Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8286 del 07/04/2010

Cassazione civile sez. I, 07/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 07/04/2010), n.8286

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 857-2009 proposto da:

P.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PUBLIO ELIO

13/A, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CASSIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato RENNA ALESSANDRO, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI POTENZA (Ministero della

Giustizia);

– intimata –

avverso il decreto n. 127/08 della CORTE D’APPELLO di POTENZA del

27.10.08, depositato il 29/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: ” P.O. adiva la Corte d’appello di Potenza, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio penale in corso in suo danno innanzi al Tribunale di Taranto. La Corte d’appello, con decreto del 29 ottobre 2008 osservava: il ricorrente aveva avuto contezza del giudizio il 13.1.2001, allorchè era stato identificato dai carabinieri; il 19.3.2003 aveva presentato istanza di legittima suspicione; il 15.10.2003 il difensore aveva dichiarato di aderire all’astensione dalle udienze proclamata dalle Camere penali; il 7.11.2003 aveva chiesto rinvio per patteggiamento; il 14.1.2004 era stato disposto rinvio a seguito della proposizione di istanza di ricusazione, mentre l’udienza del 26.5.2004 era stata rinviata in attesa della decisione della Corte di cassazione su detta istanza;

l’udienza dell’1.12.2004 era stata rinviata per impedimento dell’imputato; l’udienza del 18.2.2 005 era stata rinviata per rinnovare l’istruzione, stante il mancato consenso dell’imputato all’utilizzazione degli atti assunti da diverso giudice; l’udienza del 15.4.2005 era stata rinviata in attesa della trasmissione del fascicolo dalla Corte di cassazione; l’udienza del 9.6.2006 era stata rinviata per perfezionare la remissione della querela; l’udienza del 13.10.2007 era stata rinviata per adesione della difesa all’astensione, all’udienza del 16.3.2007 era stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per remissione di querela.

Posta questa premessa, la Corte territoriale riteneva che, al fine dell’accertamento della durata non ragionevole, doveva tenersi conto solo del periodo di anni due e mesi due, dal 13.1.2001 al 19.3.2003, e di mesi otto, dal 7.10.2005 al 9.6.2006, conseguente all’astensione dalle udienze da parte del giudice onorario, essendo imputabili gli altri rinvii alle istanze dell’imputato e, da ultimo, al ritardo nella definizione, conseguente alla mancata presentazione in udienza per accettare la remissione della querela.

Pertanto, il decreto riteneva che il processo fosse durato soltanto anni due e mesi dieci, quindi un tempo inferiore al parametro della Corte EDU e rigettava la domanda, condannando il ricorrente a pagare le spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso P. O., affidato a due motivi; non ha svolto attività difensiva la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Diritto

OSSERVA

1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2; art. 6 CEDU) (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo che la Corte d’appello malamente addebitato alla parte la durata conseguente all’esercizio del diritto di difesa, non avendo l’imputato neppure l’onere di collaborare attivamente al processo e formula quesito di diritto diretto a conoscere se i rinvii del processo dovuti ad istanza di legittimo sospetto e di ricusazione, nonchè l’assenza in udienza per accettare la remissione di querela debbano considerarsi meramente dilatori, quindi attribuibili all’imputato.

Il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui il decreto ha sottratto al tempo di ragionevole durata del giudizio i rinvii indicati nel primo mezzo, senza adeguata motivazione.

2.- I motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto giuridicamente e logicamente connessi, sembrano solo in parte manifestamente fondati, entro i limiti di seguito precisati. Alle questioni poste con i motivi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, in virtù dei quali:

la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma all’esito di una valutazione degli elementi previsti da detta norma (per tutte, Cass. n. 6039, n. 4572 e n. 4123 del 2009; n. 8497 del 2008) e in tal senso è orientata anche la giurisprudenza della Corte EDU (tra le molte, sentenza 1^ sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), la quale ha tuttavia stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità;

siffatto parametro va osservato dal giudice nazionale e da esso è possibile discostarsi, purchè in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, restando comunque escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass., Sez. un., n. 1338 del 2004; in seguito, tra le tante, Cass. n. 4123 e n. 3515 del 2009);

i rinvii concessi dal giudice su richiesta delle parti, devono essere computati ai fini della determinazione dell’equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria di parte, idonea ad impedire l’esercizio dei poteri di direzione del processo, propri del giudice istruttore; in relazione ai rinvii dovuti ad astensione degli avvocati, la maggior durata dei processi che ne derivi costituisce effetto di una causa riconducibile a libere scelte dei competenti ordini professionali e dei loro iscritti, imputabili a fattori estranei all’organizzazione giudiziaria e, come tali, non idonee a far nascere un obbligo dello Stato di indennizzare le parti in conseguenza dei ritardi cagionati nella definizione di quei processi (Cass. n. 9405 del 2006; n. 29000 del 2005; n. 15143 del 2005, n. 15143) , ma in ordine ad essi occorre, comunque, distinguere tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato (Cass. n. 1715 del 2008), poichè l’imputabilità del rinvio alla parte non esclude che sulla non ragionevole durata del giudizio possa concorrere anche l’eccessiva dilazione di tempo tra l’una e l’altra udienza, dovuta a ragioni organizzative riferibili all’amministrazione giudiziaria (Cass. n. 19943 del 2006).

In applicazione di detti principi, il decreto non si sottrae alle censure, nella parte in cui ha con mero automatismo sottratto l’intero tempo conseguente ai rinvii dovuti per astensione del difensore, ovvero richiesti dalla parte (anche per l’accettazione della remissione di querela), dei quali avrebbe potuto e dovuto tenere conto per escludere il tempo conseguente dal computo della durata del giudizio, ma entro i limiti sopra precisati.

Inoltre, l’esercizio del diritto di difesa, nelle diverse forme e modi riconosciuti dall’ordinamento, non può comportare la automatica detrazione dalla durata del giudizio del tempo conseguente agli atti che per esso si rendano necessari. Tuttavia, ciò non esclude che tali atti possano e debbano essere valutati, in quanto influiscono sulla complessità del giudizio e configurano elementi da ponderare per fissare il termine di ragionevole durata applicabile nel caso di specie, alla luce del parametro della Corte EDU, conformandolo alla specificità del caso esaminato. L’accoglimento delle censure, entro detti termini, potrà comportare la cassazione del decreto, con rinvio alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, per il riesame della controversia e perchè provveda anche in ordine alle spese della fase di legittimità.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

p. 2. – Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso.

Il decreto impugnato, dunque, deve essere cassato con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Potenza in diversa composizione che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Potenza in diversa composizione che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2010

 

 

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