Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 826 del 19/01/2021

Cassazione civile sez. III, 19/01/2021, (ud. 09/09/2020, dep. 19/01/2021), n.826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35910-2018 proposto da:

EDILI DEIANA C SRL, rappresentata e difesa in via tra loro disgiunta

dall’avv. SILVIO PIETRO F. PIRAS, e dall’avv. FRANCESCO CUBEDDU,

elettivamente domiciliata presso quest’ultimo;

– ricorrenti –

contro

TESTONI SRL, rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Congiatu,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIORGIO BAGLIVI 8, presso lo

studio dell’avvocato SILVIA PASTORELLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato PIETRO CONGIATU;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 210/2018 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI di

SASSARI, depositata il 11/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 10/12/2018, avverso la sentenza n. 210/2018 della Corte d’Appello di Cagliari, depositata l’11/5/2018, la Soc. Edili Deiana e C. s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Con controricorso notificato il 15/1/2018, resiste la Testoni s.r.l.

2. Per quanto qui d’interesse, con ricorso per ingiunzione di pagamento la Testoni s.r.l. ha chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo n. 1112/2008 con cui il Tribunale di Sassari ha ingiunto alla Soc. Edili Deiana e C. s.r.l. il pagamento della somma di Euro 7.224,76, oltre interessi e spese, a titolo di interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 per il ritardato pagamento delle fatture per la fornitura di prodotti petroliferi emesse dalla ricorrente nel periodo 2003-2007. Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo e contestuale chiamata in causa del terzo, la E.D.c. chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto e, in subordine, l’accertamento della responsabilità del terzo chiamato, sig. M.G.B., dipendente della Testoni, adducendo che nel gestire i pagamenti aveva prospettato possibili dilazioni degli stessi. La parte opposta resisteva adducendo di non avere mai tollerato ritardi, comunque imputabili alla società debitrice. Con sentenza n. 1456/2011, il Tribunale di Sassari accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo opposto, condannando la Testoni al pagamento delle spese di lite. In specie, il Tribunale rilevava che, pur sussistendo un costante ritardo nei pagamenti da parte dell’ente, dall’istruttoria era risultata vera la circostanza che nel corso del lungo rapporto commerciale tra le due società, l’opposta aveva di fatto tollerato sempre i ritardi e, inoltre, l’inadempimento non era comunque imputabile alla Edili Deiana in quanto i saldi delle fatture avvenivano ogni qual volta il sig. M., dipendente della Testoni, decideva di recarsi presso il domicilio della creditrice, presumibilmente in base alle indicazioni del datore di lavoro.

3. Avverso la sentenza, la Testoni proponeva appello contestando – sotto diversi profili – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 4 e 7 laddove il giudice di prime cure aveva ritenuto di dar rilievo alla tolleranza nel ritardo del pagamento delle fatture e l’avvenuta rinuncia del creditore al pagamento degli interessi assumendone la sua inderogabilità. La Corte d’Appello di Cagliari, in riforma della sentenza di prime cure, accoglieva l’appello e, per l’effetto, confermava il decreto ingiuntivo n. 1112/2008 e condannava la Edili Deiana alle spese di lite del doppio grado di giudizio. In particolare, la Corte territoriale rilevava che, a fronte della circostanza che la società Testoni aveva emesso fatture con indicazione della scadenza del pagamento e provveduto a contabilizzare i ritardi, nonchè del tenore della disposizione di cui al D.Lgs. n. 231, art. 7 che sanziona con la nullità l’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento (ritenendola circostanza comunque non dedotta e provata), il giudice di primo grado avrebbe errato nel dare eccessiva rilevanza ad una prassi di tolleranza, insufficiente a negare il diritto della creditrice di ottenere il pagamento degli interessi nella misura e al tasso indicato dalla disciplina speciale applicabile alla fattispecie, la quale – peraltro – non presentava peculiarità tali da giustificare deroghe al regime di nullità degli accordi modificativi delle conseguenze dei ritardi.

Si dà atto della fissazione dell’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1, dell’assenza di conclusioni del p.m. e del deposito di memorie da parte delle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2012, art. 11, comma 1, per avere la Corte d’Appello ritenuto che “Coglie dunque nel segno l’appellante nel rilevare che l’art. 7 del citato D.Lgs. sanziona con la nullità l’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento, tanto più che siffatta ipotesi non era nemmeno stata dedotta e provata”. La ricorrente assume errato il punto della decisione riportato in quanto trascurerebbe il disposto del successivo D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 11, comma 1, che esplicitamente esclude l’applicabilità della norma richiamata in motivazione ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002. Adduce che il rapporto era antecedente a tale data e di ciò il giudice di secondo grado si sarebbe avveduto se avesse esaminato le emergenze probatorie da cui risultava che si era in presenza di un contratto verbale di somministrazione di prodotti petroliferi in essere dal (OMISSIS) e proseguito, ininterrottamente, fino al (OMISSIS).

1.1. La Corte non avrebbe considerato che tra le parti era intercorrente un contratto di somministrazione con origine dal 1997, che impedirebbe l’applicazione della normativa richiamata dal giudice in materia di interessi moratori, posteriore al rapporto de quo (D.L. n. 231 del 2002). La controricorrente deduce la novità della questione e la insussistenza di un contratto unitario di somministrazione che implica l’assunzione di un obbligo del fornitore di rifornire periodicamente la controparte ex art. 1562 c.c.

1.2. Il motivo è inammissibile, in quanto nell’illustrazione, per sostenere la qualificazione del rapporto nel senso della somministrazione, si fa riferimento alle risultanze probatorie e, dunque, si sollecita una loro valutazione come giustificativa di quella qualificazione, adducendo che detta valutazione avrebbe dovuto essere fatta dalla corte territoriale. Sia nel motivo che nell’esposizione del fatto non si fornisce alcuna indicazione della qualificazione che ai fatti costitutivi del credito basati sulle fatture aveva dato la parte creditrice.

1.3. La sentenza impugnata parla di forniture e dà atto che nella citazione in appello era stata dedotta dalla qui resistente la falsa applicazione del D.Lgs. n. 331 del 2002.

1.4. Nell’esposizione del fatto, nel riferire i motivi di opposizione, si fa invece riferimento alla “attuazione di contrato verbale di somministrazione intercorso con il rappresentante della Testoni (Sig. M.G. terzo chiamato), sin dal (OMISSIS)”, ma non si fornisce alcuna riproduzione diretta od indiretta con rinvio all’atto, del tenore della citazione da cui in ipotesi sarebbe la deduzione della qualificazione del rapporto in quel senso. L’illustrazione tuttavia omette di individuare dove e come la qualificazione unitaria e risalente del rapporto come somministrazione fosse stata prospettata e da chi. Non si indica nemmeno se essa era stata fatta valere con il ricorso monitorio dalla controparte e nemmeno si dice se era stata fatta valere con la citazione in opposizione. In sintesi, nè nel motivo, nè nella esposizione del fatto, inoltre, si dice se e dove la qualificazione nel senso della somministrazione era stata prospettata.

1.5. Nella descritta situazione il motivo risulta inammissibile perchè la sollecitazione alla valutazione delle emergenze probatorie investe direttamente questa Corte senza che si comprenda se il giudizio di merito si sia svolto oppure non sulla base della deduzione da parte della ricorrente della qualificazione del rapporto in termini di somministrazione. Ne consegue che, per valutare se la corte territoriale abbia commesso l’errore di diritto denunciato, questa Corte è sollecitata in realtà in via diretta e preliminare ad un esame della quaestio facti che le è precluso. Non solo: l’accertamento del modo di essere del rapporto nel senso della somministrazione involgeva nel giudizio di merito una questione di fatto esso stesso sempre in via preliminare alla qualificazione giuridica ed occorreva, pertanto, evidenziare come e dove era stata introdotta, specie tenuto conto che nella sentenza non si fa alcun riferimento ad essa.

1.6. Solo nella sua memoria, in replica all’eccezione della resistente, sostiene che il primo giudice aveva qualificato il contratto come somministrazione e che la relativa qualificazione non era stata messa in discussione con l’appello, ma la deduzione è tardiva in quanto, per le ragioni indicate poco sopra, l’allegazione doveva farsi nel ricorso, non potendosi reputare che la necessità di farla sia sorta solo per effetto del controricorso. Il Collegio rileva che è principio consolidato quello secondo cui “L’eventuale vizio del ricorso per cassazione non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 380 bis c.p.c., comma 2, la cui funzione – al pari della memoria prevista dall’art. 378 c.p.c., sussistendo identità di “ratio” – è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli” (Cass. (ord.) n. 30760 del 2018). Per evidente ricorrenza di una eadem ratio il principio si estende anche alle memorie di cui ragiona l’art. 380-bis.1 c.p.c.

2. Con il secondo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 3 e 7. La ricorrente adduce che, anche a voler ritenere applicabile la normativa del 2002, le sue statuizioni non sono inderogabili contrariamente a quanto rilevato dalla Corte territoriale. L’art. 3, difatti, fa salva l’ipotesi che il ritardo nell’effettuare i pagamenti sia determinato da causa non imputabile al debitore, come emergente dalle risultanze probatorie nel caso concreto. Il giudice di secondo grado, invece, avrebbe omesso di analizzare quelle che sono risultate essere le pacifiche prassi commerciali consolidate tra le parti in 16/17 anni di rapporti commerciali, in base alle quali era onere della società Testoni, tramite il proprio rappresentante sig. M., provvedere ad effettuare gli incassi quando si recava presso la sede della società Edili Deiana. Inoltre, la sentenza non avrebbe considerato che, in relazione alla natura degli interessi, questi, pur se inseriti in normativa speciale, hanno pur sempre natura di interessi moratori e, come tali, presuppongono un colpevole ritardo del debitore nell’inadempimento della prestazione a suo carico, sia pure presuntivo, ma che ammette la prova contraria. Nel caso di specie, tale colpevole ritardo non poteva essere rilevato e addebitato al debitore, in quanto la Edili Deiana avrebbe sempre adeguato il suo comportamento a quella che era la prassi commerciale concordata con la Testoni.

2.1. Il motivo si articola con una prima deduzione che non si correla affatto alla motivazione: la Corte territoriale non ha, infatti, deciso considerando che la prospettazione della ricorrente non era fondata per l’operare della inderogabilità della disciplina del D.Lgs.. Ha, infatti così motivato: “il D.Lgs. n. 231 del 2002 prevede all’art. 4, comma 2 e art. 5, comma 1, che le parti possono stabilire specifici accordi in merito al termine di pagamento e al saggio di interessi. Questi sono gli unici elementi che possono costituire oggetto di accordi tra le parti. Per il resto la disciplina sull’obbligo del pagamento e la decorrenza degli interessi presenta forti connotazioni di inderogabilità. Ciò premesso, considerato che i ritardi non erano stati contestati dalla impresa Deiana e che in atti vi era una copiosa produzione di fatture emesse dalla Testoni con indicazione della data della scadenza del pagamento, la tesi di una avvenuta rinuncia da parte dell’opposta al proprio credito per interessi basata su una prassi in base al rapporto e secondo la quale alcuni dipendenti della Testoni si recavano presso il domicilio per riscuotere era ben consapevole, non appare convincente. Ed invero la impresa Deiana era ben consapevole del ritardo con cui adempiva al pagamento delle fatture, nè poteva confidare sulla valenza esonerativa dell’obbligo di eseguire senza ritardo la propria prestazione ingenerata dalla mera tolleranza da parte della creditrice, posto che ben poteva, attraverso propri dipendenti, recarsi essa stessa presso la Testoni e saldare i propri debiti alle scadenze di legge. Invece continuava ad accumulare ritardi a tutto discapito dell’opposta. Infatti così operando la impresa Deiana finiva per procurare a sè una liquidità aggiuntiva a spese della creditrice. Il che costituisce l’esatto contrario delle ragioni di tutela insite nella legislazione in tema di interessi nelle transazioni commerciali. Coglie dunque nel segno l’appellante nel rilevare che l’art. 7 citato D.Lgs. sanziona con la nullità l’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento, tanto più che siffatta ipotesi non era nemmeno stata dedotta e provata. Era stata solo data eccessiva rilevanza a una prassi di tolleranza, insufficiente tuttavia a negare il diritto della creditrice di ottenere il pagamento degli interessi nella misura e al tasso indicato dalla disciplina speciale applicabile alla fattispecie. Di contro, va evidenziato che la impresa Testoni emetteva fatture con indicazione della scadenza del pagamento e provvedeva contabilizzare i ritardi posti in essere dall’opposta e che rapporto di fornitura di gasolio, così come tratteggiato dalle parti, non presentava peculiarità tali da evidenziare giustificazioni oggettive tali da consentire deroghe al regime di nullità degli accordi modificativi della conseguenza del ritardo nei pagamenti, così come disciplinati dalla legge”.

2.2. Tale motivazione non esprime affatto come ratio decidendi l’inderogabilità della disciplina del citato decreto legislativo ma che l’ipotesi dell’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento “non era stata dedotta e provata”, sicchè la sentenza ha dato effettivamente rilievo al problema della prova, e comunque quanto affermato al riguardo costituirebbe una ratio decidendi autonoma rispetto a quella in ipotesi basata sulla inderogabilità.

2.3. Il motivo in esame procede poi a indicare le risultanze dell’istruzione orale quali evidenziatrici dell’accordo derogatorio, ma sotto tale profilo prospetta una censura non corrispondente all’intestazione e comunque inammissibile in questa sede essendo rivolta a sollecitare il riesame della quaestio facti.

3. Con il terzo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente ritiene che la Corte d’Appello abbia omesso totalmente di valutare tutte le vicende fattuali, puntualmente documentate e provate, che dimostravano l’esistenza di una prassi consolidata nel tempo, in forza della quale la società Testoni si era onerata di provvedere al ritiro degli assegni relativi al pagamento delle forniture presso la sede della Edili Deiana, nei tempi e nei modi accordati dal rappresentante di zona.

3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non denuncia l’omesso esame di un fatto nei termini indicati da Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014, bensì che la sentenza non abbia valutato le risultanze probatorie orali riprodotte nel motivo precedente, sostenendo espressamente che esse, “se esattamente considerate, avrebbero condotto ad una diversa decisione”. Le citate decisioni delle Sezioni Unite hanno statuito che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”. E nel caso di specie risulta dalla motivazione che in precedenza si è riportata che la corte territoriale ha preso comunque in considerazione i fatti che ad avviso della ricorrente le prove orali dimostravano e li ha ritenuti inidonei a raggiungere la prova dell’accordo invocato dalla stessa ricorrente.

3.2. In particolare, la sentenza impugnata giudice ha evidenziato che non era tanto il dipendente della società fornitrice a richiedere il pagamento, bensì la società erogata a non procedere ai pagamenti di fatture già emesse con la indicazione della data di scadenza; la società afferma invece che sarebbe stato il dipendente della fornitrice a non recarsi nella sede della debitrice alla scadenza, fatto smentito dalle circostanze vagliate dal giudice a quo.

4. Con il quarto motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 2697 c.c. La ricorrente adduce che la società Testoni, nel richiedere l’emissione del decreto ingiuntivo, depositava una fattura dalla stessa unilateralmente emessa, con certificazione notarile ed un semplice “prospetto fatture e date pagamenti”. Come noto, ex art. 634 c.p.c., la fattura, accompagnata dall’estratto autentico delle scritture contabili, è idonea ad ottenere il decreto ingiuntivo ma, nel caso di giudizio di opposizione, l’opposto, attore sostanziale, deve provare in giudizio – ex art. 2697 c.c., comma 1, – i fatti che ne costituiscono il fondamento. La ricorrente pertanto adduce che la Edili Deiana, già con atto di citazione in opposizione, eccepiva la non liquidità del credito azionato con la fattura allegando che, trattandosi di interessi per il ritardato pagamento maturati su 121 fatture, spalmate in 5 anni, con variazioni dei tassi di interessi, il credito della Testoni non risultava liquido ed accertato, in quanto unilateralmente determinato dalla stessa che lo aveva esposto su un semplice prospetto dal quale non era possibile evincere alcun dato. Tanto premesso, la ricorrente rileva che agli atti di causa non esisterebbe prova dell’effettività del credito azionato dalla Testoni con il procedimento monitorio, la cui consistenza venne – almeno subordinatamente – contestata, ma senza che l’opposto abbia mai fornito la necessaria prova. La Controricorrente assume che in corso di causa la stessa opponente ha prodotto tutte le fatture ognuna delle quali recante la data di scadenza e di relativo pagamento.

4.1. Il motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto si fonda su riferimenti agli atti processuali del processo di merito di primo grado, riguardo ai quali non si fornisce l’indicazione specifica richiesta dalla norma e ciò nè sotto il profilo dell’eventuale riproduzione diretta, nè sotto quello di una riproduzione indiretta. Inoltre, si omette di dire come e dove la contestazione che si dice di avere svolto sulla mancanza di liquidità del credito sarebbe stata riproposta in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c. dalla stessa ricorrente vittoriosa in primo grado. La sentenza impugnata non si occupa della questione.

5. Il ricorso pertanto è inammissibile, stante l’inammissibilità di tutti i motivi. La ricorrente va conseguentemente condannata alle spese di lite come di seguito liquidate in base alle tariffe vigenti.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso; per l’effetto condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3000,00, oltre e 200, 00 per esborsi e spese forfettarie calcolate nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se effettivamente dovuto, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione TERZA civile, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

 

 

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