Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8283 del 30/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 30/03/2017, (ud. 03/03/2017, dep.30/03/2017),  n. 8283

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29186/2015 proposto da:

V.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AUGUSTO AUBRY

1, presso lo studio dell’avvocato BRUNO MOSCARELLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO ORLANDO;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EZIO 12,

presso lo studio dell’avvocato GIAN ETTORE GASSANI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO CARDELLA;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositato il

07/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente V.I. impugna, articolando cinque motivi di ricorso ex art. 111 Cost., il decreto n. 22/2015 del 7 maggio 2015 della Corte d’Appello di Potenza, che ha rigettato il reclamo proposto avverso il provvedimento del Tribunale di Lagonegro reso in data 9 ottobre 2014, con il quale era stata dichiarata cessata la materia del contendere sulla domanda della V. di revoca giudiziale dell’avvocato C.A. dall’incarico di amministratore del Condominio (OMISSIS) e condannata l’istante, sulla base della soccombenza virtuale, al pagamento delle spese processuali.

V.I. deduce un primo motivo di ricorso per violazione dell’art. 1130 c.c., comma 1, nn. 6, 3, 7 e art. 1129 c.c., comma 2, nn. 11 e 12, censurando che la Corte d’Appello abbia omesso di considerare l’incompletezza della tenuta del registro di anagrafe condominiale, quanto all’indicazione dei dati catastali e di quelli relativi alle condizioni di sicurezza di ciascuna unità immobiliare. Il secondo motivo sostiene l’erronea applicazione dell’art. 345 c.p.c. e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1131 c.c., commi 3 e 4, quanto alla supposta inammissibilità per novità della domanda (a dire della Corte d’Appello proposta solo in sede di reclamo) di revoca dell’amministratore per omessa informativa dei condomini su di un’impugnazione di delibera assembleare. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1129 c.c., commi 2 e 14, giacchè la Corte d’Appello ha ritenuto che l’amministratore avesse fornito all’assemblea le informazioni dovute su generalità e reperibilità al momento del rinnovo del suo incarico. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1365 c.c., con riferimento agli artt. 9 e 10 del regolamento di condominio, quanto alla misura del compenso elargito all’amministratore ed all’emissione delle bollette. Il quinto motivo di ricorso censura la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per aver la Corte d’Appello ravvisato l’obbligo della reclamante a corrispondere un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, trattandosi di “problema mai sollevato dal C.” e di importo da porsi, piuttosto, a carico di quest’ultimo.

Ritenuto che il ricorso proposto da V.I. potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

E’ tardiva rispetto al termine di cui all’art. 380 bis c.p.c., comma 2, la memoria presentata dalla ricorrente in data 28 febbraio 2017.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la corte di appello provvede sul reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dall’art. 1129 c.c. e art. 64 disp. att. c.c., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione; tale ricorso è, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 2986 del 27/02/2012; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 14524 del 01/07/2011; Cass. Sez. U, Sentenza n. 20957 del 29/10/2004).

Sono dunque inammissibili le censure che la V., con i primi quattro motivi, rivolge al decreto impugnato (stante la carenza di attitudine al giudicato dello stesso), sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere in discussione la sussistenza, o meno, delle gravi irregolarità ex art. 1129 c.c., comma 12, o, ancora, l’omesso esame di elementi istruttori che avrebbero diversamente potuto determinare il giudice del merito nella declaratoria della soccombenza virtuale (cfr. in termini Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9516 del 06/05/2005).

Quanto invece alle censure avverso la statuizione relativa alla condanna alle spese del procedimento, va evidenziato come spetti comunque al giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, di delibare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie, e che è sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei, cosa che non si evince nel caso di specie.

E’ del pari infondato il quinto motivo di ricorso. La “ratio” del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, va individuata nella finalità di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose, sicchè tale meccanismo sanzionatorio si applica in ogni ipotesi di infondatezza o di inammissibilità originaria del gravame, e non invece per quella sopravvenuta (ad esempio, per sopravvenuto difetto di interesse) (Cass. Sez. 6-2, 02/07/2015, n. 13636). Il ricorso va perciò rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 3 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2017

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