Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8288 del 30/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 30/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.30/03/2017),  n. 8288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26514/2015 proposto da:

Avv. P.D., difensore di se stesso, domiciliato in Roma

presso la Corte Suprema di Cassazione;

– ricorrente –

contro

M.R., S.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 805/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Ritenuto che:

– il Tribunale di Monza, con sentenza del 29 settembre 2008, ha condannato M.R. e S.A. al pagamento dei compensi dovuti all’avv. P.D. per le prestazioni svolte nel loro interesse applicando i minimi tariffari:

– il tribunale ha inoltre confermato l’ordinanza di cancellazione delle espressioni offensive contenute nell’atto di citazione, condannando l’avvocato P. a corrispondere alla S., a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 500,00, compensando integralmente tra le parti le spese di lite;

– la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata in data 19 febbraio 2015, ha respinto il gravame del professionista;

– per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorre l’avv. P. sulla base di quattro motivi;

– M. e S. non hanno svolto attività difensive;

Considerato che:

– il prime motivo di ricorso (col quale si deduce il vizio di ultrapetizione e dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, per la violazione di norme di diritto in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c., e in relazione all’art. 1453 c.c. e ss., e all’art. 91 c.p.c.) appare manifestamente infondato in quanto, come emerge dalla pronuncia impugnata, M. e S. avevano contestato la pretesa del difensore, analizzando l’attività svolta e evidenziando un comportamento negligente da parte del professionista;

– il secondo motivo di ricorso (col quale si deduce il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione di norme di diritto tariffario D.M. n. 127 del 2004) appare inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, poichè il ricorso, nel censurarne la complessiva quantificazione operata del giudice di merito, non ha indicato le singole voci della tariffa, per diritti ed onorari, risultanti nella nota spese, in ordine alle quali quel giudice sarebbe incorso in errore (Cass. 2 ottobre 2014, n. 20808, Rv. 632497). Riguardo alla maggiorazione del compenso ai sensi del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 5, comma 4, inoltre, la disposizione prevede una mera facoltà rientrante nel potere discrezionale del giudice, il cui mancato esercizio non è denunciabile in sede di legittimità, se motivato (Cass. 21 luglio 2011, n. 16040, Rv. 619695). Nel caso di specie la corte d’appello ha condiviso il ragionamento del giudice di primo grado che ha ritenuto di non riconoscere tale incremento di ragione della mancanza di diligenza dell’avvocato, riguardando la successiva transazione curata da altro difensore subentrato nel giudizio – la domanda giudiziale svolta dall’avvocato nell’interesse dei suoi clienti sulla base di un’azione per lesione che risultava carente nella prospettazione dei suoi tipici presupposti fattuali;

– il terzo motivo di ricorso (col quale si deduce il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 2043 c.c., – art 595 c.p., in ordine alla mancata cancellazione delle espressioni sconvenienti e offensive e alla diffamazione) appare inammissibile in quanto riguardante direttamente valutazioni di merito, non censurabili in sede di legittimità.

– il quarto motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione di legge relativa al riparto delle spese legali, vizio art. 360, n. 3, violazione art. 92 c.p.c., comma 2, sulla compensazione delle spese in assenza di gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione) appare manifestamente infondato in quanto la corte d’appello, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, ha specificato che in ordine alle spese di primo grado sussistono sia la soccombenza parzialmente reciproca sia le gravi ed eccezionali ragioni – avendo riguardo al comportamento tenuto dall’avvocato (specificamente indicato: richieste di compensi per attività non prestate, diserzione di più udienze, condotta difensiva meritevole di censura) – mentre per il secondo grado vi è stata l’integrale soccombenza dell’appellante;

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere respinto senza alcuna pronuncia sulle spese in considerazione della mancanza di attività difensiva da parte degli intimati;

considerato infine che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2017

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