Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8273 del 12/04/2011
Cassazione civile sez. VI, 12/04/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 12/04/2011), n.8273
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 4031/2010 proposto da:
T.F. (OMISSIS), P.C.
(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE
ZEBIO 32, presso lo studio dell’avvocato MESSINA MARINA,
rappresentati e difesi dall’avvocato PAGANO Augusto, giusta mandato a
margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.M.G. (OMISSIS), elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 40, presso lo studio dell’avvocato
DE VICO RAFFAELLA, rappresentata e difesa dall’avvocato BUCCA
Edoardo, giusta procura alle liti per atto notaio Josè Carbonell di
Villasanta, in data 18.3.2010, n. rep. 50139, che viene allegata in
atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 595/2009 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del
24.9.09, depositata il 20/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
17/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ETTORE BUCCIANTE;
udito per la controricorrente l’Avvocato Edoardo Bucca che ha chiesto
il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO
SGROI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
La Corte:
Fatto
FATTO E DIRITTO
ritenuto che la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, è del seguente tenore:
“Con sentenza del 14 gennaio 2005 il Tribunale di Messina – adito da C.M.G. nei confronti di T.F. e P.C. – ordinò ai convenuti di ripristinare un muro di un loro edificio in (OMISSIS), a confine con un adiacente fabbricato appartenente all’attrice: muro che avevano demolito e che in precedenza chiudeva il quarto lato di una chiostrina, nei cui altri tre lati preesistevano finestre, dalle quali era diventata così possibile la veduta, a distanza inferiore a quella legale, verso il meno elevato immobile limitrofo.
Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Messina con sentenza del 20 ottobre 2009, contro la quale T.F. e P.C. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. C.M. G. si è costituita con controricorso.
Con il primo motivo di ricorso T.F. e P. C. sostengono che la domanda di riduzione in pristino, proposta nei loro confronti da C.M.G., avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, poichè il muro in questione era stato demolito nel legittimo esercizio di una facoltà inerente al diritto di proprietà e all’asserita illegittimità delle vedute, divenute in tal modo possibili, si sarebbe potuto semmai rimediare soltanto disponendone l’arretramento o la chiusura.
La censura non appare accoglibile, per l’assorbente e decisiva ragione della sua “novità”, che ne preclude l’ingresso in questa sede: la questione di cui si tratta non è stata affrontata nella sentenza impugnata, nè i ricorrenti hanno dedetto, come era loro onere, di averla sollevata – e in quali atti e con quali modalità – nel giudizio a quo.
Con gli altri tre motivi di ricorso – tra loro connessi e da esaminare pertanto congiuntamente – T.F. e P. C. lamentano che erroneamente la Corte d’appello ha disconosciuto la legittimità delle vedute oggetto della causa, che si aprono a distanze maggiori di quelle stabilite dagli artt. 905 e 906 c.c., trovandosi le dirette a 2,50 m. e le laterali a 0,80 m. dal confine.
La doglianza appare manifestamente infondata.
Nel confutare l’assunto degli appellanti, secondo cui nella specie dovevano essere applicate le norme codicistiche sulle distanze delle vedute, il giudice di secondo grado ha osservato che la demolizione del muro aveva “trasformato in vedute quelle che erano solo aperture per dare luce ed aria, in violazione della disciplina dettata sulle distanze tra pareti finestrate, indettata da … Segue uno spazio lasciato in bianco, ma la lacuna non osta all’intelligibilità dell’argomento, essendo evidente che nella sentenza impugnata si è inteso fare riferimento alle prescrizioni dell’art. 26 del regolamento edilizio del Comune di Letojanni, che impone il rispetto della distanza di 10 m. tra pareti finestrate, come gli stessi T.F. e P.C. riconoscono, nel contesto dei motivi di ricorso in esame. La demolizione del muro in contestazione si è risolta appunto nella realizzazione di una parete finestrata, in luogo di quella cieca preesistente lungo il confine tra i due fondi, sicchè risultano inconferenti le deduzioni dei ricorrenti circa il diritto di prevenzione di cui si affermano titolari.
Appare quindi possibile definire il giudizio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, seconda ipotesi”;
– i ricorrenti hanno depositato una memoria; il difensore della resistente e il pubblico ministero sono comparsi in Camera di consiglio e hanno concluso in conformità con la relazione;
– il collegio concorda con le argomentazioni svolte nella relazione e le fa proprie, rilevando che non sono efficacemente contrastate dalle obiezioni formulate nella memoria dei ricorrenti, poichè: – loro stessi ammettono la novità della questione, non sollevata nel giudizio di appello, relativa alle modalità della riduzione in pristino (mediante la chiusura delle vedute, invece che mediante la ricostruzione del muro, al fine di eliminare la situazione di servitù cui aveva dato luogo la demolizione del manufatto); – le questioni concernenti le future possibilità di ulteriore edificazione dell’una e dell’altra parte sono estranee alla materia del contendere dedotta nel giudizio e non dovevano quindi formare oggetto della decisione di cui viene lamentata la mancanza; – lo spazio lasciato in bianco nella sentenza impugnata, come viene riconosciuto dai ricorrenti, era destinato ad essere riempito con la menzione dell’art. 26 del regolamento edilizio del Comune di Letojanni, menzione non inserita evidentemente per una semplice svista;
– il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti – in solido, stante il comune loro interesse nella causa – a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2011