Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8311 del 08/04/2010

Cassazione civile sez. un., 08/04/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 08/04/2010), n.8311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di Sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21273/2009 proposto da:

E.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO

60, presso lo studio dell’avvocato MASTROBUONO SEBASTIANO, che lo

rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 87/2009 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 10/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;

udito l’Avvocato Sebastiano MASTROBUONO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI Marco, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Su iniziativa del Ministro della Giustizia veniva promossa, con nota in data 2.7.2008, azione disciplinare nei confronti di E.F., all’epoca dei fatti giudice presso il Tribunale per i minorenni dell’Aquila, con le seguenti incolpazioni:

a) illecito di cui il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. d), per avere, in violazione dei doveri generali di correttezza ed equilibrio nell’esercizio delle funzioni, tenuto un comportamento abitualmente e gravemente scorretto nei confronti del personale amministrativo del Tribunale dell’Aquila. In particolare, il Dott. E. manifestava dal (OMISSIS), pubblicamente e in presenza di altri dipendenti, un continuo atteggiamento di disprezzo e disistima nei riguardi di M.P., cancelliere, e di T.A., operatore giudiziario, entrambe addette al contenzioso civile. Tale atteggiamento si Vi estrinsecava sia rivolgendo nei loro riguardi epiteti quali “quelle”, “quelle schifose”, “maledette”, “iettatrici”, “le presidentesse”; affermando pubblicamente di non voler in alcun modo “avere a che fare” con le medesime, ovvero che l’unica relazione possibile sarebbe stata quella di “sputare loro in faccia, ed è anche troppo”; sia tenendo, anche di fronte al personale, avvocati ed utenti, comportamenti alterati e visibilmente irritati ad ogni contatto con dette dipendenti, sino a determinare una condizione di mobbing in danno delle medesime e al contempo un generale disservizio per l’organizzazione dell’ufficio.

b) Illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. a), g), m), n), per avere, in violazione dei doveri generali di diligenza ed equilibrio, nonchè in violazione della legge processuale e altresì contro la costante passi dell’ufficio, in un procedimento relativo ad azione per il riconoscimento di paternità naturale, dichiarato d’ufficio, nell’udienza del 28.11.2007, la nullità della notifica di un provvedimento di nomina di un consulente, nel frattempo già disposta ed espletata, con la motivazione che la notifica dell’atto non avrebbe garantito l’effettività del contraddittorio.

c) Illecito disciplinare di cui il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. a) e g), perchè in data 8.6.2007, nell’ambito di una procedura di volontaria giurisdizione per la tutela e l’affidamento a una struttura di accoglienza di una minore (per la cui attività di prostituzione risultava indagato presso l’autorità giudiziaria di Teramo un soggetto maggiorenne), in violazione del dovere di riserbo, nonchè violazione non scusabile di norme processuali e con effetto di indebito vantaggio per un soggetto (l’indagato), e a danno di altra persona (la minore, parte nella procedura di volontaria giurisdizione): da un lato, :n ragione del contenuto delle dichiarazioni rese dalla minore (potenzialmente accusatorie o calunniatorìe, nei riguardi di agenti di polizia), per non essersi limitato ad inviare l’atto all’autorità giudiziaria competente in ragione dell’indagine in corso e, anzi, per aver sospeso l’audizione della minore nella procedura di tutela a suo favore, raccogliendone quindi le ulteriori dichiarazioni in veste di indagata, in difetto di una formale iscrizione e apertura di un procedimento nei suoi confronti; dall’altro, nella stessa sede, per aver proceduto all’audizione, in veste testimoniale, del preteso induttore alla prostituzione della giovane, nonchè, per aver proceduto contestualmente all’acquisizione di dichiarazioni della madre della minore, con relativa nomina quale interprete dello stesso soggetto indagato per sfruttamento della prostituzione.

Con la sentenza in esame n. 87/2009, la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura dichiarava l’ E. disciplinarmente responsabile dei suddetti capi b) e c) mentre assolveva lo stesso dall’incolpazione sub b) “perchè il fatto non costituisce illecito disciplinare”.

Ricorre per cassazione a queste Sezioni Unite Civili l’ E. con due motivi; non ha svolto attività difensiva l’intimato Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce carenza e manifesta illogicità nella motivazione in punto alla valutazione delle prove in relazione al capo a) della sentenza. In particolare si afferma che “la decisione impugnata è evidentemente carente della sua motivazione relativa al capo a), ove non solo Gl’indica compiutamente i criteri che il Giudicante ha seguito nella valutazione delle prove, ma soprattutto ove esso non compie una valutazione complessiva dell’impianto probatorio presente negli istruttori, limitandosi invece ad una genericissima e parziale elencazione di addebiti, peraltro molto più contenuta rispetto a quella del capo di imputazione”.

Con il secondo motivo si deduce “carenza e illogicità nella motivazione in punto alla configurazione giuridica dell’operato del Dott. E. ed in punto valutazione delle prove in relazione al capo c) della sentenza. Violazione di legge per mancato utilizzo di tutte le prove che ha menomato il ragionamento giuridico del provvedimento impugnato”. In particolare si afferma che “il capo c) della sentenza impugnata si espone ad una lunga serie di censure che hanno la loro radice nella erronea interpretazione (di qui la errata ed illogica motivazione) in ordine ai poteri attribuiti al Giudice Minorile della legge in generale, e dall’art. 25 bis, del R.D. cit. in particolare, oltre che in ordine ad alcuni dati di fatto incontrovertibili, emersi nella vicenda ma che non necessitano di interpretazione giuridica”.

Il ricorso non merita accoglimento in relazione ad entrambe le suddette censure.

Innanzi tutto deve rilevarsi che entrambe prospettano difetto di motivazione in relazione alla valutazione delle risultanze probatorie (sia riguardo all’illecito di cui al capo a) che all’illecito di cui al capo b)), per cui non può non richiamarsi in proposito il consolidato indirizzo giurisprudenziale di queste Sezioni Unite (tra le altre, n. 27689/2005), per le quali, in relazione al sindacato di legittimità sul vizio di motivazione delle decisioni disciplinari del Consiglio Superiore, alle Sezioni Unite della S.C. non è consentito sindacare sul piano del merito le valutazioni del giudice disciplinare, e il relativo accertamento dei fatti contestati, dovendo la Corte medesima limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale.

E sul punto, in relazione a detti capi di incolpazione, che hanno poi dato luogo alla sanzione in oggetto, la Sezione Disciplinare ha logicamente e sufficientemente motivato, dapprima affermando che: “non vi è alcun dubbio che si fosse determinato nell’ufficio un clima estremamente teso, che correttamente il Procuratore Generale ha definito in termini di “invivibilità” e che ciò deve essere attribuito alla responsabilità del Dott. E.. La relazione ispettiva (f. 255 – 261 del fascicolo del Pg) riporta stralci significativi delle note trasmesse dalle M. e T. e delle dichiarazioni rese in quella sede (v. i verbali a f. 50 e 54 del fascicolo Pg) dalle quali risulta sia il rifiuto da parte del Dott. E. di avvalersi della loro collaborazione, sia le frasi offensive con le quali tale rifiuto veniva accompagnato … per la volgarità del contenuto, per l’incidenza sul funzionamento dell’ufficio, per le incalcolabili ricadute, specie in un ambiente ristretto come quello di un ufficio giudiziario di non grandi dimensioni. Della ossessiva insistenza sulla associazione tra la cattiva sorte e il potere delle due dipendenti di esercitare su di essa una qualunque influenza”; in seguito, ritenendo che: “l’atipicità delle iniziative adottabili e la mancata formalizzazione procedurale non può però condurre a mera arbitrarietà ed il “superiore interesse del minore” deve costituire non un alibi, ma una riconoscibile esigenza posta a base delle scelte del giudice. Nel caso in esame il Dott. E. ha proceduto del tutto arbitrariamente e senza che la ratio di tutela della minore traspaia dagli atti, prima ad una impropria commistione di un audizione in sede di tutela con un interrogatorio in sede di investigazione penale, per il quale non aveva nè delega nè competenza, proseguendo poi ad una audizione della madre alla quale aveva del tutto illegittimamente consentito che assistesse proprio il più grave indiziato, delle condotte non solo penalmente rilevanti, all’origine della necessità stessa dell’apertura della pratica R.D.L. n. 1404 del 1934, ex art. 25 bis “.

Ne deriva sia, riguardo al primo motivo di ricorso, che non è consentito a queste Sezioni Unite alcun riesame delle circostanze di fatto sulle quali è stato basato l’accertamento della Sezione Disciplinare, sia la palese infondatezza della tesi di cui specificamente al secondo motivo di ricorso, secondo cui non sarebbe dato assolutamente riscontrare alcun divieto specifico di audizione di terzi nella procedura in questione, avendo il Giudice minorile il potere di agire con la più completa libertà d’azione, purchè nell’interesse del minore; riguardo a tale ultimo aspetto, infatti, pienamente condivisibile è l’argomentazione della Sezione Disciplinare, per la quale ciò che rileva nella vicenda in esame non è la mera audizione di un terzo quanto il “coinvolgimento” nel processo a tutela di una minore, mediante interrogatorio in sede di indagini penali, di un indiziato di condotte penalmente rilevanti e alla base dell’apertura di una pratica R.D.L. n. 1404 del 1934, ex art. 25 bis.

Il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero comporta il non doversi provvedere in ordine alle spese della presente fase.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010

 

 

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