Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8303 del 29/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/04/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 29/04/2020), n.8303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1363-2019 R.G. proposto da:

S.Z., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

PAOLO BARTIROMO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELL’INTERNO, in

persona dei rispettivi Ministri pro tempore, PRESIDENZA DEL

CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– resistenti –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di

NAPOLI, depositata il 05/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. RITA

RUSSO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che

chiede che le Sezioni Unite di codesta Corte di Cassazione

respingano il ricorso, affermando la giurisdizione del giudice

tributario.

Fatto

RILEVATO

che:

1.- La ricorrente ha chiesto al Tribunale di Napoli il rimborso del contributo pagato per il rilascio del permesso di soggiorno, non più dovuto a seguito della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 2.9.2015, secondo la quale “la direttiva 20031109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, come modificata dalla direttiva 2011/51/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2011, osta ad una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che impone ai cittadini di paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra EUR 80 e EUR 200, in quanto siffatto contributo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva ed è atto a creare un ostacolo all’esercizio dei diritti conferiti da quest’ultima”. Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, ritenuta la natura tributaria del contributo pagato, con ordinanza resa ex art. 702 bis c.p.c. depositata in data 5 dicembre 2018, e notificata in pari data via PEC, ha dichiarato il difetto di giurisdizione in favore della commissione tributaria.

2.- Avverso la predetta ordinanza la ricorrente propone regolamento di competenza ai sensi dell’art. 43 c.p.c., notificato all’Avvocatura il 3 gennaio 2019 e deduce in via principale che, trattandosi di un ricorso avverso un comportamento discriminatorio, sussisterebbe la competenza funzionale e inderogabile del Tribunale di Napoli. In subordine deduce che non sussiste comunque la giurisdizione del giudice tributario poichè il contributo pagato non ha natura di tributo. Chiede dichiararsi la “competenza esclusiva e funzionale del giudice ordinario e quindi del Tribunale di Napoli”.

3.- L’Avvocatura dello Stato, non costituita tempestivamente, deposita una nota chiedendo di partecipare alla eventuale discussione orale. Assegnato il procedimento alla sesta sezione, il Procuratore generale ha concluso nel senso che la domanda ha per oggetto il rimborso di una eccedenza tributaria e che non può inquadrarsi in una controversia antidiscriminatoria, sicchè chiede che le sezioni unite della Corte di cassazione rigettino il ricorso dichiarando la giurisdizione del giudice tributario. Fissata l’adunanza in camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c., è stata data comunicazione alle parti delle conclusioni scritte del Procuratore generale.

Diritto

RITENUTO

che:

3.- Il ricorso è stato presentato come regolamento di competenza ai sensi dell’art. 43 c.p.c., pur se l’ordinanza resa dal Tribunale di Napoli non è una decisione sulla competenza, poichè il primo giudice ha dichiarato il difetto di giurisdizione in favore della commissione tributaria.

Il provvedimento impugnato non si è pronunciato sulla competenza, e cioè sulla ripartizione del potere giurisdizionale tra giudici ordinari, ma, a monte, sul rapporto tra la giurisdizione ordinaria e quella speciale

tributaria. Il rapporto tra le commissioni tributarie e il giudice ordinario è infatti regolato in termini di appartenenza in via esclusiva alle commissioni tributarie della giurisdizione su “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonchè gli interessi e ogni altro accessorio” (D.Lgs n. 546 del 1992, art. 2). Il giudice tributario è organo speciale di giurisdizione, preesistente alla entrata in vigore della Costituzione, ancorchè oggetto di successiva revisione e riordino normativo (Corte Cost. 144/1998; Corte Cost. n. 64/2008) la cui giurisdizione è “imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto” (Corte Cost. 34/2006; Corte Cost. 130/2008).

Affermare che una determinata pretesa – e la relativa controversia su di essa – ha natura tributaria, significa individuare il criterio del riparto di giurisdizione. La affermazione (o negazione) della competenza in materia di tutela antidiscriminatoria presuppone che il giudice ordinario abbia dapprima risolto positivamente la questione della appartenenza a sè medesimo della giurisdizione; se la giurisdizione, come nel caso di specie, viene declinata in favore di un giudice speciale, non c’è nè vi può essere alcuna pronuncia sulla competenza.

Il Tribunale di Napoli ha escluso che si tratti, nella fattispecie, della denuncia di una condotta discriminatoria, qualificando la domanda in termini di restituzione di tributo non dovuto e quindi controversia soggetta alla giurisdizione tributaria.

Pertanto, di giurisdizione e non di competenza si tratta, e anche il P.G. qualifica la fattispecie come una questione di giurisdizione, chiedendo alle sezioni unite di respingere il ricorso ed affermare la giurisdizione del giudice tributario.

Il ricorso in oggetto difetta dunque dei presupposti di ammissibilità quale regolamento di competenza, ex art. 43 c.p.c., perchè non è impugnabile con il regolamento di competenza la decisione che non attiene alla ripartizione interna della competenza tra i giudici ordinari ma ad una questione di giurisdizione (in arg. con riferimento alla competenza internazionale v. Cass. 19004/2014). Le argomentazioni della ricorrente sulla competenza funzionale ed inderogabile del Tribunale di Napoli sono prive di concreto riferimento alla decisione, poichè muovono dal presupposto che si tratti di una condotta antidiscriminatoria, mentre il Tribunale di Napoli ha escluso in radice che l’azione possa così qualificarsi e quindi non ha esaminato affatto la questione della competenza.

3.1- La parte, tuttavia, seppure in via subordinata, propone anche la questione di giurisdizione, contestando che sussista la giurisdizione del giudice tributario e insistendo nella qualificazione della domanda originaria come azione antidiscriminatoria, il che – come sopra si è detto – mette in discussione la pronuncia sulla giurisdizione e non una (inesistente) pronuncia sulla competenza; ma, anche riguardato sotto questo profilo, e previa riqualificazione, il ricorso è inammissibile.

Il ricorso difetta dei presupposti di ammissibilità quale regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c. perchè la causa è già stata decisa nel merito in primo grado, nè si tratta all’evidenza di una denuncia di conflitto ex art. 362, comma II, dal momento che la parte non ha successivamente adito la commissione tributaria.

Deve quindi rilevarsi che la decisione adottata con ordinanza resa ex art. 702 bis c.p.c., provvedimento decisorio con attitudine ad acquistare autorità di cosa giudicata, può essere appellata entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione, mezzo ordinario di impugnazione che la parte tuttavia ha scartato; ricorrendo direttamente alla Corte di Cassazione avverso la decisione di primo grado sulla giurisdizione, la parte, erroneamente qualificando il ricorso ex art. 43 c.p.c., ha in sostanza proposto un ricorso per saltum, ma in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 360 c.p.c., comma 2 e cioè l’accordo delle parti e i motivi di censura previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La giurisprudenza di questa Corte si è già espressa nel senso che il ricorso per cassazione proposto per saltum avverso che la decisione resa ex art. 702 bis c.p.c., senza accordo delle parti è inammissibile (cfr. Cass. n. 210/2019). In termini ancora più specifici, anche le sezioni unite, sebbene con pronuncia risalente, hanno affermato che il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione contro una sentenza di primo grado è inammissibile quale istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, essendosi verificata la preclusione espressamente prevista dall’art. 41 c.p.c. non può essere preso in esame come ricorso ordinario contro una sentenza appellabile, atteso che il ricorso per saltum è ammesso solo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto se le parti sono d’accordo per omettere l’appello e mai per motivi di giurisdizione (Cass. s.u. 1498/1976).

Deve pertanto concludersi che il regolamento di competenza erroneamente proposto avverso una sentenza di primo grado -ovvero avverso una ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. – che dichiara il difetto di giurisdizione, è inammissibile; se le censure della parte, malgrado l’erronea qualificazione, riguardano la giurisdizione e non la competenza, il mezzo deve essere riqualificato come ricorso per saltum e, difettando i presupposti indicati dall’art. 360 c.p.c., comma II, si deve dichiarare inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione della controparte.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2020

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