Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8306 del 12/04/2011

Cassazione civile sez. III, 12/04/2011, (ud. 07/02/2011, dep. 12/04/2011), n.8306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2114-2009 proposto da:

G.S.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESIRA FIORI 32, presso lo studio

dell’avvocato LICCIARDELLO ORAZIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ASERO MILAZZO SALVATORE giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO FINANZE CHIAMATA IN CAUSA CON C/RIC. INC. DI R.S.

DEP. 6/3/09, AGENZIA ENTRATE DIREZIONE REGIONALE SICILIA CHIAMATA IN

CAUSA CON C/RIC. INC. DEP 6/3/09, R.S. (OMISSIS),

AGENZIA DELLE ENTRATE CHIAMATO IN CAUSA CON C/RIC. INCIDENTALE DI

R.S. DEP 6/3/09, MINISTERO ECONOMIA FINANZE CHIAMATO IN

CAUSA CON C/RIC. INC. DA R.S. DEP 6/3/09;

– intimati –

nonchè da:

R.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLA PIRAMIDE CESTIA 1, presso lo studio dell’avvocato GRASSO

ALFIO, rappresentato e difeso dall’avvocato CALABRETTA PAOLO giusta

delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

G.S.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESIRA FIORI 32, presso lo studio

dell’avvocato LICCIARDELLO ORAZIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ASERO MILAZZO SALVATORE giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

MINISTERO FINANZE CHIAMATA IN CAUSA CON C/RIC. INC. DI R.S.

DEP. 6/3/09, AGENZIA ENTRATE DIREZIONE REGIONALE SICILIA CHIAMATA IN

CAUSA CON C/RIC. INC. DEP. 6/3/09, AGENZIA DELLE ENTRATE CHIAMATO IN

CAUSA CON C/RIC. INCIDENTALE DI R.S. DEP. 6/3/09, MINISTERO

ECONOMIA FINANZE CHIAMATO IN CAUSA CON C/RIC. INC. DA R.S.

DEP. 6/3/09;

– intimati –

nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE CHIAMATA IN CAUSA CON C/RIC. INCIDENTALE DI

R.S. DEP. 6/3/09, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui

è difesa per legge;

– ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO FINANZE CHIAMATA IN CAUSA CON C/RIC. INC. DI R.S.

DEP. 6/3/09, G.S.M. (OMISSIS), AGENZIA

ENTRATE DIREZIONE REGIONALE SICILIA CHIAMATA IN CAUSA CON C/RIC. INC.

DEP. 6/3/09, R.S. (OMISSIS), MINISTERO ECONOMIA

FINANZE CHIAMATO IN CAUSA CON C/RIC. INC. DA R.S. DEP.

6/3/09;

– intimati –

sul ricorso 7297-2009 proposto da:

G.S.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESIRA FIORI 32, presso lo studio

dell’avvocato LICCIARDELLO ORAZIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ASERO MILAZZO SALVATORE giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

R.S. (OMISSIS);

– intimato –

nonchè da:

R.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA PIRAMIDE CESTIA 1, presso lo studio dell’avvocato GRASSO

ALFIO, rappresentato e difeso dall’avvocato CALABRETTA PAOLO giusta

delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

G.S.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESIRA FIORI 32, presso lo studio

dell’avvocato LICCIARDELLO ORAZIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ASERO MILAZZO SALVATORE giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1388/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA –

1^ SEZIONE CIVILE, emessa il 15/9/2008, depositata il 19/11/2008,

R.G.N. 1445/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2011 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

udito l’Avvocato ORAZIO LIGCIARDELLO (per delega dell’Avv. SALVATORE

ASERO MILAZZO);

udito l’Avvocato PAOLO CALABRETTA;

udito l’Avvocato MARIA LETIZIA GUIDA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.S., Direttore della Concessionaria di (OMISSIS) della Montepaschi Serit s.p.a per la riscossione dei tributi per la Regione Sicilia, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Catania G.S.M., l’Agenzia delle Entrate ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze perchè, previo accertamento degli estremi del reato di calunnia aggravata a carico di G.S. M., funzionario responsabile del reparto riscossione dell’Ufficio Imposte Dirette di (OMISSIS), condannasse i convenuti in solido, i secondi ex art. 28 Cost., al risarcimento del danno subito a seguito della condotta illecita del G. nella misura di L. 300.000.000 a titolo di danno biologico e L. 300.000.000 a titolo di danno morale. G.S.M. rimaneva contumace.

Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda solo nei confronti del G.S.M. nella misura di L. 20.000.000. A seguito dell’appello proposto da R.S. e dell’appello incidentale proposto da G.S.M., la Corte di Appello di Catania, con sentenza depositata il 19-11-2008, accoglieva solo in parte l’appello proposto da R.S., relativamente all’entità del risarcimento, e condannava G.S.M. al pagamento della somma di Euro 30.000,00 confermando nel resto la sentenza impugnata.

Avverso detta sentenza proponeva due distinti ricorsi cassazione G.S.M., il primo con numero di ruolo generale 2114/09 in data 19-1-2009, sorretto da cinque motivi, ed un successivo con numero di ruolo generale 7297/09 in data 19-3-2009. In entrambi giudizi resisteva con controricorso R.S., proponendo in entrambi i giudizi ricorso incidentale con nove motivi.

Resisteva con controricorso al ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente devono riunirsi i ricorsi a norma dell’art. 335 c.p.c. in quanto hanno ad oggetto l’impugnazione della stessa sentenza.

Occorre esaminare il problema costituito dalla presenza di due successivi ricorsi proposti dalla stessa parte contro la stessa sentenza. Il secondo ricorso è stato espressamente proposto nell’eventualità che il primo ricorso venga a ritenuto inammissibile.

Si deve osservare che il primo di tali ricorsi, n. 2114/09, non presenta alcun profilo di inammissibilità, essendo rispettoso dell’art. 366 bis c.p.c. nel testo vigente all’epoca della proposizione, con i singoli motivi accompagnati dal relativo quesito di diritto.

Il secondo ricorso, numero di ruolo generale 7297/09, di contenuto sostanzialmente identico al primo, è di conseguenza inammissibile, per il principio di consumazione dell’impugnazione che consente la proposizione di un nuovo ricorso per Cassazione, in pendenza del termine per impugnare, solo quando quello già proposto sia viziato e il successivo ricorso miri a sostituire il precedente (per tutte, fra le molte; Cass., Sez. Un. 11 novembre 1994; n. 9409 e, Cass. 10 febbraio 2005; n. 2704). Nel caso di specie manca la condizione che rende ammissibile tale sostituzione, ossia il vizio del ricorso che si intende sostituire.

Di conseguenza deve dichiararsi inefficace il ricorso incidentale corrispondente al ricorso numero di ruolo generale 7297/09, dichiarato inammissibile.

E’ opportuno esaminare congiuntamente i primi due motivi del ricorso principale in quanto strettamente connessi.

Con il primo motivo di ricorso il G. ha denunziato violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello di Catania aveva ritenuto valida la notifica della citazione del giudizio di primo grado ritenendo provata la convivenza tra consegnatario e destinatario dell’atto solo perchè attestata dall’Ufficiale Giudiziario e senza che questa potesse ritenersi fondata sul rapporto di famiglia che era stato contestato.

Con il secondo motivo è denunziata insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 in quanto, mentre era stata eccepita la inesistenza del rapporto di parentela fra il destinatario dell’atto ed il consegnatario, la Corte d’Appello aveva illogicamente incentrato la sua motivazione sulla mancanza di prova della inesistenza della convivenza.

I motivi sono entrambi infondati.

La Corte di Appello ha ritenuto che la notifica dell’atto di citazione si fosse perfezionata ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2, evidenziando che l’atto di citazione era stato notificato nell’abitazione dove il ricorrente aveva dichiarato la propria residenza e consegnato a persona qualificatasi come “convivente nipote A.A.” e che il ricorrente non aveva fornito la prova dell’inesistenza di tale rapporto di parentela, non essendo a tal uopo sufficienti i soli certificati anagrafici, peraltro esibiti in maniera non integrale e tali quindi da non escludere del tutto la possibilità del rapporto di parentela.

Si osserva che secondo l’interpretazione costante della giurisprudenza di questa Corte l’art. 139 c.p.c., consentendo la consegna della copia dell’atto da notificare a persona di famiglia del destinatario, per l’ipotesi in cui non sia stata possibile la consegna nelle mani di quest’ultimo, non impone all’ufficiale giudiziario procedente di svolgere ricerche in ordine al rapporto di convivenza indicato dalla suddetta persona con dichiarazione della quale viene dato atto nella relata di notifica, incombendo, invece, a chi contesta la veridicità di siffatta dichiarazione di fornire la prova del contrario (Cass. 6953/06). Tuttavia, tali dichiarazioni, in quanto rese a pubblico ufficiale, sono assistite da una presunzione di veridicità, che deve essere superata da chi la contesti con la prova contraria. (Cass. 7763/99).

Nel caso di specie la Corte di Appello ha ritenuto, con accertamento di fatto non più contestabile in sede di legittimità, che il ricorrente, cui incombeva l’onere, non avesse fornito la prova che la persona che aveva ritirato l’atto, qualificatasi come nipote convivente del destinatario, che in realtà estranea al nucleo familiare del destinatario.

Non è incorsa nel dedotto vizio di illogicità e contraddittorietà di motivazione in quanto la norma, col prevedere la possibilità della consegna dell’atto “a persona di famiglia”, da rilievo proprio al rapporto di convivenza stabile e non occasionale che ricorre solitamente, ma non solo, con i parenti in senso stretto.

Con il terzo motivo di ricorso è proposta querela di falso avverso la relata di notifica dell’atto di citazione del giudizio di primo grado.

A tale proposito si osserva che per giurisprudenza costante di questa Corte la querela di falso è proponibile anche nel giudizio di cassazione, ma limitatamente ad atti del relativo procedimento, come il ricorso o il controricorso, ovvero a documenti producibili ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ.; essa, invece, non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto a fondamento della decisione impugnata, potendo l’eventuale falsità di essi, se definitivamente accertata nella sede giudiziaria competente, essere fatta valere come motivo di revocazione”. (Sez. 3, Ordinanza n. 11434 del 17/05/2007).

La querela proposta non è quindi ammissibile in quanto riguarda un atto del giudizio di primo grado.

Il quarto motivo di ricorso, con cui viene dedotta ex art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c. per difetto di valida costituzione del rapporto processuale a causa della nullità della notifica, è assorbito dal rigetto dei primi due motivi di ricorso, essendosi accertata la regolarità della notifica della citazione del giudizio di primo grado.

Con il quinto motivo di ricorso viene sollevata eccezione di incostituzionalità dell’art. 139 c.p.c., comma 2 (con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., avuto riguardo alla L. n. 890 del 1982, art 7, comma 7, introdotto dalla L. n. 28 febbraio 2008, n. 31, art. 36) dove non prevede che quando il plico non viene consegnato personalmente al destinatario dell’atto, l’agente postale dia notizia al destinatario medesimo dell’avvenuta notificazione a mezzo di lettera raccomandata.

Non ricorre il dedotto contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., giacchè le modalità di notificazione previste nell’art. 139 c.p.c., comma 2, sono idonee a porre l’atto giudiziario nella sfera di conoscibilità del destinatario e l’eventuale diversità di disciplina con altri tipi di notificazione trova obiettiva giustificazione nella diversità dei relativi presupposti.

Nella fattispecie, la notificazione è stata richiesta ed eseguita dall’ufficiale giudiziario nella casa di abitazione nel comune di residenza del destinatario, con consegna a persona di famiglia convivente. Se ne ricava che non è consentito fare riferimento ad un sistema di notificazione che contenga i caratteri del procedimento eseguito a mezzo del servizio postale per ricavare la denunciata illegittimità in quanto, trattandosi di due modalità diverse, non appare censurabile, sotto il profilo della ragionevolezza, la diversità della normativa. Infatti la notifica di cui all’art. 139 c.p.c., comma 2, avviene a mezzo ufficiale giudiziario nella casa di abitazione del destinatario con consegna a persona convivente, essendo in tal modo assicurate le condizioni che consentono la conoscibilità dell’atto,che in caso di notifica a mezzo posta sono soddisfatte invece anche dalla spedizione dell’avviso di notifica con lettera raccomandata, se l’atto non sia ricevuto a mani proprie.

Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato.

Con il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale il R. lamenta la violazione dell’art. 28 Cost. e dell’art. 2049 c.c. ex art. 360 c.p.c., n. 3 ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui era stata esclusa l’estensione della responsabilità civile per fatto illecito commesso da pubblico dipendente anche alla Pubblica Amministrazione da cui il G. dipendeva, e per non aver ritenuto che l’attività illecita del G. fosse legata, quantomeno da un rapporto di occasionalita’ necessaria con l’attività da lui svolta. I motivi sono fondati.

Questa Corte ha già affermato che “affinchè ricorra la responsabilità della P.A. per un fatto lesivo posto in essere dal proprio dipendente – responsabilità il cui fondamento risiede nel rapporto di immedesimazione organica – deve sussistere, oltre al nesso di causalità fra il comportamento e l’evento dannoso, anche la riferibilità all’amministrazione del comportamento stesso, la quale presuppone che l’attività posta in essere dal dipendente sia e si manifesti come esplicazione dell’attività dell’ente pubblico, e cioè tenda, pur se con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto. Tale riferibilità viene meno, invece, quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all’amministrazione- o addirittura contrario ai fini che essa persegue – ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico fra l’attività del dipendente e la P.A..

(Cass. sez. 3, Sentenza n. 24744 del 21/11/2006).

In tema di responsabilità della P.A. per fatto lesivo derivante dall’operato dei suoi dipendenti, non può essere esclusa la sussistenza del rapporto di occasionalità necessaria tra l’attività del dipendente e l’evento lesivo in presenza dell’eventuale abuso compiuto da quest’ultimo o dall’illegittimità del suo operato, qualora la condotta del dipendente medesimo si innesti, comunque, nel meccanismo dell’attività complessiva dell’ente.

(Sez. 3, Sentenza n. 2089 del 30/01/2008) Nel caso di specie ricorrono gli elementi necessari per la riferibilità dell’attività illecita del G. anche alla Pubblica Amministrazione di cui era dipendente.

Infatti il G., funzionario dell’Ufficio Imposte Dirette di Catania, presentò due esposti in cui accusava il R., Direttore della concessionaria per la riscossione dei tributi di Catania, di aver adottato unitamente al Direttore dell’Ufficio Imposte Dirette, comportamenti illeciti ed in particolare di aver favorito una contribuente a sottrarsi al pagamento di imposte per oltre L. 117.000.000.

Come si vede l’attività del G. si manifesta come esplicazione dell’attività dell’ente di cui egli era dipendente, essendo il recupero delle imposte evase tra i fini istituzionali propri dell’Ufficio Imposte Dirette, e rientra nell’ambito delle attribuzioni proprie della funzione da lui ricoperta nell’ambito dell’Amministrazione delle Finanze, essendo egli un funzionario dell’Ufficio Imposte Dirette.

Il G. nel secondo esposto, redatto su carta intestata del Ministero delle Finanze, spende proprio la sua qualifica di funzionario dell’Ufficio delle Imposte ed indica il Ministero delle Finanze come parte lesa dall’attività illecita del R..

Il contenuto degli esposti elenca fatti e circostanze conosciute dal G. proprio nella sua qualità di funzionario dell’Ufficio Imposte Dirette, conoscenze legate quindi alla sua specifica attività.

Non è stato accertato un fine strettamente personale ed egoistico assolutamente estraneo all’amministrazione – o addirittura contrario ai fini che essa persegue – idoneo ad escludere ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente. Infatti la sentenza impugnata fa riferimento a generici motivi personali ed egoistici che avrebbero spinto il G. a tali denunzie, motivi che sarebbero stati “adombrati” nella citazione di primo grado dallo stesso R..

L’interruzione del collegamento dell’attività del pubblico dipendete con l’attività della Pubblica Amministrazione cui appartiene richiede la prova certa del fine personale ed egoistico, non coincidendo il significato giuridico del termine “prova” con il termine “adombrare” usato dalla Corte di Appello. Di conseguenza, potendo questa Corte decidere nel merito, la condanna al risarcimento deve essere estesa in via solidale anche al Ministero delle Finanze e dell’Economia ed all’Agenzia delle Entrate di cui il G. era dipendente.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale viene dedotta la violazione art. 345 c.p.c., comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non aver ammesso la Corte di Appello la produzione nell’udienza di conclusioni della nota ministeriale del 16-3-1995 in quanto secondo il ricorrente incidentale il giudice di secondo grado non può limitarsi ad accertare e dichiarare che non sussiste il requisito dell’impossibilità di una produzione tempestiva, dovendo altresì verificare che le nuove prove prodotte non siano comunque indispensabili ai fini della decisione, come pure previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 3″.

Con il quarto motivo del ricorso incidentale viene dedotta insufficiente o contraddittoria motivazione circa su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla presunzione che il R. avesse avuto tempestiva conoscenza della nota ministeriale. I due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione degli stessi.

Essi sono entrambi infondati La regola ordinaria di cui all’art. 345 c.p.c. è quella della non ammissibilità di nuovi mezzi di prova in appello, salvo che il giudice non li ritenga indispensabili. Secondo tale previsione il giudice di appello ha l’obbligo di motivare sull’indispensabilità quando ammette un nuovo mezzo di prova, ma non anche nell’ipotesi inversa, che costituisce la regola ordinaria.

Non ricorre neanche il dedotto vizio di motivazione in quanto la Corte di Appello non ha fondato la decisione su una presunzione, ma ha ritenuto che il R. non avesse fornito la prova di aver avuto conoscenza del documento solo poco prima della udienza di conclusioni del giudizio di appello.

Con il quinto motivo del ricorso incidentale il R. deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per aver la Corte di Appello dichiarato inammissibile in quanto tardiva, la richiesta di risarcimento di danno esistenziale mentre non costituiva “mutatio libelli, ma semplice emendatio libelli, consentita ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 4, testo antevigente, la qualificazione del danno subito quale danno esistenziale effettuata all’udienza di trattazione, anche quando il risarcimento fosse stato originariamente richiesto solo a titolo di danno biologico e morale”.

Con il sesto motivo di ricorso incidentale il ricorrente denuncia nullità del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto dall’esposizione dei fatti nell’atto di citazione risultava evidente che l’attore aveva richiesto, oltre al risarcimento dei danni morali, anche il risarcimento di distinti danni.

Quindi il giudice aveva l’onere di qualificare la domanda e di pronunciarsi sulla stessa.

Con il settimo motivo il ricorrente incidentale denunzia vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5 in quanto la Corte di Appello, nel dichiarare inammissibile la richiesta di danno esistenziale, aveva omesso di accertare il contenuto sostanziale della domanda.

Con l’ottavo motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. ed art. 2 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto i giudici di Appello, nel liquidare l’importo del danno non patrimoniale in Euro 30.000,00, non avevano tenuto conto di tutto il danno subito e non avevano provveduto a liquidare il danno esistenziale, insito nell’ipotesi di lesione alla reputazione personale dell’individuo.

I quattro motivi relativi al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal R. a seguito dell’attività calunniosa del G. devono essere esaminati congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica.

La decisione adottata sul punto della Corte di Appello è conforme al diritto, ma la motivazione deve essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

Infatti il Giudice di Appello ha errato nel dichiarare inammissibile perchè tardiva la richiesta di risarcimento del danno esistenziale, in quanto, come hanno chiarito le Sezioni Unite con la sentenza n. 26972 del 2008 “il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate.

In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perchè attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale”. Ed ancora “il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno..”. “La tutela risarcitoria sarà riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall’ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali e cioè purchè sussista il requisito dell’ingiustizia generica secondo l’art. 2043 c.c. E la previsione della tutela penale costituisce sicuro indice della rilevanza dell’interesse leso”. La Corte di Appello ha quindi errato nel ritenere che la richiesta di risarcimento del danno esistenziale fosse una domanda nuova, tardivamente proposta, in quanto il danno subito dal R. a seguito dell’accertamento del reato di calunnia commesso dal G. è danno non patrimoniale di natura unitaria, del quale le tradizionali categorie classificatorie elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza servono unicamente a specificare i vari aspetti in cui esso può concretizzarsi.

Disfatti nella citazione introduttiva del giudizio il R., pur esplicitamente chiedendo il risarcimento del cosiddetto” danno biologico” e “danno morale”, in realtà aveva evidenziato anche profili del danno non patrimoniale che, con semplificazione, e nei limiti di quanto chiarito dalla Sezioni Unite del 2008, possiamo definire “danno esistenziale”, con il riferimento alla situazione di grave disagio in cui si era venuto a trovare a seguito dei comportamenti illeciti del G., che avevano incrinato il suo prestigio sia all’interno del proprio ambiente di lavoro che nei rapporti con gli uffici finanziari.

La Corte di Appello, nel determinare la somma dovuta a titolo di risarcimento del “danno morale” ha in realtà tenuto conto di tutti i profili di danno esposti in citazione e quindi anche di quel profilo di disagio nella vita professionale e di relazione che il R. afferma di aver subito a seguito delle calunnie del G..

Pertanto non vi è stata alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte di Appello, al di là delle improprie classificazioni definitorie usate per risarcire il danno non patrimoniale ha valutato compiutamente il pregiudizio subito dal R. a seguito della lesione del bene onore, conseguente al reato di calunnia.

Il nono motivo di ricorso con cui si deduce la violazione e falsa applicazione .. art. 91 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e la nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) è assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censure accolte e, potendo questa Corte decidere nel merito, deve essere estesa la condanna al risarcimento in via solidale anche il Ministero delle Finanze e dell’Economia ed all’Agenzia delle Entrate di cui il G. era dipendente.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si compensano per la metà in relazione al parziale accoglimento del ricorso incidentale.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale NRG 2114/09 e dichiara inammissibile il ricorso NRG 7297/09. Accoglie il primo e secondo motivo del ricorso incidentale rispetto al ricorso principale NRG 2114/09 e dichiara inefficace il ricorso incidentale relativo al ricorso NRG 7297/09. Cassa in relazione alla censure accolte e, decidendo nel merito, estende la condanna al risarcimento anche al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed all’Agenzia delle Entrate in via solidale, con assorbimento del nono motivo del ricorso incidentale.

Conferma per il resto la sentenza di appello.

Compensa per la metà le spese del giudizio di cassazione e condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Agenzia delle Entrate e G.S.M. al pagamento dell’altra metà, che in tale quota liquida in Euro 2.100,00 di cui 100,00 per spese, oltre iva ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2011

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