), disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, presenta tutte le caratteristiche del tributo, in quanto si caratterizza per la doverosità della prestazione, per la mancanza di rapporto sinallagmatico tra parti e per il collegamento della prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante; pertanto, la Tia non è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisce una mera variante della Tarsu disciplinata dal D.Lgs. n. 507 del 1993 (ess.mm.), conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima. Le controversie aventi ad oggetto la debenza della Tia, dunque, avendo natura tributaria appartengono alla cognizione delle commissioni tributarie” (sent. n. 238/2009).

Parte ricorrente, però, eccepisce che il ricorso investirebbe direttamente un atto amministrativo di carattere generale, sottratto alla giurisdizione tributaria. Rileva il Collegio che la contribuente contesta la legittimità dell’atto presupposto (modalità di determinazione della tariffa) al solo fine di contestare la concreta pretesa fiscale fatta valere nei suoi confronti sulla base di una tariffa ritenuta illegittima. La fattispecie, dunque, ricade perfettamente nella previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 3, e art. 1, comma 5, in forza dei quali al giudice tributario è attribuito il potere di risolvere “in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione” (fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio) e di disapplicare, limitatamente all’oggetto dedotto in giudizio, gli atti regolamentari o generali, rilevanti ai fini della decisione, ritenuti illegittimi. Si tratta di un potere generale che riguarda ogni tipo di atto, senza distinzione di sorta. Pertanto, la decisione impugnata non esorbita i limiti della giurisdizione nella parte in cui rileva la illegittimità della tariffa in base alla quale è stata formulata la pretesa fiscale rivolta alla O.. Va dunque confermata la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “Spetta alle commissioni tributarie la giurisdizione in ordine al ricorso con cui il contribuente, nell’impugnare un avviso di liquidazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, faccia, valere vizi degli atti amministrativi concernenti la determinazione in via generale dei criteri di applicazione del tributo, nonchè di quelli attinenti alla formazione del ruolo: rientra infatti nella competenza del giudice tributario, così come delineata dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, valutare l’illegittimità degli atti amministrativi generali, al limitato fine di decidere la controversia relativa ad uno specifico rapporto tributario, senza poter procedere all’annullamento dell’atto generale” (Cass. 16293/2007: conf. 14408/2009). Si tratta di un potere riconosciuto al giudice tributario, anche prima dell’espresso riconoscimento operato dalla L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2, che ha introdotto il nuovo testo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, quale espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nella L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E (Cass. 5929/2007).

3. Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, e nullità del giudizio per difetto di contraddittorio, viene prospettato alla Corte il seguente quesito di diritto: “se sia viziata da nullità una sentenza della Commissione tributaria provinciale, che abbia pronunciato nel merito di un ricorso avverso la fattura, emessa per la riscossione della t.i.a. (D.Lgs. n. 22 del 1997, ex art. 49) da una società d’ambito territoriale, costituita in Sicilia in attuazione di quanto disposto dall’art. 2 bis, comma 2, dell’ordinanza ministeriale n 2983/1999 (introdotto con o.m. n. 3190/2002), con il quale ricorso si contesti l’attribuzione del potere alla società stessa, ritenendolo invece spettante al Comune nel quale si effettua la raccolta dei rifiuti, qualora il contraddittorio non sia integrato mediante la chiamata in giudizio del Comune stesso, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14; e se la nullità si propaghi anche alla sentenza della Commissione tributaria regionale che si sia pronunciata in sede di appello senza rilevare il difetto di contraddittorio”.

Il quesito merita risposta negativa. Correttamente la contribuente ha proposto ricorso nei confronti della società che ha emesso le fatture contestate, eccependo la illegittimità dell’atto presupposto adottato dalla stessa società chiamata in giudizio. Il comune è rimasto estraneo alla procedura di formazione della pretesa impositiva e al rapporto tributario dedotto in giudizio, tanto più che la stessa società assume di avere agito esercitando i poteri “delegati” del comune. Non ricorre, dunque, la fattispecie di litisconsorzio necessario, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, in quanto la controversia (poteva e) può essere utilmente decisa nei confronti della sola società convenuta, eretta ad ente impositore, di riscossione e di gestione del tributo, con esclusione del comune, che comunque avrebbe potuto essere chiamato in giudizio dalla società “delegata”, se avesse avuto interesse in tal senso. Il mancato gettito tributario, causato dalla illegittimità della procedura di determinazione della tariffa, è questione che attiene ai rapporti tra ente impositore e società delegata e non riguarda la causa con la quale la contribuente contesta al soggetto che gliene fa richiesta il diritto a riscuotere.

4. Con il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione della L. n. 225 del 1992, art. 5, D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 22 e 49, viene prospettato alla Corte il seguente quesito di diritto: “se rientri nella competenza di una società d’ambito territoriale, costituita in Sicilia ai sensi dell’art. 2 bis, comma 2, dell’ordinanza ministeriale n 2983/1999 (introdotto con o.m. n 3190/2002), il potere di determinare la tariffa d’igiene ambientale in luogo del Comune nel quale è effettuata la raccolta dei rifiuti, sul presupposto della logica consequenzialità del trasferimento di tale potere con quello del potere di pianificazione in materia di gestione di rifiuti solidi urbani; e in ogni caso sul presupposto della legittimità della deroga al sistema ordinario delle competenze, effettuato dalla citata ordinanza ministeriale in conformità a quanto ammesso dalla L. n. 225 del 1992, art. 5, comma 2”.

In sintesi il quesito è: se, in base alla normativa vigente, un ente locale possa trasferire ad un soggetto privato, nella specie una s.p.a., il potere di determinare la tariffa relativa al pagamento di un tributo locale.

4.1. In linea di principio, la risposta al quesito non può che essere negativa: il potere impositivo è espressione della sovranità dello Stato, in generale, e della posizione di supremazia degli enti pubblici locali rispetto ai cittadini amministrati, nell’ambito di un rapporto giuridico di tipo pubblicistico, rispetto al quale il cittadino è garantito dalle procedure legali e democratiche in base alle quali il potere impositivo deve essere esercitato. Rispetto a questo quadro ordinamentale, l’ipotesi della delega del potere impositivo ad un soggetto privato, nella specie una s.p.a. che delibera attraverso un consiglio di amministrazione che risponde soltanto ai soci della società, invece che con delibera consiliare adottata dai rappresentanti eletti dai cittadini (ai quali devono rispondere) destinatari dell’imposizione, appare del tutto illegittima. Può essere delegato il servizio della riscossione dei tributi, ma non il potere impositivo (sia in relazione all’an che in relazione al quantum), che è connaturato allo statuto necessariamente pubblicistico dell’ente impositore. L’imposizione è per definizione un atto di imperio, sia con riferimento ai momenti della individuazione del presupposto d’imposta e del soggetto passivo, sia con riferimento al momento della determinazione del quantum debeatur. Il soggetto attivo del rapporto tributario non può che essere un ente pubblico dotato dello specifico imperium (potestà impositiva); potere che deve essere responsabilmente esercitato dagli organi elettivi, secondo le procedure democratiche e non mediante delega a soggetti privati, politicamente irresponsabili.

L’esercizio del potere impositivo costituisce una funzione fondamentale ed irrinunciabile dello Stato, che deve essere esercitata nel rigoroso rispetto della riserva di legge (art. 23 Cost.), per assicurare allo Stato stesso i mezzi per il suo funzionamento, “in danno” dei cittadini ai quali (quando non si verifichino violazioni di diritti tutelabili in sede giudiziaria) non resta che il controllo politico sul corretto esercizio della potestas impositionis, in un delicato equilibrio che è il fulcro della democrazia. Ne deriva che l’esercizio del potere impositivo, espressione diretta della sovranitas, non può essere delegata ad enti che non siano investiti, direttamente ex lege, della potestas impositionis e, quindi, soggetti al controllo diretto dei cittadini (soggetti passivi d’imposta).

Sul piano del diritto positivo, il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, (vigente ratione temporis), in attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, dispone che la relativa tariffa è determinata dagli enti locali (comma 8), mentre l’applicazione della stessa è lasciata ai soggetti gestori (comma 9). Il dubbio sulla natura tributaria o di corrispettivo della obbligazione in questione, risolto poi dalla Corte costituzionale, è alla base, evidentemente, dell’errore commesso nel delegare la determinazione della tariffa alla s.p.a. (per la stessa ragione la t.i.a. è stata erroneamente assoggettata ad i.v.a.).

4.2. Resta da verificare se tale assetto istituzionale possa subire deroghe per ragioni di emergenza.

In linea di principio, va rilevato che – fatte salve le considerazioni già svolte – non è ipotizzabile l’attribuzione di poteri straordinari, concessi per ragioni di emergenza, che producano effetti oltre l’emergenza stessa. In altri termini, non potrebbe mai essere legittimata in base all’emergenza l’attribuzione di un potere straordinario di imposizione fiscale che non sia poi contenuto espressamente nei limiti cronologici dell’emergenza stessa: la tariffa invece opera per tutti i periodi successivi di imposta, anche se l’emergenza è superata. La tesi sostenuta dalla parte ricorrente non trova conforto nella normativa sull’emergenza. Infatti, la L. n. 225 del 1992, art. 5, comma 2, prevede che per l’attuazione degli interventi di emergenza è possibile emanare “ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, ma nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico”. Costituisce certamente un principio generale dell’ordinamento giuridico quello secondo il quale soltanto gli enti pubblici espressamente indicati dal legislatore possono imporre e quantificare i tributi, nel rispetto della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost..

Infine, non regge l’argomento secondo il quale l’affidamento della gestione dei rifiuti alla società oggi ricorrente (espressamente previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 23), implicherebbe anche l’attribuzione del potere di determinare la tariffa. La gestione e la programmazione dei servizi è condizionata dalle risorse finanziarie disponibili e non viceversa. Vale a dire, deve sempre essere l’ente impositore a determinare la tariffa, assumendosene la responsabilità politica, così da ottenere il gettito ritenuto sufficiente per la gestione del servizio da affidare in concessione. Se, invece, come è accaduto nella specie, viene affidata alla società di gestione dei servizi, che agisce in regime di monopolio, anche il potere di stabilire la tariffa, questa viene sostanzialmente determinata al di fuori di ogni tipo di controllo, sia quello privato della concorrenza, sia quello politico. In definitiva l’attribuzione del potere di tariffazione alla società concessionaria è illegittima, così come già hanno rilevato i giudici di merito.

5. Con il quarto ed ultimo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 15 del 2003, art. 1 ter, convertito dalla L. n. 62 del 2003, viene posto alla Corte il seguente quesito di diritto: “se rientri nella competenza di una società d’ambito territoriale, costituita in Sicilia ai sensi dell’art. 2 bis, comma 2, dell’ordinanza ministeriale n 2983/1999 (introdotto con o.m. n 3190/2002), il potere di determinare la tariffa d’igiene ambientale in luogo del Comune nel quale è effettuata la raccolta dei rifiuti, sul presupposto che gli effetti della citata ordinanza, e dei provvedimenti conseguenti, sono stati fatti salvi dal D.L. n. 15 del 2003, art. 1 ter, comma 2, come convertito dalla L. n. 62 del 2003, il quale ha così fissato una norma di pari rango al combinato disposto del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 23 e 49, che aveva attribuito tale potere agli enti locali”.

Anche l’ultimo quesito merita risposta negativa, in quanto nessuna legge di sanatoria potrebbe mai spostare da un soggetto pubblico ad uno privato la potestas impositionis. Nè hanno pregio le eccezioni basate sulla legislazione successiva, relativa alla tariffa integrata ambientale (TIA) prevista dall’art. 238/2006, in relazione alla quale la Corte Costituzionale non ha preso posizione (v. punto 6.1.4. della motivazione), nè la questione può essere affrontata in questa sede, in cui si discute della tariffa di igiene ambientale (TIA), così come disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, la cui natura tributaria è stata affermata dal giudice delle leggi.

Ne consegue che alla legge di sanatoria, interpretata nel quadro della compatibilità con i principi generali dell’ordinamento giuridico, che vanno comunque rispettati anche nell’emergenza (L. n. 225 del 1992, art. 5, comma 8), non può attribuirsi l’effetto di avere investito, a posteriori, una società di diritto privato di un potere impositivo, che nemmeno ex ante poteva essere trasferito. A meno che non si voglia argomentare che, per salvare gli effetti derivanti dalla attuazione delle ordinanze emergenziali, il legislatore abbia inteso trasformare il tributo in corrispettivo di un servizio, peraltro soltanto per una parte del territorio nazionale, senza però modificarne la disciplina positiva. Il carattere tributario dell’entrata pubblica in esame potrà anche essere trasformata in una entrata di tipo diverso (non tributaria e anche non pubblica), ma soltanto a seguito di un mutamento della disciplina positiva, che colleghi il pagamento alla prestazione di un servizio liberamente fruibile. Fino a quando la pretesa creditoria pubblica è ancorata ad un presupposto stabilito ex lege, senza possibilità di scelta da parte del soggetto passivo, l’obbligazione conserva necessariamente natura tributaria e, in quanto tale, deve essere imposta da un ente pubblico.

Come ha rilevato la Corte Costituzionale, “il fatto generatore dell’obbligo di pagamento è legato non all’effettiva produzione di rifiuti da parte del soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all’utilizzazione di superficie idonee a produrre rifiuti ed alla potenziale fruibilità del servizio” (punto 7.2.3.1. della sentenza 238/2009). Ciò fa della TIA, come già della TARSU, un tributo, la cui natura non può essere mutata se non sganciando l’obbligazione dal presupposto impositivo, e non attribuendo ad un privato un impossibile potere impositivo.

Ne deriva che l’interpretazione prospettata dalla parte ricorrente non ha alcuna possibilità di essere inserita coerentemente nel quadro dell’ordinamento positivo. Soltanto un mutamento del regime positivo dell’obbligazione in esame, che nella specie non si è verificato, avrebbe potuto legittimare la titolarità della società a stabilire la tariffa.

Infine, come per ogni sanatoria, gli eventuali vizi che possono essere sanati sono soltanto quelli realizzati prima della entrata in vigore della legge relativa, non anche quelli successivi, per i quali serve invece una legge che guardi al futuro e non al passato, disciplinando ex uovo futuri rapporti. Nella specie le fatture contestate dalla contribuente sono state emesse nel 2005, due anni dopo la legge che sanava gli effetti pregressi. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in tema di condono fiscale, che tali provvedimenti “coprono un arco temporale ben definito, che precede l’approvazione della relativa legge” e non possono proiettare i propri effetti anche verso il futuro, realizzando una sorta di condono/sanatoria permanente (Cass. SS.UU. 5289/10).

Peraltro, nelle more, i comuni ben avrebbero potuto riappropriarsi del potere impositivo, eventualmente confermando le tariffe già determinate dalla società, assumendosene la responsabilità politica, senza dover attendere l’intervento legislativo che, comunque, non poteva ratificare l’esproprio di un potere pubblico.

6. Conseguentemente, i ricorsi vanno rigettati,con compensazione delle spese del giudizio di legittimità in considerazione del fatto che la pronuncia della Corte Costituzionale sulla natura della TIA è successiva alla proposizione del ricorso per cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce il ricorso R.G. n. 28934/2008 al ricorso R.G. n. 28930/2008, li rigetta entrambi e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

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