Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 828 del 15/01/2019

Cassazione civile sez. lav., 15/01/2019, (ud. 11/10/2018, dep. 15/01/2019), n.828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2618/2017 proposto da:

L.W., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A BERTOLONI

49, presso lo studio dell’Avvocato GUIDO ZINGONI, che lo rappresenta

e difende giusta delega in atti.

– ricorrente –

contro

MERCEDES BENZ ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pt,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo

Studio Legale GERARDO VESCI & Partners, unitamente agli Avvocati

GERARDO VESCI e LEONARDO VESCI che la rappresentano e difendono

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5586/2016 delle CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/11/2016 R.G.N. 2534/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2018 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNI VERSACE per delega dell’Avvocato GUIDO

ZINGONI;

udito l’Avvocato LEONARDO VESCI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Roma del 18.4.2015, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47, L.W. impugnava il licenziamento intimatogli con lettera del 27.10.2014 dalla Mercedes Benz Italia spa per giustificato motivo oggettivo (consistente nella soppressione della posizione lavorativa) chiedendone la declaratoria di nullità o, in subordine, la manifesta ingiustificatezza, con ogni conseguenza in tema di tutela reale e risarcimento dei danni patiti.

2. Con ordinanza del 14.7.2015 l’adito giudice rigettava la domanda.

3. Con sentenza n. 4886/2016, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dal L., il Tribunale di Roma dichiarava la illegittimità del licenziamento per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo e, rigettando la richiesta di reintegrazione, condannava la Mercedes Benz Italia al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata in misura pari a 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

4. La Corte di appello di Roma, con la pronuncia n. 5586/2016, confermava la gravata sentenza.

5. A fondamento del decisum i giudici di seconde cure rilevavano che: 1) risultando provata la operata soppressione del posto di lavoro, non si configurava l’ipotesi di evidente mancanza di giustificazione, sebbene la situazione economico-produttiva aziendale, al momento del licenziamento, era in lieve miglioramento rispetto al 2013, di talchè andava applicata la disciplina della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5; 2) sulla base delle risultanze istruttorie non era stata dimostrata la natura ritorsiva del licenziamento; 3) il recesso del L. non era riconducibile al motivo della risoluzione del personale per la quale era stata attivata la procedura di mobilità, in quanto intervenuto ad una distanza di un anno circa; 4) restava assorbito il profilo della mancata prova della impossibilità di ripescaggio, atteso che l’eventuale accertamento della violazione dell’obbligo non avrebbe concretizzato la fattispecie della manifesta insussistenza del fatto, ma appunto quella delle altre ipotesi di legge sanzionate ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5.

6. Avverso la decisione di 2 grado ha proposto ricorso per cassazione L.W. articolando tre motivi.

7. Ha resistito con controricorso la Mercedes Benz Italia illustrati con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’error in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18,L. n. 604 del 1966, art. 3 e art. 12 preleggi, per avere errato la Corte di merito nell’individuazione del concetto di manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo: invero, da un lato, aveva ritenuto insussistenti le ragioni economiche e produttive poste a fondamento del licenziamento e, dall’altro, aveva comunque considerato che il complessivo giustificato motivo addotto dalla società non potesse ritenersi come manifestamente insussistente attesa la effettiva soppressione del posto di lavoro. Obietta che l’indagine sul giustificato motivo oggettivo avrebbe dovuto avere come oggetto non la mera soppressione del posto di lavoro, bensì la sussistenza e legittimità della necessità economiche e organizzative addotte, come poteva evincersi nella lettera di intimazione del recesso.

3. Con il secondo motivo si censura l’error in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 7, nonchè l’error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 e la nullità per assoluta insussistenza di motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, per avere errato la Corte territoriale, senza peraltro addurre alcuna motivazione” nel ritenere che, qualora nel giustificato motivo oggettivo rientrasse anche la soppressione del posto di lavoro, tuttavia questa non poteva essere l’unica componente di esso ma andavano considerate, unitariamente e necessariamente, anche il concorrente ed indispensabile elemento delle ragioni economiche addotte, nella fattispecie, manifestamente insussistenti.

4. Con il terzo motivo il L. si duole dell’error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla carente acquisizione di rilevanti elementi probatori e, precisamente, delle escussioni testimoniali e del Libro Unico del Lavoro, in relazione al doveroso accertamento della asserita soppressione del posto di lavoro.

5. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica in quanto riguardano entrambi la problematica del concetto di “manifesta insussistenza del fatto”, nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto, sia sotto un profilo sostanziale che sotto quello formale, sono infondati.

6. Al riguardo questa Corte, con un orientamento che questo Collegio condivide, ha affermato che “ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3,l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro deve necessariamente provare ed il giudice accertare, sì da assurgere a requisito di legittimità intrinseco al recesso ai fini dell’integrazione della fattispecie astratta, escludendo così che la tipologia del licenziamento de quo possa dirsi giustificata solo in situazioni di crisi di impresa” (cfr. Cass. 7.12.2016 n. 25201).

7. E’, invece, sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, le quali devono essere evidentemente esplicitate come motivazione che giustifica il licenziamento, causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa.

8. E’ stato anche precisato che le ragioni produttive ed organizzative non coincidono nè si identificano con la mera soppressione del posto di lavoro, ma ne costituiscono causa efficiente (Cass. n. 19185/2016); esse quindi non si prestano ad esemplificazioni casistiche che abbiano la pretesa di esaustività in relazione ad una complessa e proteiforme realtà economica.

9. Al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore attraverso la verifica sulla effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall’imprenditore a giustificazione del recesso.

10. Il descritto controllo, attraverso il vaglio del materiale, costituisce accertamento in concreto che investe pienamente una quaestio facti (cfr. Cass. n. 10699/2017), rispetto al quale il sindacato di legittimità si arresta entro il confine segnato dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che non consente una diversa ricostruzione della vicenda storica soprattutto quando l’apprezzamento del giudice di merito investa una molteplicità di elementi fattuali, la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, solo ove si denunci che la combinazione ed il peso dei dati fattuali, come definiti ed accertati dal giudice, non ne consentano la riconduzione alla nozione legale (cfr. Cass. n. 18715/2016).

11. Nella fattispecie in esame la Corte di appello, con argomentazioni logiche e congrue, ha rilevato attraverso una valutazione globale delle risultanze istruttorie, che non era configurabile l’ipotesi della evidente mancanza di giustificazioni in quanto, da un lato, l’atto espulsivo si collocava a valle di un quadro economico della società che era risultato per un lungo periodo incerto, come comprovato dai provvedimenti immediatamente precedenti il recesso del L. (procedura di mobilità del 2013) e, dall’altro, che l’operata soppressione di tre posizioni lavorative si poneva, però, in modo inappropriato rispetto all’anno 2013.

12. In un quadro, pertanto, non caratterizzato da una evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del recesso (cfr. Cass. 25.6.2018), con un accertamento in fatto, come detto, non sindacabile in sede di legittimità perchè coinvolgente, peraltro, l’analisi delle poste dei bilanci societari del 2013 e del 2014 nonchè l’andamento del fatturato, la Corte territoriale ha ritenuto correttamente applicabile la tutela indennitaria e non quella reintegratoria ravvisando l’ipotesi delineata nella L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, come novellato dalla L. n. 92 del 2012 (“nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma”), non incorrendo, quindi, nè nelle denunziate violazioni di legge nè negli asseriti errores in procedendo.

13. Il terzo motivo è inammissibile.

14. L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. Un. 22.9.2014 n. 19881): nel caso in esame, la questione della soppressione del posto di lavoro è stata esaminata dalla Corte territoriale ma valutata in modo diverso da quello propugnato dal ricorrente.

15. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

16. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

17. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2019

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