Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8287 del 30/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 30/03/2017, (ud. 10/03/2017, dep.30/03/2017),  n. 8287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al nr 28539-2015 proposto da:

T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLA

RICCIOTTI 11, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO IMPROTA,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIACOMO CARINI, ALFREDO DE

FEO;

– ricorrente –

contro

M.M., PUBBLICO MINISTERO DI NAPOLI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1972/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2017 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI

VIRGILIO;

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

Rilevato che:

T.V. impugna con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 30.4.2015, che ha respinto l’appello proposto dal medesimo sulla domanda di addebito della separazione personale, già respinta dal tribunale di Napoli all’esito del giudizio di separazione personale dal coniuge M.M..

M.M. non ha spiegato difese.

Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c., per la mancata concessione da parte del primo giudice dei termini ex art. 183 c.p.c., comma 4 pure ritualmente richiesti.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. avendo omesso la corte d’appello di pronunciarsi sul capo di impugnazione concernente la mancata concessione dei termini ex art. 183 c.p.c., comma 4.

Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4) avendo il giudice di merito omesso di motivare sulle richieste istruttorie formulate in seno all’atto di appello; col quarto mezzo, si duole del vizio di motivazione, sempre in relazione alla preclusione della possibilità di svolgere l’istruttoria richiesta.

Il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente stante la stretta connessione, appaiono manifestamente infondati.

Invero, secondo il recente orientamento di questa Corte, cui si intende dare continuità, in forza del combinato disposto dell’art. 187 c.p.c., comma 1, e dell’art. 80-bis disp. att. c.p.c., in sede di udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione della causa ex art. 183 c.p.c., la richiesta della parte di concessione di termine ai sensi del comma 6 detto articolo non preclude al giudice di esercitare il potere di invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione, atteso che, ogni diversa interpretazione delle norme suddette, comportando il rischio di richieste puramente strumentali, si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo, oltre che con il favor legislativo per una decisione immediata della causa desumibile dall’art. 189 c.p.c. (Cass. 11 marzo 2016, n. 4767).

Non può quindi dubitarsi che – come accaduto nella vicenda all’esame – il giudice istruttore, nonostante la richiesta di assegnazione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, possa tuttora invitare le parti a precisare le conclusioni e assegnare la causa in decisione anche alla prima udienza di comparizione, laddove la ritenga matura per la decisione per la sussistenza di questioni pregiudiziali di rito ovvero di questioni preliminari di merito, ovvero ancora laddove i termini della controversia, sulla base delle allegazione delle parti e dei documenti già prodotti, ne consentano la immediata decisione senza ulteriori appendici assertive e istruttorie.

E’ infine inammissibile la denuncia del vizio di omessa pronuncia sulle richieste istruttorie, vizio denunciabile invece e nei fatti denunciato nel successivo mezzo, come vizio di motivazione.

Il terzo ed il quarto motivo, strettamente collegati, vanno esaminati congiuntamente e sono da ritenersi inammissibili.

Le doglianze del ricorrente sono intese sostanzialmente a far valere la mancanza assoluta di motivazione sulle richieste istruttorie, essendosi la corte d’appello a riguardo limitata ad affermare che le circostanze allegate dal T. non risultavano provate, dopo avere ritenuto preclusa la prova alla parte.

Deve sul punto rilevarsi che la corte del merito non solo ha ritenuto preclusa la prova, ma ha in ogni caso dato conto delle stesse circostanze dedotte a prova, ritenendo a riguardo che si trattava di “fatti assolutamente irrilevanti ai fini del decidere, concernendo gli stessi comportamenti che, comunque, non hanno fornito un concreto apporto causale al deterioramento della convivenza ed alla intollerabilità della sua prosecuzione…” e di contro a detta valutazione il ricorrente si è limitato nel quarto mezzo a dissentire genericamente dalla valutazione di lontananza nel tempo dei comportamenti scorretti della sig. M., riportando nel resto alcuni passaggi del ricorso in appello.

Conclusivamente, va respinto il ricorso.

Non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituita l’intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delg ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2017

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