Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8264 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. II, 11/04/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 11/04/2011), n.8264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2039-2009 proposto da:

V.A. (OMISSIS), F.S.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 50, plesso lo studio dell’avvocato MARIGLIANO GIOSUE,

rappresentati e difesi dagli avvocati MASSIMO MAURIZIO DI BELLA,

CORICA ARMANDO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.M.A., C.O.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 433/2007 del TRIBUNALE di CATANIA, SEZIONE

DISTACCATA di MASCALUCIA, depositata il 20/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1) Alle parti è stata comunicata relazione redatta ex art. 380 bis c.p.c, che qui si ripercorre parzialmente, emendata da imperfezioni formali.

Riformando la sentenza n. 89/01 resa dal giudice di pace di Mascalcia, il tribunale di Catania il 20 novembre 2007 respingeva la domanda proposta dai signori F.S. e V.A., volta ad ottenere la rimozione di un albero di pino piantato su proprietà C. – M. a distanza dal confine inferiore a quella legale.

A tal fine accoglieva l’eccezione di usucapione sollevata dai convenuti e valorizzava una deposizione testimoniale, in quanto coerente con il parere della consulenza tecnica in ordine all’epoca in cui l’albero era stato trapiantato in loco.

Il ricorso per cassazione dei F. – V., notificato il 2 gennaio 2009, verte su tre motivi. Gli appellanti sono rimasti intimati.

Il ricorso, soggetto ratione temporis alla disciplina novellatrice di cui al D.Lgs n. 40 del 2006, appare inammissibile.

Il primo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, nullità della sentenza in relazione agli artt. 345 e 356 c.p.c. si conclude con il seguente periodo, che sembra atteggiarsi in forma di quesito ex art. 366 bis c.p.c., ancorchè non vi sia espresso riferimento a tale norma: “Si chiede quindi di verificare se il Giudice d’appello ammettendo la formulata ad istanza di parte per la prima volta in seno all’atto di appello abbia o meno violato il disposto degli artt. 345 e 346 c.p.c. e quegli altri sopra evidenziati”.

Trattasi di quesito inammissibile perchè non formulato, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così1 da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (SU 26020/08). Manca infatti di una parte riassuntiva, contenente l’esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, parte indispensabile per conferire al quesito l’indispensabile concretezza (SU 7433/09; Cass. 7197/09).

In ogni caso la questione astrattamente posta appare infondata, atteso che: “In materia di procedimento civile, la consulenza tecnica non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all’acquisizione, da parte del giudice del merito, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze. La nomina del consulente rientra quindi nel potere discrezionale di tale giudice (Cass. 15219/07), che può provvedervi anche senza alcuna richiesta delle parti, sicchè ove una richiesta di tale genere venga formulata dalla parte essa non costituisce una richiesta istruttoria in senso tecnico ma una mera sollecitazione rivolta al giudice perchè questi, avvalendosi dei suoi poteri discrezionali, provveda al riguardo; ne consegue che una tale richiesta non può mai considerarsi tardiva, (Cass. 5422/02) e che tale mezzo istruttorio, del resto sottratto alla disponibilità delle parti non incorre nel divieto di rinnovazione o di ammissione in grado di appello neanche quando operi il divieto di nuove prove” (Cass. 4720/96).

2) Il secondo motivo, che espone violazione degli artt. 1031, 1158, 2943 c.c. e vizi del procedimento, lamenta la mancata considerazione data ad una “raccomandata interruttiva” spedita nel 1999. Si chiude con il seguente periodo: “Si chiede quindi di verificare se l’applicazione dell’art. 2943 c.c. avrebbe potuto portare alla disapplicazione dell’art. 1158 c.c. ed alla disapplicazione delle altre norme sopraindicate”.

Trattasi di censura manifestamente infondata, oltre che di inammissibile formulazione, posto che per pacifico insegnamento di dottrina e giurisprudenza non sono idonei come atti interruttivi del termine utile per l’usucapione la diffida o la messa in mora, in quanto può esercitarsi il possesso anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del diritto reale (Cass. 14917/01 e, in motivazione, 14733/00).

Il quesito peraltro è inammissibile. in quanto si risolve in una mera richiesta di accoglimento del motivo e nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, mentre la disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c. è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una “regula iuris”.(Cass. 2658/08).

3) Il terzo motivo, che espone vizi di motivazione, si duole sotto questo profilo del mancato riconoscimento della portata interruttiva della lettera del 1999 e della citazione introdotta nel 2000, in relazione all’incertezza e aleatorietà della consulenza nella datazione della messa a dimora dell’albero e di una risultanza fotografica.

Il motivo si chiude senza la specifica indicazione del fatto controverso su cui cadrebbe il vizio di motivazione. In proposito la giurisprudenza (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08; 16528/08) ha chiarito che la censura ex art. 360 n. 5 deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, per consentire una pronta identificazione delle questioni da risolvere. Questa omissione è sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c..

Mette conto ricordare che nella norma dell’art. 366-bis cod. proc. civ., nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al precedente art. 360, n. 5 – cioè la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione (della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione” – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione.

Va comunque aggiunto che la relazione ha ineccepibilmente rilevato che la motivazione della sentenza impugnata non si affida esclusivamente alla consulenza tecnica, ma considera di decisiva rilevanza la ipotesi preferita dal consulente, in quanto combinata con la portata probatoria di una delle testimonianze, logicamente e correttamente valorizzata, restando così la sentenza incensurabile in sede di legittimità, perchè sorretta da congrua, e logica motivazione non decisivamente censurata.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso.

Al rigetto del ricorso non segue la pronuncia sulla refusione delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile tenuta, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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