Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8310 del 29/04/2020
Cassazione civile sez. VI, 29/04/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 29/04/2020), n.8310
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16120-2018 proposto da:
S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
DOMENICO GIAMPA’;
– ricorrente –
contro
FONDAZIONE BETANIA ONLUS, in persona del Presidente pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 405, presso lo
studio dell’avvocato FABIO CIRAMI, rappresentata e difesa
dall’avvocato SERGIO GIDARO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 424/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,
depositata il 19/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA
MARCHESE.
Fatto
RILEVATO
che:
Il Tribunale di Catanzaro, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo concesso sulla base del titolo giudiziale rappresentato dalla sentenza n. 684 del 2015, revocava il provvedimento monitorio concesso in favore di S.C.;
la Corte di appello di Catanzaro, provvedendo sul gravame interposto da S.C. nei confronti della fondazione Betania ONLUS, ha respinto l’appello;
per quanto qui solo rileva, la Corte territoriale ha osservato, in applicazione della ragione più liquida, come, nelle more del giudizio, la Corte di cassazione avesse cassato la sentenza posta a base del decreto ingiuntivo che, dunque, andava revocato;
avverso la decisione, ha proposto ricorso S.C., affidato ad un unico motivo;
ha resistito, con controricorso, Fondazione Betania ONLUS;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.
Diritto
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo di ricorso -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 336 c.p.c., anche con riferimento agli artt. 324 e 329 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che la pronuncia della Corte di cassazione avesse travolto il titolo giudiziale posto a base della domanda monitoria;
il Collegio giudica il ricorso manifestamente infondato;
con il decreto ingiuntivo, della cui revoca si discute, era ingiunto il pagamento della somma di Euro 29.396,12 (oltre accessori e spese), a titolo di liquidazione del risarcimento del danno, sulla base della sentenza n. 684 del 2015 della Corte di appello di Catanzaro che aveva riconosciuto la tutela ai sensi della L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 4, a seguito di accertamento di illegittimità del licenziamento collettivo (in forza del quale era risolto il rapporto di lavoro tra le parti in causa), per vizio della procedura;
nelle more del giudizio, la pronuncia n. 684 del 2015 veniva cassata con sentenza di questa Corte n. 19320 del 2016;
in particolare, il giudice di Legittimità ha ritenuto che la sentenza n. 684 cit. fosse incorsa in un errore di diritto individuando la tutela, derivante dall’accertamento di illegittimità per “vizio del procedimento” del licenziamento collettivo, in quella della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 (cd. tutela “integratoria attenuata”), prevista invece per l’ipotesi di violazione dei criteri di scelta, piuttosto che in quella (diversa perchè meramente indennitaria) stabilita dalla medesima legge, art. 18, comma 5; per effetto di tale considerazione, la Corte ha demandato al giudice del rinvio di ” procedere a nuova valutazione delle conseguenze dell’illegittimità del recesso, in applicazione dei criteri (…) indicati”;
risulta, dunque, evidente come il titolo giudiziale posto a base del decreto ingiuntivo sia venuto meno per effetto della pronuncia della Suprema Corte; la caducazione della statuizione in punto di tutela applicata ha travolto ogni aspetto della stessa, anche quello del risarcimento del danno, con ogni conseguenza in termini di (corretta) revoca del decreto ingiuntivo;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano, in favore della parte controricorrente, in Euro 2500,00, per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario nella misura del 15 %, ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 14 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2020