Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 829 del 16/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 829 Anno 2014
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: COSENTINO ANTONELLO

ORDINANZA
sul ricorso 26961-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente contro
GRUPPO IBIS SPA IN LIQUIDAZIONE,
GRUPPO IBIS SRL IN LIQUIDAZIONE,
ANGIOLINI MARCO ANGELO in qualità di legale rappresentante
delle Società Gruppo Ibis SpA e Gruppo Ibis Srl in Liquidazione;

intimati

avverso la sentenza n. 122/24/2010 della Commissione Tributaria
Regionale di MILANO dell’11.5.2010, depositata il 17/09/2010;

Data pubblicazione: 16/01/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO
COSENTINO.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ENNIO

rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:
«L’Agenzia delle entrate ricorre contro le società Gruppo Ibis in liquidazione spa per la
cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia,
confermando la sentenza di primo grado, ha annullato un avviso di accertamento IVA 2002
con cui l’Ufficio aveva negato la detraibilità dell’Iva versata dalla società contribuente sul
canone di locazione di un immobile ad uso abitativo, concesso in comodato a un dipendente
della società. L’Ufficio aveva negato la sussistenza del requisito dell’inerenza, negando che
l’immobile fosse strumentale all’attività di impresa in quanto accatastato con categoria A/7 e
goduto da un dipendente. La Commissione Tributaria Regionale ha invece ritenuto che
l’utilizzo dell’immobile fosse strettamente collegato con l’attività di controllo permanente del
complesso industriale di cui esso costituiva un accessorio.
Il ricorso dell’Agenzia delle entrate sia articola su due motivi riferiti, rispettivamente, al vizio
di violazione e falsa applicazione di legge (articoli 19 e 19 bis, primo comma, d.p.r. 633/72 e
2697 cc) e al vizio di insufficiente motivazione sul fatto decisivo e controverso della
destinazione di un immobile accatastato in A/7 al servizio di custodia di un complesso
industriale.
I due motivi, che per la loro intima connessione possono essere trattati congiuntamente,
appaiono infondati.
La difesa erariale in sostanza censura la sentenza gravata per aver ritenuto che l’immobile in
questione fosse destinato al servizio di portineria e custodia del complesso industriale della
società senza adeguatamente motivare in ordine alla circostanza che il medesimo fosse
accatastato come villino.
La censura non sembra cogliere nel segno perché la parte motiva della sentenza gravata dà
espressamente conto dell’accatastamento dell’immobile in questione (vedi pagina 2 rigo 2 della
sentenza) e del fatto che il medesimo era goduto da un dipendente della società (vedi pagina 2
rigo 9 della sentenza), ma perviene egualmente alla conclusione che l’utilizzo dell’immobile
fosse “strettamente collegato con l’attività di controllo permanente dell’intero complesso”,
apprezzando tale attività come “esercitata nell’interesse esclusivo della società proprietaria e
non, sia pure parzialmente, nell’interesse del dipendente”.

Tale apprezzamento di fatto non risulta inficiato da vizi logici (non sussistendo una
incompatibilità astratta tra la destinazione di un immobile all’attività di portineria e custodia di
Ric. 2011 n. 26961 sez. MT – ud. 27-11-2013
-2-

ATTILIO SEPE.

un complesso industriale e l’accatastamento dell’immobile stesso in categoria A/7) e, d’altra
parte, l’ufficio non indica alcun altro fatto, dedotto in sede di merito e trascurato dalla sentenza
gravata, la cui adeguata valutazione avrebbe orientato diversamente l’apprezzamento in fatto
del giudice di merito.
Non appare sussistere quindi dedotto vizio motivazionale e, conseguentemente, nemmeno il
dedotto vizio di violazione di legge.

che la società intimata non si è costituita;
che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alla parte
ricorrente;
che non sono state depositate memorie difensive.
Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio,
condivide le conclusioni del relatore;
che pertanto il ricorso va rigettato;
che non vi è luogo a regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non
essendosi l’ intimata costituita.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 27 novembre 2013.

Si propone il rigetto del ricorso. »;

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