Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8291 del 07/04/2010

Cassazione civile sez. I, 07/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 07/04/2010), n.8291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato

DE MARTINO MAURO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

e contro

QUESTURA DI MILANO;

– intimata –

avverso il decreto n. R.G. 479/08 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

28/11/08, depositato l’11/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte d’appello di Milano, con decreto dell’11 dicembre 2008, rigettava il reclamo proposto da D.C. avverso il decreto del Tribunale di Milano, di rigetto del ricorso avverso il provvedimento del Questore di Milano, in data 21.5.2007, di revoca del permesso di soggiorno rilasciatole il 30.1.2006, a seguito di matrimonio con un cittadino italiano. Per quanto interessa in questa sede, la Corte territoriale riteneva che incombesse sulla D. l’onere di provare la convivenza con il marito, prova che escludeva fosse stata offerta.

Per la cassazione di detto provvedimento ha proposto ricorso D. C., affidato a due motivi; ha resistito con controricorso il Ministero dell’interno; non ha svolto attività difensiva il Questore di Milano.

OSSERVA:

1.- La ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 19 e 30, L. n. 241 del 1990, art. 7, artt. 29 e 31 Cost.) (art. 360 c.p.c., n. 3); con il secondo motivo, denuncia motivazione illogica e contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 5).

Nonostante la preliminare, distinta indicazione di detti due mezzi, gli stessi sono poi trattati in modo indifferenziato. La ricorrente deduce, in sintesi che la Corte d’appello avrebbe esaminato le testimonianze “ricercando pervicacemente elementi di non coincidenza tra le stesse”, senza tenere conto della deposizione del marito in ordine alla attualità della convivenza e senza tenere conto dell’esito positivo dell’accertamento disposto dal giudice, nel corso del quale era stata rinvenuta in casa essa ricorrente, non il marito, che era al lavoro.

A suo avviso, ella avrebbe assolto l’onere della prova in ordine alai convivenza e, quindi, “sussiste, a cascata, la violazione” degli D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 19 e 30 e degli artt. 29 e 31 Cost..

Infine, “si contesta l’omesso avviso alla ricorrente dell’avviso di avvio di procedimento”.

2.- Il motivo avente ad oggetto la denuncia del vizio di violazione di legge è manifestamente inammissibile, poichè manca del tutto del quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.. Detta norma è, infatti, qui applicabile ratione temporis, in quanto è stata abrogata dalla della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), ma l’art. 58, comma 5, di tale legge dispone che “Le disposizioni di cui all’art. 47, si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge” con i limiti di applicabilità previsti dalle disposizioni transitorie di cui all’art. 58 della citata legge.

Pertanto, a conforto della ritenuta manifesta inammissibilità del mezzo, è sufficiente ricordare che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, anche a Sezioni Unite, il quesito di diritto neppure essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice (Cass. S.U. n. 20360 del 2007; Cass. n. 16941 del 2008).

Parimenti inammissibile è il mezzo che denuncia un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Al riguardo, va ribadito che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si configura poi solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, non potendo detto vizio consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (per tutte, Cass. n. 15264 del 2007; n. 13242 del 2007; n. 2272 del 2007), diversamente risolvendosi il relativo motivo in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito, al quale neppure può imputarsi d’avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi (Cass. n. 15096 del 2005; n. 996 del 2003; n. 3904 del 2000).

Inoltre, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, qualora il ricorrente denuncia in questa in sede l’omessa o illogica valutazione di un documento ovvero di una prova testimoniale, il vizio di motivazione può ritenersi sussistente soltanto nel caso di totale obliterazione del documento o di elementi deducibili dal documento, oppure dalla deposizione, che si palesino idonei a condurre – secondo una valutazione che questa Corte esprime sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza – ad una decisione diversa da quella adottata dal giudice di merito. Nella denuncia di questo vizio, il ricorrente ha dunque l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riprodurre il tenore esatto del documento, ovvero della prova testimoniale, il cui omesso esame è denunciato, riportandone il contenuto nella sua integrità, in modo da permettere siffatta valutazione di decisività, essendo insufficienti i richiami per relationem agli atti della precedente fase del giudizio, inammissibili in sede di legittimità (Cass. n. 13619 del 2007; n. 14973 e n. 4405 del 2006; n. 10598 del 2005).

Nella specie, la ricorrente, in violazione di detti principi, da un canto, si duole dell’incompleta, illogica ed incongrua valutazione delle deposizioni testimoniali, senza riprodurle affatto; dall’altro, non evidenza incongruenze ed illogicità, ma svolge argomenti che, in buona sostanza, si risolvono nel contrapporre il proprio apprezzamento a quello svolto dal giudice del merito.

Per completezza, va osservato che la Corte territoriale ha anzitutto correttamente richiamato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale l’onere della prova del presupposto della convivenza – la quale, nel sistema del d.lgs. cit. – non è presumibile in base all’esistenza del mero matrimonio, nè è rilevabile dalle mere risultanze anagrafiche – grava sullo straniero (cfr. la già cit. Cass. n. 23598 del 2006; n. 2539 e n. 26277 del 2005).

Inoltre, ha sintetizzato le risultanze della prova testimoniale e degli accertamenti svolti dai Carabinieri e dalla Polizia di Stato, per sottolineare che dalla prima risultava una convivenza limitata ai primi mesi del matrimonio, dal primo accertamento non emergevano elementi nel senso della convivenza e dal secondo non si evincevano elementi a conforto della tesi dell’istante, chiarendo le ragioni della mancata significatività del medesimo, così svolgendo una motivazione sufficiente ed immune da vizi logici.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

2. – Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione resistente delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2010

 

 

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