Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8263 del 07/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 07/04/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 07/04/2010), n.8263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31792-2006 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – nella

qualità di successore del soppresso INPDAI – in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO ALESSANDRO, VALENTE

NICOLA, GIANNICO GIUSEPPINA, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE DELLE

GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato VALENSISE CAROLINA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato POZZI MAURIZIO, giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 764/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/11/2005 R.G.N. 1104/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per inammissibilità o in subordine

rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

L’INPS chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 22 novembre 2005, che ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di Milano aveva accolto il ricorso di A.E., dichiarando nei confronti dell’Istituto (in qualità di successore dell’INPDAI) il diritto alla pensione in misura piena ed al supplemento di pensione.

Il ricorso consta di un unico motivo.

L’intimato si è difeso con controricorso ed ha depositato una memoria per l’udienza.

In entrambi gli atti, preliminarmente, l’ A. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso dell’INPS, perchè, nella procura in calce al ricorso, non si precisa a che titolo sussista la rappresentanza legale dell’Istituto.

L’eccezione non è fondata. Nella procura sono indicati il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita dell’avv. S.G.P., qualificato legale rappresentante dell’INPS, che conferisce la procura agli avvocati difensori nel giudizio. Non si precisa che egli è rappresentante legale perchè è il presidente dell’Istituto, ma la parte che formula l’eccezione, non ha formulato una specifica contestazione sul punto.

L’eccezione non può essere pertanto accolta.

Quanto al ricorso dell’INPS, è opportuno premettere come si sono svolti i fatti, che non sono oggetto di contestazione.

Il dott. A. è titolare di pensione di vecchiaia dal 1 novembre 1992, ma ha continuato a lavorare sino al 30 giugno 2001: in tale periodo ha percepito il 50% della pensione ed ha pagato, unitamente al datore di lavoro, i contributi.

Al termine del lavoro, ha chiesto all’INPDAI che la pensione passasse alla misura piena e che gli venisse corrisposto il supplemento di pensione in relazione ai contributi versati dal 1992 al 2001.

Il Tribunale di Milano, al quale si è dovuto rivolgere a causa del silenzio dell’Istituto, gli ha riconosciuto entrambi i diritti:

misura piena e supplemento.

L’INPS ha proposto appello chiedendo l’integrale riforma della sentenza, che invece la Corte ha confermato integralmente.

L’INPS ricorre (solo) sul punto relativo al riconoscimento del supplemento di pensione, assumendo che i giudici di merito avrebbero errato nel riconoscerlo, laddove si sarebbe dovuto solo procedere alla riliquidazione della pensione. Sarebbero stati così violati la L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 7 e il D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 181, art. 3, comma 8, nonchè il D.P.R. 8 gennaio 1976, n. 58, artt. 1 e 2.

La tesi dell’INPS è che il beneficio del supplemento di pensione, regolato dalla L. n. 155 del 1981, è stato esteso ai dirigenti aziendali dal D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 8, emanato in attuazione della delega contenuta nella riforma pensionistica del 1995, norma che “necessariamente dispone solo per il futuro, cioè solo per coloro che sono andati in pensione dopo l’entrata in vigore” di tale decreto.

Inoltre, sempre secondo l’INPS, la norma concerne i dirigenti che instaurano un nuovo rapporto di impiego con la stessa qualifica che prefiguri la reiscrizione all’INPDAI, circostanza che non si sarebbe verificata nel caso di specie in cui non vi è stata soluzione di continuità nel rapporto lavorativo e previdenziale dell’ A.. Le tesi dell’INPS non sono condivisibili.

Il D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 181, art. 3, comma 8, così dispone:

“nel caso in cui, dopo il conseguimento del trattamento pensionistico, il dirigente instauri un nuovo rapporto di impiego con la stessa qualifica che prefiguri la reiscrizione all’INPDAI, alla cessazione della predetta attività lavorativa l’importo del trattamento pensionistico è incrementato con un supplemento di pensione ai sensi della L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 7. In materia di cumulo rimangono confermate le disposizioni vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti”.

La norma è entrata in vigore nel 1997 e regola la materia solo per il futuro, ma la fattispecie regolata non può essere fatta risalire al pensionamento originario dell’ A., avvenuto nel 1992, come pretende l’INPS. L’elemento temporale di riferimento è costituito dalla cessazione dell’attività lavorativa per la quale sono stati corrisposti i contributi sui quali si basa il diritto al supplemento di pensione.

Quindi, correttamente, la Corte d’Appello ed il tribunale di Milano hanno ritenuto che sussiste il diritto dell’ A., posto che questi andò in pensione nel 1992, continuò a lavorare e a versare i contributi e ha chiuso la sua vicenda lavorativa solo nel 2001. E’ in questo momento che deve verificarsi quale disciplina era applicabile.

E, all’epoca, era in vigore, ormai da anni, il decreto legislativo 181 del 1997.

Ancor meno convincente è l’altra censura dell’INPS, poichè la situazione in esame rientra nella norma su richiamata, in quanto sicuramente quello instaurato dopo il conseguimento della pensione nel 1992 è un nuovo rapporto di impiego, sebbene con la medesima qualifica e con reiscrizione previdenziale.

Il ricorso pertanto deve essere respinto, con condanna dell’INPS alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS alla rifusione, in favore della controparte, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 30,00 Euro, nonchè 2.500,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2010

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