Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8274 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/03/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 24/03/2021), n.8274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15232-2019 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SOGLIANO 70,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE AMETRANO, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BAIAMONTI

10, presso lo studio dell’avvocato LUCA SEMPRONI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza R.G. 56613/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 5/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO

MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

CHE:

1. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., l’avvocato C.M., dedotto di avere svolto in favore di R.G. attività stragiudiziale e attività giudiziale innanzi al Tribunale e alla Corte d’appello di Roma, ha chiesto che R. fosse condannato al pagamento di Euro 25.525,60. Il convenuto, costituendosi, ha eccepito l’inammissibilità/improcedibilità del ricorso anzitutto per avere il ricorrente introdotto il giudizio ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., e non secondo la specifica normativa di riferimento in tema di liquidazione dei compensi professionali, ha poi affermato l’infondatezza nel merito del ricorso e proposto domanda riconvenzionale di responsabilità professionale.

Il Tribunale di Roma ha trasformato il rito, ha disposto la separazione della domanda di accertamento della responsabilità professionale, ha dichiarato la propria incompetenza rispetto ai compensi per l’attività svolta innanzi alla Corte d’appello e ha dichiarato l’inammissibilità della domanda relativa a prestazioni di natura stragiudiziale non connesse a quelle di natura giudiziale; quanto ai compensi per l’attività giudiziale svolta innanzi al Tribunale di Roma, ha accolto parzialmente il ricorso e ha condannato R. a pagare Euro 8.421, oltre rimborso forfettario, i.v.a. e c.p.a., nonchè Euro 1.033,98 a titolo di rimborso per le spese vive anticipate.

Avverso l’ordinanza del Tribunale, depositata il 5 aprile 2019, ricorre per cassazione R.G..

Resiste con controricorso C.M..

Il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

a) Il primo motivo denuncia “violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 2233 c.c.”: il Tribunale non avrebbe considerato che tra le parti sussisteva un accordo in ordine alla determinazione dei compensi, accordo secondo cui l’avvocato avrebbe percepito all’esito del giudizio unicamente quanto liquidato dal giudice in favore della parte vittoriosa, nulla pretendendo dal proprio cliente in caso di soccombenza o di rigetto della domanda; inoltre il Tribunale ha applicato i valori massimi della tariffa pure in presenza di “documentazione atta a provare che, in mancanza di diversa statuizione tra le parti, tutte le prestazioni legali offerte dall’avvocato C. sarebbero state regolamentate con l’applicazione dei minimi tariffari”.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente lamenta anzitutto la mancata considerazione da parte del Tribunale dell’esistenza di un accordo tra le parti per la determinazione dei compensi, circostanza che non è menzionata nel provvedimento impugnato, che il ricorrente non dice di avere fatto valere innanzi al Tribunale di Roma e che d’altro canto non è menzionata nelle conclusioni della comparsa di risposta del giudizio di primo grado riportate alle pp. 3-6 del ricorso; si contesta poi, contraddittoriamente, la mancata applicazione dei minimi tariffari, facendo un non chiaro, generico riferimento alla presenza di documentazione, che tale necessaria applicazione “proverebbe”.

b) Il secondo motivo contesta, invocando la violazione dell’art. 92 c.p.c., la mancata compensazione da parte del Tribunale delle spese di lite a fronte del parziale accoglimento della domanda dell’avvocato C..

Il motivo è inammissibile. Secondo l’orientamento costante di questa Corte, la compensazione è infatti provvedimento discrezionale del “giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (così, da ultimo, Cass. n. 11329/2019).

2. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta/2 sezione civile, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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