Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 83 del 07/01/2020

Cassazione civile sez. I, 07/01/2020, (ud. 24/05/2019, dep. 07/01/2020), n.83

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17288/2018 proposto da:

D.I., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Di Rosa Clementina, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4858/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/05/2019 dal consigliere Dott. VELLA PAOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto dal cittadino senegalese D.I. avverso l’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. con cui il Tribunale di Napoli aveva respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, ritenendo che il narrato fosse poco credibile (il richiedente, pur dichiarando di essere di etnia diola e originario del (OMISSIS), aveva mostrato di non conoscerne la lingua), che la regione del (OMISSIS) fosse “ormai quasi del tutto pacificata” e che il ricorrente non rischiava di essere arruolato, essendo nato nel (OMISSIS).

2. Il giudice d’appello ha rilevato: i) che il richiedente non ha contrastato le dettagliate osservazioni del giudice di primo grado sulla sua effettiva provenienza dal (OMISSIS); ii) che la narrazione confusa e disarticolata (con riferimento al riferito rapimento da parte dei ribelli, alla cui causa aveva aderito per un breve periodo) risulta inverosimile e priva di qualsiasi riscontro che possa consentire un approfondimento istruttorio; iii) che dalle fonti internazionali consultabili, segnatamente dal sito del Ministero degli esteri “(OMISSIS)”, emerge che nel (OMISSIS) gli scontri armati tra forze di sicurezza e ribelli sono ormai saltuari, con conseguente inattualità dei pericoli denunziati; iv) che il ricorrente non ha allegato alcuna circostanza concreta a lui direttamente riferibile per la concessione della tutela internazionale; v) che “alcunchè consente di riconoscere, infine, la protezione umanitaria”.

3. Avverso detta decisione il ricorrente ha proposto quattro motivi di ricorso per cassazione. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo – rubricato “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, commi 10 e 11, come modificato dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13” – si deduce la “illegittimità della mancata fissazione dell’udienza di comparizione da parte del Tribunale di Napoli, nonostante la formale istanza, l’assenza della videooregistrazione (…) e la sussistenza dei requisiti ex lege”.

4.1. La censura è inammissibile perchè generica e priva di autosufficienza, non avendo il ricorrente nemmeno dedotto di aver sollevato la questione nell’atto di appello – senza che ciò risulta in alcun modo dal provvedimento impugnato – dovendo escludersi la sindacabilità in questa sede di una simile contestazione mossa in relazione al giudizio di primo grado (cfr. Cass. 12215/2019).

5. Con il secondo mezzo si lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3,5,6,7,8 e 14 ovvero delle norme in materia di status di rifugiato e protezione sussidiaria”, per avere “il Tribunale di Napoli sopravvalutato alcune piccole imprecisioni nel racconto su aspetti di rilievo secondario, nel complesso invece plausibile e coerente” mentre avrebbe dovuto invece riconoscere adeguata tutela, sia per il timore di subire minacce e violenze per ragioni discriminatorie, sia tenuto conto della drammatica situazione del paese d’origine.

5.1. Il motivo è inammissibile poichè, contrariamente alla sua rubricazione, concerne il merito della decisione.

5.2. Invero, questa Corte ha già evidenziato che il profilo della non credibilità del racconto del ricorrente (e della sua conseguente inattendibilità) integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – chiamato a valutare se le dichiarazioni dello straniero siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), e quindi censurabile in cassazione solo nei ristretti limiti del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel caso di specie non rispettati) ovvero come mancanza assoluta della motivazione perchè inesistente, apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile (qui non dedotta), restando esclusa sia la rilevanza della sua pretesa insufficienza, sia l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura o interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi appunto di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019, in un caso analogo in cui era stata dedotta genericamente la violazione di norme di legge, con riguardo alla credibilità del richiedente, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal tribunale).

6. Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sull’assunto che “la documentazione prodotta sulla situazione socio-politica del Paese d’origine” e “la peculiare condizione di vulnerabilità dovuta ala giovane età, alle tensioni sociali di natura politica ed etnica, all’avvenuta integrazione nel tessuto socio-culturale, varrebbero da sole a configurare quantomeno i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”.

6.1. La censura e generica e mancante di autosufficienza con riguardo alla documentazione prodotta e agli altri aspetti elencati.

7. Il quarto mezzo lamenta “omesso esame di un fatto storico contraddittorietà e illogicità”, per avere la Corte d’appello “valutato negativamente le ragioni del richiedente sulla scorta di un ragionamento censurabile in termini di illogicità e contraddittorietà, apodittico e foriero di errori”, con una “valutazione superficiale, inadeguata ed incoerente, omettendo il dovuto approfondimento della specifica vicenda personale del ricorrente”.

7.1. Il motivo è inammissibile poichè veicola una censura motivazionale senza rispettare i nuovi canoni prescritti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (come riformulato ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis) che ha ristretto tale vizio all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, onerando a tal fine il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”; esula dunque da tale paradigma, di per sè, l’omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico previamente individuato secondo i descritti canoni risulti preso in considerazione dal giudice, sebbene la decisione non dia conto espressamente di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, 8053/2014; conf. ex multis Cass. 27415/2018).

8. Segue l’inammissibilità del ricorso, senza statuizione sule spese in mancanza di difese della parte intimata.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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