Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8309 del 07/04/2010
Cassazione civile sez. trib., 07/04/2010, (ud. 02/12/2009, dep. 07/04/2010), n.8309
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
NEWTON DI VIDONI STEFANO & C. SAS, in persona del
socio
accomandatario, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GORIZIA 25-
C, presso lo studio dell’avvocato FALINI GIORGIO, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato FUSCO GIANFRANCO, giusta procura
speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 118/2006 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di BOLOGNA del 15/12/05, depositata l’08/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
02/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito l’Avvocato Fusco Giancarlo, difensore della ricorrente che si
riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. DE NUNZIO WLADIMIRO che
conferma le conclusioni scritte.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’8/2/2006 la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna respingeva il gravame interposto dall’Agenzia delle entrate (OMISSIS) nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna di rigetto dell’impugnazione proposta dalla contribuente società Newton di Vidoni Ing. Stefano & C. s.a.s. del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’IRAP versata per l’anno d’imposta 1998.
Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello la società Newton di Vidoni Ing. Stefano & C. s.a.s. propone ora ricorso per Cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
Con requisitoria scritta il P.G. ha richiesto emettersi pronunzia ex art. 375 c.p.c., di rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che il giudice dell’appello abbia operato una confusione tra i concetti di “organizzazione” e di “autonoma organizzazione, da verificarsi quest’ultima caso per caso, e di avere erroneamente ritenuto sussistere i presupposti impositivi, laddove nel caso “Tutta l’attività svolta dalla società ricorrente, che ha sede nell’abitazione dell’ing. V. (all. 11), si identifica … con quella di consulenza professionale prestata alle aziende dalla stesso, senza disporre di alcuna organizzazione autonoma d’impresa”.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
A parte il rilievo che il ricorso risulta formulato in violazione del principio di autosufficienza, laddove viene fatto riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito senza invero debitamente riprodurli nel ricorso es., all'”all. 2 al ricorso di primo grado”, allo “statuto (all. 4)” e al “relativo regolamento di attuazione (all. 5)”, al “codice di etica dell’A.P.C.O. (all. 6)”, a “brevi note informative sull’Associazione (all. 7)”, alla “specializzazione in “sistemi di gestione per la qualità” rilasciatagli dalla A.I.C.Q. … (all. 8-9 ivi)”, “all. 11”, va osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di IRAP l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusivo, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata, costituendo onere del contribuente che chiede il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (v. Cass., 16/2/2007, n. 3678).
Orbene, nel caso il giudice dell’appello di tale principio ha fatto invero puntuale applicazione laddove, nel riferire l’attività nel caso svolta alla società odierna ricorrente, di cui lo V. S. è socio accomandatario, e nell’implicitamente escludere (esercitando il potere di accertamento al riguardo spettantegli senza che d’altro canto risulti essere stata mossa specifica ed idonea censura al riguardo sotto il profilo dell’erronea valutazione dell’acquisito quadro probatorio) che nella specie ricorra un’ipotesi di attività di lavoro autonomo (profilo invero in base all’esame della sentenza impugnata altresì connotato da novità), correttamente ha affermato che “l’attività esercitata dalle società costituisce … in ogni caso presupposto di imposta”, non essendo “lasciato margine alcuno di indagine alla natura dell’attività stessa nè è possibile accertare la sussistenza o l’assenza di elementi organizzativi nello svolgimento dell’attività”, in quanto la norma di cui all’ultimo periodo del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, pone in proposito “una presunzione assoluta”.
All’inammissibilità ed infondatezza del motivo consegue il rigetto del ricorso.
Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia sulle spese del giudizio di Cassazione, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2010