Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 829 del 19/01/2021

Cassazione civile sez. III, 19/01/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 19/01/2021), n.829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30221-2019 proposto da:

M.Q., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA APOLLODORO

26, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FILARDI, rappresentato

difeso dall’avvocato ANTONELLA ZOTTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1428/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.Q., cittadino del (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza dedusse di essere fuggito dal (OMISSIS) perchè temeva di essere ucciso dai ribelli talebani per essersi rifiutato di aiutarli ad entrare nella base militare dove lavorava.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza. Avverso tale provvedimento propose opposizione ex art. 702 bis c.p.c. dinanzi al Tribunale di Napoli, che ha rigettato il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) il richiedente asilo non credibile;

b) infondata la domanda di protezione internazionale perchè il richiedente asilo non aveva dedotto a sostegno di essa alcun fatto di persecuzione;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria perchè nella regione di provenienza del richiedente asilo non era in atto un conflitto armato;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria poichè l’istante non aveva nè allegato, nè provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sè dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

3.1. La Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 1428 del 13 marzo 2019 ha confermato la decisione del Tribunale.

4. Avverso tale pronuncia M.Q. ricorre per cassazione con 4 motivi. Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia erronea applicazione e/o errata interpretazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Il giudice del merito avrebbe errato nel negare la protezione sussidiaria perchè non avrebbe valutato correttamente la situazione politica del (OMISSIS) e conseguentemente la posizione del ricorrente che nel caso di rientro correrebbe il grave rischio di essere ucciso dai ribelli e/o di finire in carcere, con lo stesso rischio di essere ucciso, come dimostrato dalla documentazione depositata.

Il motivo è infondato.

Nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria o fficiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente.

Nel caso di specie correttamente il giudice del merito ha utilizzato Coi dal 2014 aggiornate agli anni successivi fino al 2018. Pertanto conforme a diritto risulta la pronuncia impugnata sotto il profilo del dovere di cooperazione del giudice, volta che la storia del Paese viene puntualmente ricostruita per oltre tre pagine (cfr. sentenza impugnata pag. 3, 4 e 5).

Anche la valutazione di (non) credibilità del ricorrente appare, difatti, rispettosa tout court dei criteri che questo stesso collegio ha specificamente ed analiticamente indicato con la pronuncia n. 8819/2020 essendo stata puntualmente condotta alla luce della necessaria disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo.

L’analisi, analitica e approfondita, di tutti gli elementi del racconto compiuta dal giudice di merito ne sottraggono la relativa motivazione alle censure mosse da parte ricorrente.

5.2 Con il secondo, motivo lamenta erronea applicazione e/o errata interpretazione del D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 5, comma 6. Avrebbe errato il giudice di merito perchè non ha riconosciuto la protezione umanitaria applicabile a coloro la cui vita ed incolumità personale, come quella dell’istante, sia minacciata in caso di rientro in patria. Nel caso di rimpatrio nel proprio paese di origine il ricorrente si troverebbe in una situazione di particolare vulnerabilità correndo il serio rischio di vedere violati i più basilari diritti umani.

Il motivo è infondato.

Il giudice del merito ha effettuato, escludendola, la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. pag. 5 sentenza impugnata). Così come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte. Il giudice del merito ha infatti affermato che il ricorrente ha lasciato nel suo paese i fratelli e la madre, in particolare il fratello anche lui impiegato presso la predetta caserma, dai quali potrebbe avere aiuto per il reinserimento. Non ha nemmeno allegato specifici motivi per i quali avrebbe abbandonato il posto di lavoro invece di ricorrere alle tutele offertagli dai militari. Inoltre non ha dimostrato nessuna integrazione effettiva in Italia in mancanza di prova di qualsiasi attività lavorativa.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 132 c.p.c., per mancanza ovvero apparenza della motivazione – nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,132 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè art. 111 Cost., comma 6 – violazione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza art. 3 Cost..

Lamenta il ricorrente che la corte d’appello avrebbe fondato la valutazione su una motivazione per un verso apparente e per l’altro verso attraverso il meccanismo della relazione, in astratto legittimamente adottabile ma in concreto del tutto priva di riferimenti idonei a comprendere le ragioni della condivisione della motivazione del tribunale e quindi della commissione territoriale.

5.4. Con il quarto motivo il ricorrentlsi duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo.

La Corte di Appello di Napoli avrebbe omesso di considerare, anche se è depositato in atti, un fatto decisivo per l’accoglimento della domanda e che il ricorrente si è perfettamente integrato in Italia e svolge da tempo regolare lavoro ed in più è affetto da malattia come da certificazione medica che è stata allegata.

I motivi, congiuntamente esaminati, sono inammissibili in quanto apodittici e non specifici.

Il vizio della sentenza dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

6. Infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

 

 

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