Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8294 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 24/03/2021), n.8294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4200-2017 proposto da:

BENI STABILI SOCIETA’ DI INVESTIMENTO IMMOBILIARE QUOTATA SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 14, presso lo

studio dell’avvocato ROSAMARIA NICASTRO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ENRICO PAULETTI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè da:

FONDO PENSIONI PER IL PERSONALE DELLA BANCA COMMERCIALE ITALIANA IN

LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA SCROFA

57, presso lo studio dell’avvocato ZOPPINI GIANCARLO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati RUSSO CORVACE

GIUSEPPE, PIZZONIA GIUSEPPE;

– ricorrente successivo –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

al ricorso successivo – avverso la sentenza n. 3910/2016 della COMM.

TRIB. REG. di MILANO, depositata il 04/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2020 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. MASTROBERNARDINO PAOLA che ha

chiesto che i ricorsi siano respinti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 3910/2016, depositata il 4 luglio 2016, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate e, in integrale riforma della pronuncia di prime cure, ha rigettato i ricorsi introduttivi dei giudizi proposti da Beni Stabili SIIQ S.p.a., e da Fondo Pensioni per il personale della Banca Commerciale Italiana, avverso avvisi di liquidazione, – e, quanto a Beni Stabili SIIQ S.p.a., anche avverso il silenzio rifiuto formatosi su istanza di rimborso, – con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva determinato gli interessi moratori spettanti in relazione all’importo, – versato dai contribuenti a titolo provvisorio in esito alla pronuncia di primo grado, – portato da un avviso di liquidazione che, peraltro, era stato annullato dalla pronuncia resa in grado di appello;

– il giudice del gravame ha ritenuto che:

– solo l’Agenzia delle Entrate era parte del processo tributario, così che irrilevante rimaneva che, – seppur notificatogli il ricorso introduttivo del giudizio, – il Ministero dell’Economia e delle Finanze non avesse spiegato appello avverso la decisione di prime cure;

– quest’ultima, – avendo affermato che “Nel caso de quo, si tratta dello stesso tributo. L’Ufficio riscuote i suoi interessi al 3,5% su un tributo e poi questo stesso tributo con gli stessi interessi li deve restituire” e che, pertanto, ai contribuenti competeva il rimborso degli “interessi già corrisposti”, laddove “Per gli interessi maturati successivamente si potrebbe anche discutere”, – era incorsa in un travisamento dei fatti tra le parti in contestazione, – la lite contestata avendo, difatti, riguardo alla “separata liquidazione degli ulteriori interessi per ritardato rimborso di imposte (e relativi interessi), interessi successivi dalla data del versamento ((OMISSIS)) alla data del disposto rimborso ((OMISSIS))”, – così che non sussisteva quella “condizione di “mancato sinallagma” tra gli interessi” qual in sostanza rilevata dalla gravata sentenza;

– sulle somme spettanti ai contribuenti a titolo di rimborso delle imposte versate erano stati correttamente computati gli interessi moratori, posto che i dati normativi (L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 150; D.M. 21 maggio 2009; D.L. n. 557 del 1993, art. 13, conv. in L. n. 133 del 1994), rendevano esplicita la legittimità di una differenziazione, nella misura degli interessi, in ragione non solo “delle differenze tra tributo e tributo, ma anche, per la medesima imposta o tassa, in ragione della differenza tra la situazione creditoria e quella debitoria dell’Erario”;

– una siffatta differenziazione rendeva, poi, manifestamente infondata la censura di illegittimità costituzionale della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 150, sollevata con riferimento all’art. 3 Cost., in quanto “Le due situazioni di Erario creditore di imposta dovuta e non pagata con relativo coefficiente soggettivo da parte del contribuente inadempiente e interesse statale al puntuale adempimento degli obblighi tributari scoraggiando la mora – e di Erario debitore del ritardato rimborso di imposte erroneamente percepite, non sono affatto situazioni uguali e speculari da regolare necessariamente in modo identico.”;

2. -Beni Stabili SIIQ S.p.a., e Fondo Pensioni per il personale della Banca Commerciale Italiana, ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, illustrati con memorie;

– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorsi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – deve premettersi che, in ragione del principio di unità dell’impugnazione, – alla cui stregua l’impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell’unico processo nel quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, tutte le eventuali impugnazioni successive della stessa sentenza, le quali, pertanto, hanno sempre carattere incidentale, – il ricorso per cassazione proposto in via autonoma dalla parte che abbia già ricevuto la notifica del ricorso proposto da altra parte avverso la medesima sentenza, purchè notificato (così come nella fattispecie) nei termini previsti dal combinato disposto di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1, e art. 371 c.p.c., comma 1, si converte in ricorso incidentale (cfr. Cass. Sez. U., 25 giugno 2002, n. 9232 cui adde Cass., 26 novembre 2019, n. 30775; Cass. Sez. U., 20 marzo 2017, n. 7074; Cass., 18 luglio 2014, n. 16501; Cass., 30 dicembre 2009, n. 27887; Cass., 22 ottobre 2004, n. 20593; Cass. Sez. U., 25 novembre 2003, n. 17981; v. altresì, Cass., 16 gennaio 2019, n. 890; Cass., 28 marzo 2018, n. 7640; Cass., 29 aprile 1999, n. 4320; Cass., 19 luglio 1995, n. 7822; Cass., 1 dicembre 1994, n. 10284; Cass. Sez. U., 4 dicembre 1992, n. 12942);

2. – i ricorrenti hanno svolto tre motivi di ricorso, di identico tenore e contenuto, deducendo:

2.1 – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della gravata sentenza, e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, nonchè degli artt. 100 e 324 c.p.c., sull’assunto che, – essendo stato il Ministero dell’Economia e delle Finanze parte del giudizio di primo grado, quale soggetto che aveva emesso l’atto impugnato, – in difetto di gravame avverso la pronuncia di annullamento di prime cure, avrebbe dovuto ritenersi formato il giudicato interno nei confronti del Ministero, con conseguente inammissibilità (per difetto di interesse) del gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate;

2.2 – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., sull’assunto che il decisum della gravata sentenza si fondava su di un travisamento dei fatti posti a fondamento della domanda e, dunque, su di un’erronea lettura, ed interpretazione, della relativa causa petendi, questa articolata sulla disparità di trattamento conseguente, – quanto agli impugnati rimborsi, – alla diversa misura degli interessi prevista per il ritardato adempimento (hinc et inde) dell’Erario e, rispettivamente, del contribuente, laddove il giudice del gravame, – nel rilevare l’insussistenza di una “condizione di “mancato sinallagma” tra gli interessi” corrisposti (in esito all’avviso di liquidazione delle imposte di registro ed ipocatastali) e quelli riconosciuti (per il rimborso di quanto versato per detto avviso di liquidazione), – aveva fondato il titolo della domanda “nella esistenza di una illegittima sperequazione tra il tasso di interesse applicato dall’Agenzia con l’avviso di liquidazione… ed il tasso di interesse applicato sugli importi rimborsati”;

2.3 – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 150, al D.M. 21 maggio 2009, artt. 1 e 6, al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, sul rilievo che la disposizione di cui al cit. art. 1, comma 150, deve essere interpretata (in termini costituzionalmente orientati) nel senso che la prevista differenziazione della misura degli interessi può essere riferita (solo) all’articolazione tipologica dei tributi, – ovvero anche a quella dei rimborsi in ragione di errori del contribuente, – ma non anche alle posizioni sostanziali delle parti del rapporto tributario, qui dovendosi predicare, – nella lettura della disposizione normativa e, dunque, con conseguente disapplicazione dell’atto regolamentare illegittimo (D.M. 21 maggio 2009), – una perfetta simmetria quanto alla misura degli interessi da ritardato adempimento gravanti sulle parti del rapporto, in difetto della quale simmetria emergerebbe l’illegittimità costituzionale della disposizione normativa avuto riguardo ai parametri offerti dagli artt. 3 e 97 Cost.;

3. – il primo motivo è destituito di fondamento;

3.1 – tanto la gravata sentenza quanto la stessa pronuncia resa nel primo grado del giudizio, – nel riferire dei rimborsi in contestazione, hanno imputato all’Agenzia delle Entrate i relativi atti determinativi e, per come correttamente rileva la pronuncia del giudice del gravame, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, – seppur evocato in giudizio, non poteva ritenersi parte processuale, avuto riguardo ad un giudizio di tipo impugnatorio (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19), e, in relazione agli atti riconducibili a tributi erariali, alla titolarità dei relativi poteri (cui la legitimatio ad processum fa da contraltare) che, per l’appunto, fanno capo a detta Agenzia (D.Lgs. n. 300 del 1999, artt. 57 e 62);

– come, difatti, rilevato dalle Sezioni Unite della Corte, la legitimatio ad causam, e ad processum, dell’Agenzia costituiscono “il riflesso, sul piano processuale, della separazione tra la titolarità dell’obbligazione tributaria, tuttora riservata allo Stato, e l’esercizio dei poteri statali in materia d’imposizione fiscale, il cui trasferimento all’Agenzia, previsto dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, esula dallo schema del rapporto organico, non essendo l’Agenzia un organo dello Stato, sia pure dotato di personalità giuridica, ma un distinto soggetto di diritto” (così Cass. Sez. U., 14 febbraio 2006, n. 3116);

– nella fattispecie, pertanto, la legittimazione ad impugnare la sentenza di primo grado si correlava (solo) all’Agenzia delle Entrate, esclusa ogni titolarità del relativo potere in capo al Ministero (v., ex plurimis, Cass., 26 febbraio 2019, n. 5556);

4. – del pari manifestamente infondato è il secondo motivo;

4.1 – le censure in questione confliggono, – oltrechè con lo stesso contenuto del terzo motivo di ricorso che, come anticipato, è (correttamente) articolato in termini di violazione di legge e, dunque, sulla denuncia di un’erronea sussunzione della fattispecie nell’ambito delle prescrizioni normative poste dalla disciplina legislativa dei rimborsi, – con l’inequivoco dictum della pronuncia di appello che ha chiaramente (ed espressamente) dato conto dei contenuti della sentenza di prime cure ravvisandovi un travisamento della fattispecie controversa che, – diversamente da quanto in quella sede rilevato, quanto al diritto del contribuente al rimborso degli “interessi già corrisposti”, – aveva riguardo alla “separata liquidazione degli ulteriori interessi per ritardato rimborso di imposte (e relativi interessi), interessi successivi dalla data del versamento ((OMISSIS)) alla data del disposto rimborso ((OMISSIS))”, così che non sussisteva quella “condizione di “mancato sinallagma” tra gli interessi” qual in sostanza rilevata dalla gravata sentenza;

– rilievi, questi, che il giudice del gravame ha svolto avendo riguardo, da un lato, agli argomenti che, nello specifico, il giudice di primo grado aveva posto a fondamento dell’accoglimento dei ricorsi e, dall’altro, alle deduzioni ed allegazioni svolte dalle parti in ordine al thema decidendum della lite, ai fini della relativa ricostruzione fattuale, – qual rilevante, nella fattispecie, a fronte dell’erronea ricostruzione operata (sul punto) dal giudice del primo grado di giudizio, (legittimamente) utilizzando gli stessi dati desunti dal contenuto degli atti impugnati (“La semplice disamina dell’avviso di liquidazione (OMISSIS) (prodotto da tutte le parti in primo grado), in realtà, consente di verificare immediatamente…”);

5. – anche il terzo motivo è destituito di fondamento, e va senz’altro disatteso;

5.1 – la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 150 (come modificato dal D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 octies, conv. in L. 12 luglio 2011, n. 106), ha disposto nei seguenti termini: “Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, emanato ai sensi della L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 13, comma 1, sono stabilite le misure, anche differenziate, degli interessi per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo, anche in ipotesi diverse da quelle previste dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, nei limiti di un punto percentuale di differenza rispetto al tasso di interesse fissato ai sensi dell’art. 1284 c.c., salva la determinazione degli interessi di mora ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 30, e successive modificazioni”;

– il D.M. 21 maggio 2009, ha, quindi, dato attuazione a dette disposizioni normative prevedendo che:

– “Gli interessi per i rimborsi delle somme non dovute per tasse e imposte indirette sugli affari, previsti dalla L. 26 gennaio 1961, n. 29, artt. 1 e 5, sono dovuti nella misura dell’1 per cento per ogni semestre compiuto, a decorrere dal 1 gennaio 2010” (art. 1, comma 4);

– “A decorrere dal 1 gennaio 2010 sono stabiliti al tasso del 3,5 per cento annuo gli interessi relativi alle somme dovute a seguito di:

b) pagamento dell’imposta di registro, di donazione, ipotecaria e catastale entro i termini previsti dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 54, comma 5, e art. 55, comma 1;” (art. 6, comma 2, lett. b));

5.2 – come correttamente rilevato dal giudice del gravame, la disposta disarticolazione della misura degli interessi, – con riferimento agli interessi moratori gravanti sulle somme dovute all’Erario (L. 26 gennaio 1961, n. 29, art. 1; v., altresì, il D.M. 27 giugno 2003, quanto alla misura semestrale dell’1,375 per cento) ed a quelli spettanti al contribuente per i rimborsi di somme non dovute (D.M. 21 maggio 2009, art. 1, comma 4), – trova il suo fondamento nel sopra riportato disposto normativo che, nel rinviare ad un decreto ministeriale di attuazione, ha previsto la possibilità di stabilire “misure, anche differenziate, degli interessi per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo”, ove, dunque, è esplicito che la differenziazione in discorso si correla, – non solo all’articolazione tipologica dell’imposizione (“di ogni tributo”), ma anche, – alle distinte fattispecie del (tardivo) versamento, della riscossione e del rimborso d’imposta; fattispecie queste che, peraltro, rispondono a distinte esigenze a vario titolo correlate all’adempimento dell’obbligazione tributaria, ed ai mezzi impiegati per il suo coattivo soddisfacimento, a fini di copertura delle spese pubbliche (v., ancora, il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159, art. 13, comma 1, quanto alla determinazione del “tasso di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo… possibilmente in una misura unica, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica”);

5.3 – in disparte, ora, che la differenziazione della misura degli interessi si correla, quanto all’imposta di registro, anche al relativo presupposto impositivo, – così che la loro maggior misura (del 3,5%) consegue da omissioni o infedeltà dichiarative del contribuente (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, comma 5, e art. 55, comma 1), a fronte del minor rigore riservato al semplice ritardo nel versamento (L. n. 29 del 1961, art. 1), – la Corte ha già avuto modo di rilevare la specialità della disciplina degli interessi moratori nell’obbligazione tributaria, responsabilità da ritardo, questa, regolata da norme speciali che, – giustificate dalla particolare natura del credito, dalla qualità dei soggetti e dei presupposti del rapporto, – prevalgono sulla disciplina di diritto comune delle obbligazioni (Cass. Sez. U., 31 luglio 2007, n. 16871 cui adde Cass., 28 giugno 2017, n. 16087; Cass., 20 aprile 2016, 7803; Cass., 30 dicembre 2010, n. 26403);

– anche il Giudice delle Leggi ha rimarcato una siffatta specialità, statuendo che, – salvo il limite dell’irragionevolezza della disciplina speciale (v. Corte Cost., 28 ottobre 2011, n. 281), – “non è configurabile una piena equiparazione fra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie, per la particolarità dei fini e dei presupposti di queste ultime (sentenza n. 291 del 1997), che si giustificano con la “garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (sentenza n. 281 del 2011), cui è volto il credito tributario” (così Corte Cost., 8 luglio 2020, n. 142); e che la disciplina degli interessi per il rimborso di imposte pagate, data la speciale natura del credito cui si riferiscono nonchè la particolarità dei soggetti e dei suoi presupposti, è diversa da quella civilistica e lavoristica sicchè la disciplina rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore (v. Corte Cost., 20 maggio 1996, n. 157; Corte Cost., 3 marzo 1989, n. 93; Corte Cost., 10 marzo 1988, n. 288);

– le ragioni sin qui esposte danno conto, pertanto, anche della manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dai ricorrenti;

6. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza delle parti ricorrenti nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento in solido, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 13.000,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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